Che Luciano Benetton sia un grande imprenditore è fuori discussione. E che fino a qualche anno fa – con l’intera e numerosa famiglia – fosse uno degli uomini più stimati in Italia è altrettanto indiscutibile. Ma basterebbe fare oggi un sondaggio fra gli italiani chiedendogli chi sono gli uomini più odiati d’Italia e, probabilmente, il suo nome comparirebbe fra i primi posti. Com’è quindi possibile questa inversione di rotta nel sentiment delle persone in così poco tempo?
Presto detto. Basta tornare al 14 agosto 2018, quando fu chiuso al traffico il Viadotto Polcevera (meglio noto come Ponte Morandi) a seguito del crollo dell'intero sistema bilanciato della pila 9 della struttura che provocò 43 morti e 566 sfollati. Una tragedia enorme, sia a livello umano che simbolico per l’intero Paese.
A nulla valse che Luciano avesse lasciato la guida dell’intero gruppo il 10 ottobre del 2006, in occasione delle celebrazioni per i quarant'anni del marchio, a suo figlio Alessandro (che poi lo avvierà a una transizione manageriale). Tutti guardarono a lui, al capostipite, accusandolo di essere “il grande vecchio” che in fondo continuava a speculare sulla mancata manutenzione di Autostrade. Inutile entrare ora nei cavilli societari o legali. Fatto sta, che da quel momento il nome Benetton – dal vertice al parente più remoto – sarà associato a quel disastro.
Eppure, per anni quello stesso cognome era sinonimo di qualità, originalità e successo. Un vero e proprio marchio simbolo del Made in Italy che si deve, senza discussioni, a Luciano Benetton che oggi compie 86 anni. Questa è la sua storia, caratterizzata da grandi imprese e un tremendo tonfo che, forse, ci fa capire come il basare tutto sui soldi, alla lunga, possa rischiare di far perdere l’anima.
Luciano Benetton nasce il 13 maggio del 1935 a Treviso. È tra i fondatori del Gruppo partito nel campo della moda. Il padre Leone noleggiava automobili e biciclette. Secondo la biografia ufficiale, sarebbe stato proprio lui, il primo di quattro figli, ad avere l’intuizione geniale. Quando muore il padre (1945) si fa assumere come commesso in un negozio di tessuti. Un bel giorno, la sorella Giuliana gli confeziona su misura un maglione. Ma non è un maglione qualsiasi. È completamente di colore giallo. Un colore decisamente atipico per il tempo. Eppure, in tanti gli chiedono dove l’abbia acquistato. Scatta la scintilla.
È il 1965 quando i quattro fratelli Benetton fondano a Ponzano Veneto, piccolo centro in provincia di Treviso, il loro primo negozio. L’originalità dei capi di abbigliamento venduti, tutti di colori sgargianti in contrasto con l’alterigia della moda del tempo, permettono di farsi conoscere ben oltre i confini della provincia. In breve, sarà una escalation senza fine: i centri Benetton aprono in ogni città, preferibilmente in centro e in palazzo storici, e dove non arrivano con le proprie forze si affidano al franchising. Che il marchio sia ormai un punto di riferimento, l’apertura di uno store anche a Parigi, che in quegli anni dettava legge nella moda.
Da lì in poi seguiranno anni clamorosi, dal boom economico degli anni ’60 alla Milano da bere degli anni ’80, il Gruppo parte alla volta delle acquisizioni e degli investimenti. Nasce "Jean West" e nel 1974 acquista Sisley. Nel 1980 sbarca a New York e due anni dopo a Tokyo. Solo in questo periodo si possono contare 1.000 centri vendita in Italia, oltre a 250 in Germania, 280 in Francia, 100 in Inghilterra e 25 nei Paesi Bassi.
Ma Luciano Benetton, che nel frattempo ha preso in mano le redini dell’azienda, decide che non è ancora abbastanza. Ed è in questo momento che avviene il vero salto di qualità. Lo sport e la pubblicità saranno i veicoli attraverso i quali sarà possibile la grande scalata all’Empireo. Non a caso ad occuparsi delle campagne promozionali venne incaricato un geniaccio come il fotografo Oliviero Toscani, che renderà il brand Benetton uno dei più moderni in circolazione con campagne provocatorie ma azzeccatissime.
Ma non è finita. Perché per essere davvero un Gruppo di livello internazionale non basta investire negli spot con gli sportivi, ma è necessario entrare nello sport come proprietari diretti. Da qui l’ingresso in Formula1, attraverso il team Tyrrell, che Luciano Benetton decide di sostenere e dopo tre anni fa nascere il team Benetton Formula Limited in seguito all'acquisizione della Toleman. Segue l’acquisizione del Rugby Treviso (Benetton Rugby), così come nel basket rileverà la società trevigiana dalla serie A2 che, insieme all’acquisto nel 1987 dell'Antares Vittorio Veneto dà inizio alla storia della Sisley Treviso.
Manca ancora qualcosa, però, per ritenersi soddisfatti. È la quotazione in Borsa, che arriva nel 1986, prima a Milano, poi a Francoforte e a New York. La ciliegina sulla torna non può che essere rappresentata dalla politica. E anche questa occasione, puntualmente, arriva: Luciano Benetton viene anche eletto al Senato, nelle liste del Partito Repubblicano. La Legislatura nella quale viene nominato dura dal 1992 al 1994.
Ecco, se la storia si fosse interrotta qui, forse oggi l’opinione pubblica avrebbe una opinione ben diversa del cognome Benetton. E invece è alla fine degli anni ’90 che al Gruppo non basta più tutto quel che ha raggiunto – forse anche per il calo di altri asset, come per esempio quello della moda – e decide di lanciarsi in un investimento folle, ma che per anni risulterà favoloso per gli introiti registrati. Nel 1999 entra in Società Autostrade attraverso una filiale appartenente alla Edizione Holding, la finanziaria di famiglia, la Schemaventotto.
Il punto più alto della famiglia Benetton, meno di vent’anni dopo, si rivelerà anche il più basso. A un anno dalla tragedia del Ponte Morandi, nel 2019, con tutte le polemiche che ne seguiranno, Luciano Benetton invierà una lettera a Repubblica. Una lunga nota in cui cercò di chiarire che “di sicuro ci assumiamo la responsabilità di aver contribuito ad avallare la definizione di un management che si è dimostrato non idoneo” ed elencando poi le varie quote associative legate alla sua famiglia, a suo dire minoritarie, e ad altre realtà, concludendo: “Ci sentiamo feriti come cittadini, come imprenditori e come azionisti. Come famiglia Benetton ci riteniamo parte lesa”. Ecco il punto di non ritorno di Luciano Benetton nella percezione degli italiani: fra le tante cose che ci tenne a sottolineare, non sentì di dedicare nemmeno un passaggio alle vittime, ai loro familiari e alle centinaia di sfollati, nonché alla città di Genova sfregiata.
Come se ciò che era avvenuto, non fosse un dramma che costò la vita a 43 persone e la cambiò a migliaia di altre (in peggio), ma semplicemente un piccolo intoppo nella corsa dei Benetton all’Olimpo dell’economia. Una corsa, però, nella quale si rischia di perdere l’anima.