La realtà ormai non conta più niente. Per esempio l’obbligo vaccinale sopra i 50 anni è una scelta a cazzo
È il giornalista più attaccato, criticato, considerato il più antipatico. Ride poco, fuma molto. Francesco Borgonovo, anno di nascita 1983, città: Reggio Emilia, vice direttore de La Verità, quotidiano con la crescita più forte degli ultimi anni, in tv litiga, discute, rivendica il diritto alla libertà caro ai no green pass e ai no vax. Non c’è persona che vedendolo in qualche programma (soprattutto Zona bianca, Rete4) non abbia un moto di risentimento. Perché è perfettino, precisino, conosce i dati, cita professori, scienziati, filosofi, ha un tono fermo, un’eloquenza invidiabile, è malizioso e sa dove colpire con le sue battute. E infine Francesco Borgonovo, in un periodo in cui i giornalisti giocano a fare gli influencer, è fissato con la privacy. Riprova ne è il fatto che dopo aver letto questa intervista, prima che venisse pubblicata, ha preteso il taglio di due due parti, le uniche in cui si faceva cenno ad argomenti della sua vita privata: altrimenti, te lo dico chiaramente, devo tirarmi indietro. Scrivi pure che sono un rompicazzo, ma è così».
Accontentato.
«Uno può dire quello che vuole, ma io credo di avere il diritto di proteggere le mie cose private, non sono un politico, non sono un personaggio pubblico o famoso, premesso che persino i famosi hanno diritto alla privacy. Sono un giornalista che alcune volte alla settimana va in televisione a parlare non dei cazzi suoi ma di questioni politiche culturali e su queste voglio confrontarmi».
Ma era solo per parlare del tuo cane, dai…
«Puoi mettere che mi piacciono i cani tutto qui, basta».
Neanche la razza? Perché racconterebbe tanto di chi sei tu davvero…
«Io sono uno che tendenzialmente si informa, quindi se sento dire delle stronzate, insisto. Su questa roba del Covid mi sono abituato a incontrare persone che parlano per sentito dire. La realtà ormai non conta più niente, non c’è più. Quello che mi dà fastidio è la mancanza di ragionamento. Per esempio l’obbligo vaccinale sopra i 50 anni è un dato politico, è una scelta a cazzo, non ha alcun fondamento scientifico».
Le prime notizie che parlano di te risalgono al 2006. Ma dal 1983 al 2006 cosa hai fatto?
«Il classico e poi filosofia, senza laurearmi. Ho cominciato a scrivere molto giovane con i giornali locali, Resto del Carlino, Gazzetta di Reggio, poi con qualche nazionale chiamando in redazione e proponendo dei pezzi, fino a quando non sono arrivato fisicamente a Milano per stare ad Affari Italiani».
Cos’è che ti ha spinto ad andare nelle redazioni?
«Scrivere era quello che mi piaceva fare. Sono stato abituato fin da bambino a leggere».
Quali sono i libri che più ti hanno formato?
«Tantissimi. Su due piedi mi vengono in mente Fante, Bukowski…».
Da Affari italiani a Libero.
«Ho iniziato a collaborare a metà degli anni Duemila, credo che il primo pezzo sia stato un’intervista a Tinto Brass sulle quote rosa, un po’ di politica e cronaca, poi stavano rinnovando le pagine culturali ed è arrivato Alessandro Gnocchi, che adesso è al Giornale, bravissimo, un maestro e un amico, ed è stato lui che mi ha portato da Vittorio Feltri, il direttore di allora».
Nel 2006 anche il primo libro, con Bobo Craxi.
«L’editore, Aliberti, era di Reggio come me. Mi è sempre interessata la sua storia e quella del padre, quindi abbiamo fatto un libro intervista».
Tu che formazione politica hai?
«Nella mia città la cosa più di destra era appunto Craxi, o giù di lì. Ho iniziato a capire che ci poteva essere un’altra cultura, oltre a quella di sinistra, comprando delle riviste come Area e leggendo Claudio Risé, Franco Cardini, Massimo Fini… A proposito di libri che ti formano. O anche Giampiero Mughini. A via della Mercede c'era un razzista è un capolavoro».
Hai mai avuto una tessera di partito?
«No».
E da Libero a La Verità…
«Dal minuto zero».
Siete diventati il quotidiano più venduto dell’area di centrodestra, superando proprio Libero e Il Giornale…
«Dall’inizio abbiamo cercato di fare un giornale che desse delle notizie, cosa non facile, grazie al cielo ho dei colleghi molto bravi. Sia chi gestisce la macchina del giornale come Edoardo Cavadini e Fabio Corti, sia chi le notizie le trova come Giacomo Amadori, che ha sempre tirato fuori scoop ovunque sia stato. Sia i tanti collaboratori, e non posso citarli tutti se no divento pesante. Ma è l’impostazione di tutto il giornale e di tutti i colleghi: la grande lezione di Belpietro è proprio questa, come si cercano le notizie, come si danno, non esiste che non verifichiamo una cosa prima di scriverla, e questo paga».
Per molti state facendo controinformazione.
«Stiamo semplicemente facendo questo mestiere come pensiamo che vada fatto».
E adesso a Libero c’è la presunta rivalità Feltri-Alessandro Sallusti.
«Ho lavorato con entrambi, sono due giornalisti diversi, Feltri è…Feltri. Con lui Libero ha fatto dei titoli memorabili».
Citamene uno.
«"Strano ma nero" quando venne eletto Obama. Poi, quando Romano Prodi disse che grazie a lui eravamo entrati nell’Euro, in prima pagina finì la sua foto col titolo: "Bel pirla"».
Chi scrive bene secondo te?
«Ce ne sono tanti, solo da noi Mario Giordano, Marcello Veneziani… Potrei andare avanti a lungo ma dico Belpietro e Feltri per tornaconto personale. Anche perché ho avuto la fortuna di rileggere e casomai correggere i refusi nei loro editoriali prima che andassero in stampa: è bastato questo per farmi capire come si fa un articolo di giornale, come si scrive ordinatamente, come si raccontano le cose. Uno può condividere o no quello che dicono ma i loro articoli sono perfetti. Belpietro riesce a sintetizzare concetti complessi in una frase. Per stare a sinistra ti citerei Giorgio Bocca, che ho amato tantissimo, e Michele Serra, prima che decidesse di fare il coltivatore».
I giornali di carta sono morti?
«Se non ci fossero non si penserebbe più. Quando ero al liceo tutti leggevano il giornale, bisogna far capire ai giovani che se non leggono quotidiani, libri, fumetti si perdono qualcosa: il confronto, le opinioni degli altri, la capacità critica, di analizzare ciò che ti succede intorno».
Il Green Pass è un sistema di controllo. Il modello dell’Occidente è il capitalismo della sorveglianza. Instagram? Prostituzione di massa
Hai fatto anche l’autore televisivo. Soprattutto di un programma che si chiamava La Gabbia. Condotto da Gianluigi Paragone, adesso leader di Italia Exit, formazione tra le più critiche contro le politiche governative. I vostri ospiti erano già allora quelli che oggi sono giudicati controcultura: il filosofo Diego Fusaro, il giornalista Paolo Barnard…
«C’era tanta gente che diceva delle cose che sembravano impresentabili, che non si potevano dire, ma che poi in realtà con il senno di poi…».
Oggi fare un programma come La Gabbia sarebbe impossibile.
«Si è preso delle libertà che non ci sono più. Io stesso facevo una specie di rubrica che era un po’ la voce dei presunti complottisti».
Tu sostieni che il complottismo non esiste.
«Perché il complottismo è tutto quello che non sta bene alla verità ufficiale. Ci sono semplicemente delle notizie che sono vere e delle notizie che sono false, punto. Se uno pensa ci sia il complotto giudaico massonico per ammazzarci tutti è falso. Non c’è. Ma se uno dice che Pfizer è una casa farmaceutica che ha avuto una miriade di processi e anche delle condanne e racconta tutto facendo vedere le prove non è complottismo, no? Poi esiste un conformismo per cui quello che non va bene alla cosiddetta narrazione generale è fake news o complotto. E questo non va bene.
Ma il Green Pass per te è un sistema di controllo o no?
«Certo, ed è una finalità dichiarata. Il modello dell’Occidente è il capitalismo della sorveglianza».
Dittatura morbida?
«Non c’è la dittatura nel senso novecentesco, non c’è il totalitarismo, almeno per ora. Ci sono delle tendenze culturali a cui noi tutti collaboriamo, così come spiega un filosofo bravo che si chiama Paolo Musso e che parla dell’auto totalitarismo: esistono i carnefici e le vittime, ma con gradazioni diverse tutti partecipiamo ad andare nella stessa direzione, e quello che sta succedendo oggi è che stiamo andando verso un sistema di controllo a cui ci sottoponiamo volontariamente perché abbiamo introiettato un certo tipo di psicopotere sotto tutti i punti di vista, che agisce per esempio anche sul nostro concetto di corpo. Tutti andiamo in palestra per essere belli e performanti, no? Tutti accettiamo di mangiare in una certa maniera perché dobbiamo essere efficaci o dobbiamo venderci sul mercato del sesso, no? Inutile girarci intorno. Però come dicevo poco fa ci sono varie gradazioni, c’è differenza infatti tra iscriversi in palestra o su Facebook e dover dare i propri dati personali all’agenzia delle entrate o a Immuni. Perché nel primo caso c’è una parte di volontarietà nell’iscrizione e nella pubblicazione delle foto, dall’altra c’è una imposizione».
A te fa paura questa cosa?
«Mi infastidisce. Mi infastidisce anche pensare che un domani uno possa avere dei premi perché la tua tesserino sanitaria sa cosa stai mangiando. Il capitalismo non è per la libertà, tu avresti pensato che due anni fa avremmo accettato di chiuderci dentro casa e avremmo accettato che per entrare in un locale avremmo mostrato una tesserina verde? Avresti detto che ero matto, un complottista, che spargevo fake news e invece lo abbiamo fatto tutti senza fare una piega».
Forse di questo dovremmo avere paura, della capacità di rassegnazione e adattamento.
«Questa è la zona grigia: quando vedi i commercianti che se la prendono con quelli che manifestano perché gli fanno perdere incassi ma non se la prendono con il ministro che li ha chiusi per mesi dandogli due lire di ristoro, cosa è se non un sistema di accettazione? Quando si dice che in tutto questo sono presenti dei tratti autoritari non vuol dire che siamo tornati al nazismo, ma che ci sia un meccanismo che per certi versi funziona nella stessa maniera, parandosi dietro alla burocrazia, dietro a tante regoline che servono a mantenere una parvenza di democrazia, che gradualmente però perde la sua essenza».
Domanda delle domande, non posso esimermi…
«Se sono vaccinato?»
Già…
«Sono affari miei»
Ma perché non lo dici?
«Ma saranno cazzi miei? Perché me lo consente la legge».
Ma la legge consente un sacco di cose, c’è sicuramente un altro motivo.
«Sì, c’è, ed è questo. Per darti una risposta dovrei renderti edotto del mio stato di salute e magari, dico per ipotesi, ho un’esenzione. E se ce l’avessi dovrei anche spiegarti perché ce l’ho, cosa che magari non voglio dirti perché poi dovrei anche spiegarti il mio stato di salute. O magari ho deciso di vaccinarmi perché ho un’altra patologia, e a quel punto dovrei spiegarti qual è, e via dicendo. Costringere una persona a rendere pubblico il suo stato di salute è una violenza».
Quale sarebbe il tuo sistema politico ideale?
«A me interessa la visione della vita, dovremmo tutti avere una visione più aristocratica ed eroica dell’esistenza. È una cosa di destra? Sì, la destra è anche libertà, la destra è avere la percezione che ci sono dei limiti, certo, ma che qualcuno ogni tanto li può superare e soprattutto può superare i propri, se si allena mentalmente, fisicamente, psicologicamente e se cerca il più possibile di tenere a freno i suoi difetti. Io per esempio penso che la disobbedienza civile abbia un significato quando fatta per cause forti».
Tu non sei praticamente presente in alcun social.
«C’è chi ha l’ansia della visibilità, a me sinceramente mette più ansia il contrario, l’idea che qualcuno ti guardi, ti spii e si faccia gli affari tuoi. Uso Twitter perché basta scrivere. Io penso che sarebbe meglio se i social non ci fossero, molto meglio per tutti. Pensa quanti ragazzi stanno su IG per fare gli influencer, questa per me è prostituzione di massa, nel momento in cui tu non hai più nulla da offrire e il futuro che ti viene proposto è peggiore al presente e al passato che hai avuto che cosa ti resta se non mettere in mostra te stesso, i tuoi figli, la tua vita privata?».
Hai velleità politiche?
«Per niente».
E allora perché sei salito sul palco della manifestazione no vax e no green pass di Milano?
«Perché mi ha invitato Paragone»
Ed è sufficiente?
«Potrebbe, è una persona che conosco da anni, è un amico, abbiamo fatto tante cose insieme, ci siamo divertiti, abbiamo litigato, quindi quando mi chiede una cortesia perché non fargliela? Potrebbe bastare. Poi c’è una motivazione per me molto profonda perché per quanto non condivida molte cose che sono state dette in quella piazza, penso che le persone che erano lì 1) avessero il diritto di esserci 2) siano state trattate in un modo indegno. Quindi ho trovato corretto dare un sostegno, non tanto al partito di Paragone, ma a quelle persone. Ti faccio notare che io sono stato anche a La7 a parlare con della gente che diceva che le mascherine non servivano o alla Zanzara a parlare con uno che diceva che mi accoppio con i cani e faccio bau bau. Salire su quel palco mi sembra una cosa più onorevole».
David Parenzo…
«Domanda successiva?»
Quando ironizza su determinate cose quanto ti dà fastidio?
«Mi dà fastidio perché è molto triste. Mi attacca sul piano personale, significa che non ha altri argomenti su cui confrontarsi. E comunque perché mettere in mezzo la vita privata delle persone? Lui di me non sa nulla, ma insulta. Talvolta ha pure fatto allusioni, illazioni, magari mettendole in correlazione al fatto che sui temi gender ho una posizione molto netta».
Cioè?
«Penso che la differenza sessuale vada preservata ma io non mi sogno in nessun modo né di giudicare né di condannare una persona che cambia sesso. Ne ho conosciute varie, le ho intervistate, ma mi interessa cos’hanno da dire, mi interessa comprenderle, non mi sognerei mai di dire a una persona del genere cosa devono o non devono fare».
Molti cercano di colpirti lasciando intendere che non si sappia se sei gay o meno.
«Di nuovo: ma saranno, eventualmente, cazzi miei?
C’è un meccanismo che per certi versi funziona nella stessa maniera del nazismo, parandosi dietro alla burocrazia
Perché sei contro la legalizzazione delle droghe leggere?
«Si è fatta passare l’idea che farsi una canna non è un problema e invece fa male».
Però fumi un pacchetto di sigarette al giorno…
«E dagli a scrivere i fattacci miei. Sono debole come tutti gli esseri umani. Fumare mi fa altri danni ma almeno non mi buca il cervello, la cannabis ha degli effetti psicotropi. Credo sia meglio tentare di restare lucidi».
Altri vizi oltre alle sigarette
«Eh, innumerevoli».
Tipo?
«Compro un sacco di libri e fumetti, compulsivamente».
Nei tuoi pezzi hai citato anche Fantozzi.
«Sì perché c’è una scena di Fantozzi per ogni momento della vita, Fantozzi è epocale, oggi il mondo è fantozziano, io ho ricordato la scena in cui Fantozzi incontra il compagno Folagra. Quello gli passa i testi marxisti, Fantozzi li legge e dopo un po’ si incazza come una bestia e dice: “Ma allora mi hanno sempre preso per il culo”. È quello che sta accadendo agli italiani, che dopo due anni di norme maledette, pensano la stessa identica cosa».
Quanto guadagni?
«Non tantissimo, il giusto, non mi lamento. Ma se vogliono aumentarmi lo stipendio non mi oppongo».
Cosa rispondi a chi ti dice che sei un giovane vecchio?
«Che ha ragione. E che spero di diventare anche un vecchio stronzo che rotea il bastone».
Sei sempre impeccabile. Hai un sarto?
«No. Cerco di stare attento a come mi vesto, questo sì. Quando sono ospite in trasmissioni televisive rappresento anche il mio giornale e i miei colleghi, è una questione di rispetto».
Qualcuno ti descrive come un monaco Shaolin.
«Magari… Mi piacciono le arti marziali, mi piace la filosofia delle arti marziali, la disciplina, l’ordine mentale, l’abitudine. Questo mi consente di riuscire a lavorare tanto, di fare tante cose, di continuare a scrivere anche libri e di avere un programma radio su Radio Libertà».
Ti faccio un nome, fai un commento. Salvini.
«È stato bravo».
È stato?
«Ora sta in un governo che non mi piace. Questo governo sta facendo delle cose intollerabili ma non per la destra o per la sinistra, proprio intollerabili per tutti, riconosco però che se non ci fosse stata la Lega dentro sarebbe stato anche peggio».
Meloni.
«È brava».
Tu hai scritto per una casa editrice dichiaratamente di estrema destra, Altaforte.
«Certo. Posto che “estrema destra” è una riduzione giornalistica, qual è il problema? Io scrivo per chi mi pubblica se non mi cambia quello che scrivo. Voglio dire, non avrei problemi nemmeno a scrivere per un giornale di sinistra. Oddio, non esageriamo, forse adesso avrei problemi a condividerne la linea editoriale, ecco».
Per molti Fratelli d’Italia ha ancora troppi legami con il fascismo…
«Vogliamo fare un ragionamento serio? Dai: che cos’è il fascismo secondo il pensiero prevalente della sinistra? Oppressione dei diritti, censura della stampa, rimozione della libertà e razzismo. Giusto? Bene. Oggi che cosa abbiamo? Oppressione di diritti ne abbiamo? Sì. Controllo della stampa? Pure. Limitazione della libertà? Mi pare di sì. Razzismo? Verso una parte di popolazione, certamente. Quindi l’attuale potere ha tutte le caratteristiche che, secondo la sinistra, sono proprie del fascismo. Ma Fratelli d’Italia sta all’opposizione. Come la mettiamo? Comunque le menate che si fanno da anni sul fascismo non c’entrano niente col fascismo vero. Oggi è fascismo ciò che non piace alla sinistra».
Draghi.
«Cosa dobbiamo dire di altro?»
Ma tu chi hai votato?
«Chi lo sa…».
E dove vuoi arrivare? Diventare direttore?
«No, mica sono capace, e poi sarebbe una rottura di scatole incredibile, è un lavoro micidiale, impegnativo. E comunque un direttore ce lo abbiamo già, e pure un condirettore bravissimo, Massimo de’ Manzoni, oltre a due vicedirettori, Martino Cervo e Claudio Antonelli. Anche basta, no? Io vorrei continuare a fare quello che faccio, a scrivere sempre meglio e a portare un po’ delle mie idee, del mio pensiero e della mia cultura dentro il dibattito politico».
Andrea Scanzi?
«Simpatico».
Simpatico è un aggettivo un po’ bastardo.
«Lui è uno che sceglie di esporsi. Non condivido quasi nulla di quello che dice ma quando tu sei così seguito, così letto, vai in televisione… Vuol dire che un talento ce l’hai no? Scanzi con me è sempre stato una persona corretta».
Selvaggia Lucarelli.
«L’atteggiamento che ha preso sul Covid non mi piace»
Marco Travaglio.
«Per tanti versi lo ammiro. È molto più disciplinato di me, scrive bene e gli devo chiedere scusa».
Scusa, perché?
«Una delle poche cose che mi dispiace di aver scritto, mi dispiace tanto, è un articolo che feci tanti anni fa proprio su di lui. Ripresi una notizia di gossip secondo cui frequentava non mi ricordo chi. Ecco quella è stata una cosa sbagliata e mi dispiace ancora oggi».
Alessandro Sallusti.
«Una macchina da guerra. Da lui impari come si fa un giornale. Certe cose che ha scritto negli ultimi tempi non le condivido per niente, ma sai che importa quel che penso io».
Nicola Porro.
«Porro fa un bel programma, parla a braccio, in questo è un fenomeno. Per i miei gusti ha delle posizioni un po’ troppo liberali ma su molte cose, vedi le politiche sul Covid, siamo in sintonia».
Ma da un punto di vista politico come ti definisci tu?
«Di destra e identitario».
Saresti disponibile a morire per le tue idee?
«Sinceramente non lo so. Mi piacerebbe pensare di sì. Ma il coraggio si misura nelle situazioni concrete, a parole son capaci tutti. È bello avere una causa. Noi oggi non siamo disposti a morire per nulla, ma è bello morire per le persone che ami, o persino per le idee, è una cosa nobile».
Tu credi in Dio?
«Sì».
Preghi?
«Sì».
Quindi ecco la definizione: Francesco Borgonovo uomo di destra, identitario, cattolico…
«Cristiano, forse meglio».
E libero?
«No, Libero no… Meglio La Verità».
«Il fascismo è oppressione dei diritti, censura della stampa, rimozione della libertà, razzismo. Bene, oggi che cosa abbiamo?» - FINE