È uno sport di padri, il motorsport. Padri assenti, padri troppo presenti. Padri che trasmettono una passione o che di un sogno altrui si fanno custodi diventando manager e tifosi. Padri piloti irrealizzati o troppo famosi per poter cercare, o volere, un confronto in famiglia. È uno sport per padri e per figli in un ambiente che ci ha regalato decine, centinaia, di storie così. E in mezzo a un mondo che sa essere anche, forse troppo spesso, malato di successo e gloria, si inseriscono in silenzio Toto Wolff e il figlio Jack.
Nel caos di famiglie spezzate, di bambini abbandonati in autostrada per aver perso un campionato, il team principal della Mercedes si porta Jack sulle spalle come un qualsiasi padre farebbe in un giorno di lavoro in compagnia del figlio. Jack è timido, dolcissimo, assomiglia in tutto e per tutto a mamma Susie, che è il vero perno di una famiglia ad alta velocità. Susie, ex pilota, ultima donna alla guida di una monoposto di Formula 1, oggi CEO del team Venturi in Formula E. Susie che quando Toto si tira indietro, nelle avventure più pericolose e estreme della loro relazione, sa che sarà lei a farsi avanti. Jack è la copia di mamma, pieno di energie da bruciare e voglia di salire a bordo di qualsiasi cosa abbia un motore.
Toto se lo porta in giro per il paddock nel suo weekend di casa, in Austria, lui che non è mai stato così fortunato. Lui che è stato costretto a crescere in fretta, con una famiglia segnata dalla lunghissima malattia e poi dalla morte del padre. Dai problemi economici, le crisi personali, la voglia di riscatto che lo ha fatto rinascere e migliorare. Lui che per Jack vuole qualcosa di meglio. Se lo prende sulle spalle e lo porta a conoscere i piloti: “Lui è Charles della Ferrari” gli dice indicando Leclerc che, con un sorriso grande, accoglie la timidezza di Jack come fosse la sua. Si piacciono subito, ma il piccolo Wolff piace a tutti. Poi scappa a guardare la gara con mamma Susie, per non disturbare papà, e solo alla fine del Gran Premio ha il permesso di corrergli accanto.
Toto ha ancora la faccia da Wolff, il volto segnato dall’adrenalina che lo rende quel team principal dominatore dell’ultimo decennio di Formula 1, poi si gira, abbassa lo sguardo e vede il figlio. Cambia in un attimo, l’espressione di Toto. Sorride e allunga le braccia, prendendolo in braccio e portandoselo sulle ginocchia, facendolo giocare con le cuffie del muretto e stringendoselo addosso. Poi lo porta sotto il podio, lo abbraccia nelle interviste e lo restituisce riluttante a Susie per andare a finire il lavoro nel box Mercedes. Fa il papà, Toto Wolff. Niente di più. E in un mondo di padri che vogliono essere, fare e dimostrare di non essere solo padri, vedere un team principal svestirsi del suo ruolo principale, del suo potere e della sua serietà per far sorridere suo figlio è l’immagine più bella che la famiglia Wolff ci potesse regalare questo weekend.