Sul disastro del ponte Morandi i pubblici ministeri di Genova, dopo 60 ore di discussione, hanno ribadito la richiesta di processo per i 59 imputati e per le due società del gruppo Benetton coinvolte, Autostrade per l’Italia e Spea, cioè il concessionario che aveva in gestione il viadotto e la controllata che avrebbe dovuto monitorarlo. Di fronte al giudice per l’udienza preliminare sul crollo che il 14 agosto 2018 ha provocato 43 vittime la Procura ha integralmente confermato le accuse nei confronti dei manager e dei tecnici di Aspi e Spea e dei funzionari e dirigenti del Ministero delle infrastrutture che avrebbero dovuto vigilare sull’opera.
“Il Morandi – le parole dei magistrati – era una bomba a orologeria. Si sentiva il tic tac ma non si sapeva quando sarebbe esplosa. Anche un pensionato si sarebbe accorto che aveva problemi”. Il ponte, in sostanza, sarebbe collassato perché era malandato ed era malandato perché le manutenzioni sarebbero state inadeguate. E secondo i pm Massimo Terrile e Walter Cotugno i segnali di “malessere” sarebbero stati ignorati: “C’era un diffuso stato di corrosione delle armature, questa è la prima causa del disastro, altro che imprevedibile difetto progettuale”. Secondo l’accusa tutto ciò sarebbe legato a una politica aziendale orientata, oltre che alla massimizzazione dei profitti, al risparmio sui costi di manutenzione. La difesa, però, non ci sta: “La scelta dei pm – il commento degli avvocati di Giovanni Castellucci (ex amministratore delegato di Aspi), Guido Carlo Alleva e Giovanni Paolo Accinni riferito da Libero – appare scontata dopo la ricostruzione andata in scena che è basata su mere suggestioni non suffragate da fatti. Avremo modo di dimostrarlo intervenendo, per fortuna ormai a breve, in aula”.
Tra fine marzo e inizio aprile il gup dovrebbe decidere chi mandare a processo.