Ponte Morandi, una catastrofe annunciata? Secondo un’inchiesta pubblicata dal Fatto, sì, perché, “sintetizzato in diritto, significa questo la «colpa cosciente» contestata a molti dei 59 indagati per i quali i pm di Genova Francesco Cozzi, Massimo Terrile e Walter Cotugno hanno chiesto il rinvio a giudizio nell’inchiesta sul crollo del Ponte Morandi, che nell’agosto del 2018 causò la morte di 43 persone”. In alcuni casi però si prospetta già il liberi tutti della prescrizione: “Le prime prescrizioni per l’omissione di atti d’ufficio scatteranno già a ottobre 2023, anche se «si tratta delle accuse meno gravi», ha spiegato Cozzi. Il falso si estinguerà nel 2024, mentre nel 2026 partiranno quelle per gli omicidi colposi per gli indagati che hanno cessato la carica prima del 2005. Intanto l’inchiesta prosegue e l’anatomia del disastro – allarmi ignorati, risparmi sulle manutenzioni e controlli falsificati – è stata ricostruita dalla Guardia di Finanza grazie a un software già usato dall’Fbi, che ha consentito di recuperare, incrociare e ordinare migliaia di email e chat, finora inedite”.
Già nel 2009 si parlava di “stato di degrado generale”
Il Fatto riporta che il 15 dicembre 2009, appena insediato, Carlo Casini (che “è stato responsabile dell’ufficio sorveglianza Genova sud di Spea Engineering, ditta incaricata dei controlli a sua volta controllata da Autostrade per l’Italia”) avrebbe inviato un primo preoccupato rapporto sullo “stato di degrado generale del viadotto Polcevera”, in cui proponeva “una campagna per conoscere lo stato di precompressione dei cavi” e aggiornare “ispezioni degli anni Novanta”: “Nel maggio 2011 denuncia «cavi di precompressione rotti», «fessurazioni anomale», «travi che rimandano rumori sordi, non dei migliori». E domanda: «Con cavi e travi marce, cosa vogliamo capire senza uno studio strutturale serio?»”.
Gli allarmi cadono nel vuoto: “Aspi (Autostrade per l’Italia, ndr) gli rifiuta alcuni controlli «per problemi di budget». E lo fa ammonire: «Ho letto delle cose nella relazione di Spea Sud che non dovrebbero accadere e soprattutto che ci eravamo detti di non scrivere – scrive Paolo Agnese, funzionario Aspi (non indagato) – Ho intenzione di parlarne con Casini e porgli il problema e uniformarlo al metodo che abbiamo sempre usato». In altre parole, l’ispettore troppo zelante viene «costretto a rendere meno allarmanti le segnalazioni le sue relazioni vengono in più occasioni cassate e modificate».
In un report dell’11 febbraio 2013, secondo il Fatto, “Casini insiste: «Le prove riflettometriche sugli stralli, avviate e richieste dopo il mio arrivo, hanno dato conto di un grado di corrosione di livello 3. Ma, scusate la franchezza, non hanno destato interesse alcuno». Risultato: «Non c’è un cavo che non sia corroso». Il 25 febbraio interviene il suo superiore di Spea, Giampaolo Nebbia (indagato): «Per ovvi motivi di cui vi renderete conto leggendola – scrive – invierò io stesso ad Aspi la lettera, con modifiche, rendendola cioè più semplice e togliendo alcune frasi che non è opportuno dire». Nel maggio 2015 Casini, «mal sopportato dalla sua linea gerarchica» e «dal committente Aspi», viene spedito ad Aosta, lontano dalla famiglia. Oggi è indagato con i dirigenti che gli cambiavano i report”.
“Rischio crollo” dal 2013 e sensori inattivi dal 2016
Per il Fatto, il Ponte Morandi era l’unico viadotto italiano che, a partire dal 2013, era indicato direttamente nel catalogo rischi aziendali Atlantia: “«Rischio crollo viadotto Polcevera per ritardate manutenzioni». Il pericolo veniva considerato remoto per «assenza di allarmi del sistema di monitoraggio». Ma i sensori erano inattivi dal 2016, tranciati durante un cantiere. “Lo comunicammo via mail l’11 luglio 2016 all’ex responsabile di Tronco Massimo Meliani (indagato) – racconta Alessandro Paravicini, titolare di una ditta esterna (non indagato) – ma riscontrammo un particolare disinteresse di Aspi». Per il Fatto “dalle carte emerge un sistema di commistione totale tra controllore e controllato” e “nelle ore successive al crollo la Guardia di Finanza registra i primi tentativi di depistaggio”. Ci sarebbe poi un “rapporto fantasma”: “Il dossier è del gennaio 2016 e non era mai stato inserito nella piattaforma su cui Aspi e Spea condividevano le ispezioni”.
L’audio del 2017: “Qui se famo male, quello va de sotto”
Secondo il Fatto, quando manca un anno al crollo del Ponte Morandi, nelle riunioni interne il collasso del viadotto è tutt’altro che un'ipotesi remota. In un’intercettazione artigianale realizzata da un dirigente ora indagato si sentirebbe “«Qua se famo male, quello va de sotto». Il riferimento è al viadotto Polcevera. A parlare è l’ex capo delle manutenzioni di Autostrade per l’Italia, Michele Donferri Mitelli, braccio destro dell’ex amministratore delegato Giovanni Castellucci: «C’è anche un fenomeno di fluage dei cavi esterni. Se tu c’hai il combinato disposto che i cavi esistenti si degradano... i cavi di precompressione unbonded se allentano e il ponte te cade giù. Dico bene, professò?». E ancora: «Aspi e Spea hanno fatto una cazzata, sul pilone 11 era previsto un sistema di monitoraggio»”. Anche un altro quadro si sarebbe tutelato registrando i colloqui: “Dopo il crollo del Ponte Morandi la Guardia di Finanza trova nel computer dei due funzionari oltre 36 ore di registrazioni, molte delle quali inedite, diventate oggi una prova importantissima nell’inchiesta sul disastro”. Tra le tante cose, secondo il Fatto, si sentirebbe Donferri dire “c’è una patologia perversa qui, nessuno controlla, non fate un cazzo”.
Menzionato anche il viadotto Giustina, in Abruzzo
Per il Fatto “Donferri vuole evitare il collaudo statico del Genio Civile: «Glielo mettiamo al culo con il calcestruzzo alleggerito e diamo una riverniciata». Spea, lamenta, ha presentato un progetto di ristrutturazione che ha il «difetto» di allungare la vita utile dell’opera al 2064, cioè ben oltre la scadenza della concessione di Autostrade per l’Italia: «Non è che nel 2034 se crepa, ma ’sti cazzi, saremo vermi, saremo carne per i vermi tutti quanti, ce ne saremo belli che andati, e ’sti cazzi... Io adesso ho dato un mandato chiaro, le opere devono arrivare al 2038 eventualmente compresa la proroga della proroga, massimo 2042, punto». [...] L’importante, ovviamente, è «non scrivere» che la nuova vita utile dell’opera combacia con la fine della concessione”.