Emergono nuove ipotesi tra le possibili concause del crollo del ponte Morandi di Genova, avvenuto la mattina del 14 agosto 2018 che è costato la vita a 43 persone. In attesa dell’esito delle sedute dell'udienza preliminare, che deciderà in merito alla richiesta di rinvio a giudizio per 59 imputati, a presentare le nuove ipotesi è Danilo Coppe. Intervistato dalla Verità, Coppe è tra i massimi esperti italiani di esplosivi oltre ad essere il fondatore della Siag di Parma, la società che nel giugno 2019 si occupò della demolizione dei resti del viadotto: “Per preparare quell’abbattimento - racconta - sono stato a lungo sul ponte e ho notato due o tre cose che non ho mai letto sui giornali”.
La prima osservazione a cui fa riferimento riguarda l'asfalto: l’esperto ricorda che prima di abbattere il viadotto era stato necessario fresare il manto stradale in modo che i detriti del ponte potessero essere riciclati senza mischiarsi all'asfalto: questo perché, altrimenti, si sarebbero trasformarti in rifiuti speciali con un costo di smaltimento davvero costoso: “Ma in certi punti – spiega l'esplosivista - lo spessore dell'asfalto era vicino al metro”. Una misura chiaramente superiore a quella che l'asfalto doveva avere nel 1967, anno di inaugurazione del ponte Morandi.
“Chissà – si domanda Coppe – Forse chi si occupava della manutenzione per anni avrà deciso di non grattare via il vecchio asfalto per sostituirlo con nuovo bitume, e magari per fare in fretta l'ha soltanto ricoperto”. Il tecnico fa anche qualche stima spiegando che il vecchio ponte aveva quattro carreggiate ed era largo 18 metri mentre la campata numero 10 era lunga circa 150 metri con una superifcie totale di 2.700 metri: “Dato che un metro cubo di quel tipo di asfalto pesa sulle 2 tonnellate - calcola l'esperto - Il sovraccarico da asfalto su quella campata era di circa 5.400 tonnellate”.
Se ipotesi e calcoli fossero esatti, significherebbe che la Società Autostrade dei Benetton, concessionaria anche del ponte Morandi per circa vent’anni - ha aggiunto un carico a dir poco eccessivo a quello sopportato dagli stralli, i tiranti rivestiti di cemento e con l’anima in acciaio che avevano il compito di reggere il carico del viadotto, la cui usura secondo la Procura di Genova sarebbe la causa che ha portato al crollo. Dell'asfalto si è parlato anche nella perizia presentata da Pier Giorgio Malerba e da Re nato Buratti: i periti tecnici della Procura, avevano però misurato uno spessore non omogeneo lungo quanto restava del ponte. L'altra ipotesi di Coppe, del tutto nuova, riguarda i “fornelli da mina”: noto a pochi, dopo il 1945 i grandi ponti di nuova costruzione venivano dotati in gran segreto di cavità destinate a ospitare esplosivi. Quella cautela, dopo la Seconda guerra mondiale, era data dal timore di un attacco militare da parte del Patto di Varsavia, durante la Guerra Fredda. Anche il ponte Morandi aveva i suoi bravi “fornelli”, la cui esistenza era stata confermata dal compianto Falco Accame. Nell’ottobre 2018 l'ex ammiraglio ed ex senatore socialista, nonché ex capo del Gruppo di ricerca operativa delle forze armate, raccontò su Facebook di avere avuto accesso nel 1973 a documenti dai quali risultava che il ponte Morandi fosse dotato di quei “fornelli”.
Accame ne parlò per escludere come al momento del crollo contenessero ancora esplosivo e per mettere a tacere l'ipotesi (che circolava allora) secondo cui il viadotto sarebbe stato fatto esplodere da un criminale attentatore o da uno dei fulmini che la mattina del 14 agosto 2018 accendevano il cielo di Genova. Oggi Coppe rivela che quei “fornelli” militareschi erano presenti su ogni giunto di campata del viadotto e che erano molto numerosi: sulla sola campata numero 10 il tecnico ne ha contati tre, che però non erano vuoti: “Quando mi sono affacciato a uno dei tre tombini e ci ho guardato dentro con una torcia – spiega - mi sono impressionato: ho visto una camera con un volume sui 50 metri cubi con un palmo d'acqua sul fondo”. Probabilmente, con il tempo e in assenza di controlli e di manutenzione, lo scolo alla base dei “fornelli” si era ostruito e così le piogge li avevano trasformati in immense cisterne. Aggiungendo però peso a peso, da 40 a 50 metri cubi di acqua per ogni “fornello”: “Ho la riprova di quanto dico - dichiara – perché un agente di polizia che ha seguito le immediate operazioni di soccorso mi ha detto poi di aver visto che l'acqua dal troncone del ponte crollato aveva continuato a uscire copiosa per giorni e giorni”.
C'è, infine, un terzo elemento colpevole di un altro aumento di peso: l’esperto ricorda che da qualche tempo, lungo tutto il ponte Morandi, al posto del vecchio guard rail centrale in ferro e ai due lati esterni delle corsie fossero stati piazzati “new jersey” in cemento armato ovvero delle protezioni sicuramente più efficaci rispetto al metallo, ma anche molto più pesanti stimando che le quattro file di “new jersey” arrivassero a pesare 1.800 tonnellate. A riguardo, sono dure le parole pronunciate dai pubblici ministeri verso gli imputati durante le ultime sentenze: “Anche il classico pensionato che guarda i cantieri si sarebbe accorto dei problemi di usura del ponte Morandi”.