I numeri allarmanti sullo smog a Milano (così come in tutte le città lombarde) e l'annuncio del sindaco Beppe Sala - passato con i Verdi europei - del Piano Aria per una città "carbon neutral" ha aperto un dibattito che vede protagonista anche il mondo dell'automotive, verso il quale in molti hanno puntato il dito per l'inquinamento che avrebbe causato 560 morti in più rispetto all'anno scorso e graverebbe su ogni cittadino milanese per circa 3mila euro. Una questione sulla quale abbiamo interpellato Enrico De Vita, ingegnere, giornalista e editorialista di Automoto.it che si è detto particolarmente scettico, sia sui metodi di calcolo di certe stime, che sulle promesse politiche che ne conseguono.
Secondo De Vita l'impatto dei veicoli a motore sullo smog "non va oltre il 20-25% del totale" e certi annunci sono "demagogici per raccattare qualche voto". In seguito, lo abbiamo sollecitato anche su sue storiche battaglie, come quella contro gli Autovelox, o sulla fusione che ha portato a Stellantis: “È prevalsa l’attenzione alla finanza, ma non alla passione, alla soddisfazione del cliente e all’affidabilità” o sulla telenovela rappresentata dalla questione Autostrade, che lui considera “un cancro politico che nessuna buona volontà riesce a sbloccare” fino al boom dell'auto elettrica che considera una sciagura: "Già alla sua nascita ha inquinato per 100mila chilometri. È ancora meglio il diesel".
Tanto preparato quanto “politicamente scorretto”, a ogni sua affermazione ne segue la spiegazione analitica del perché sia arrivato a certe conclusioni. In buona sostanza, un punto di vista interessante sui vari argomenti affrontati per avere sempre maggiore consapevolezza delle tematiche che ruotano intorno al mondo dell’automotive.
De Vita, partiamo dai dati di Legambiente sulla qualità dell’aria. Nella sola Milano vengono segnalati 560 decessi in più ogni anno causati dallo smog. Circa 60mila in tutta Europa. E naturalmente in tanti hanno puntato il dito verso il traffico delle auto. Lei cosa ne pensa?
Sono parametri totalmente separati. Non esiste al mondo un certificato di morte per inquinamento. Per cui, si prendono cause attribuite a posteriori con calcoli spesso incompleti o approssimati. Affermano le associazioni: "Una sostanza che ha un effetto mortale in quantità elevatissima, dà luogo a un effetto proporzionale sulla popolazione se viene utilizzato in dosi minori". È come dire: se bevo 200 caffè al giorno rischio di morire, ma se 200 persone bevono 1 caffè al giorno una di loro potrebbe morire. Una equazione propinata dalle associazioni ecologiste quando se la prendono genericamente con l’inquinamento.
Entriamo nel merito. Quali sono i maggiori rischi per la salute dati dalle emissioni delle auto?
Prima era il particolato, poi è stato ridotto a meno di un millesimo in uscita dalle auto grazie al filtro antiparticolato. Non contente le associazioni hanno osservato che dal punto di vista numerico le particelle erano aumentate e il totale si era ridotto di peso. Allora la norma Euro 5 ha introdotto in Europa il controllo del numero delle particelle e tutti i diesel lo soddisfacevano abbondantemente. Non ancora soddisfatte, con la norma Euro 6 è stato ridotto di dieci volte questo numero e tutti i diesel rientravano in questo ulteriore parametro. Al punto che, applicando quel conteggio ai motori a benzina, si è scoperto che anche loro erano bisognosi di un filtro antiparticolato e di un conteggio numerico delle particelle. Per cui, mentre l’Italia da 30 anni sta andando verso la riduzione degli inquinanti è incauto e demagogico fare allarmismi.
Dal rapporto viene segnalato anche come l’inquinamento gravi sul welfare, quindi sulle tasche dei cittadini milanesi per fare un esempio, per circa 3mila euro l’anno.
Anche questa è una estrapolazione voluttuaria senza senso pratico. Potremmo fare gli stessi calcoli sul cibo che mangiamo, sugli autobus strapieni, sugli incidenti stradali che uccidono migliaia di persone e ne feriscono centinaia di migliaia e costano enormemente di più. Ma si preferisce colpire qualcosa che non si vede e non è facilmente imputabile come l’inquinamento. Se la prendono con tutti e con nessuno.
Se fosse per lei, verso cosa punterebbe il dito?
Per esempio, bisogna ricordare che a fine anni ’80 è stata presa la stupida decisione da parte dell’Italia di vendere benzina senza piombo, ma con contenuto di benzene di 5-6 grammi al litro. Significava inserire una sostanza cancerogena per togliere 0,15 grammi al litro di piombo, cioè di un elemento tossico ma che dopo combustione diventa un sale inerte. Mentre il benzene dopo la combustione si trasforma in uno dei più potenti composti cancerogeni. In pratica abbiamo inquinato vendendo una benzina a prezzo più basso della precedente. E l’hanno chiamata “benzina verde”.
Come ha accolto l’annuncio del sindaco Beppe Sala di voler attuare un piano in grado di rendere Milano entro il 2050 una città “carbon neutral”?
Stiamo ai trasporti. A tutto ciò che si muove grazie a un motore, dobbiamo l’emissione di una quantità di CO2 variabile fra il 20-25% sul totale. Per cui, se fermassimo per un anno tutte le auto italiane, la quantità non si muoverebbe neppure dell’uno per mille. Voler creare città più vivibili, aumentare il numero delle piante e voler chiudere al traffico alcune strade è meritorio, ma tutto questo non porterà al “carbon free”. Dirlo significa vagheggiare o imbrogliare le carte.
Effettivamente, i dati sull’Area C a Milano non hanno dato gli esiti sperati.
È puramente demagogico per avere consensi. Stranamente nessuno, a parte Automoto.it, a cui riconosco il merito, stigmatizza queste promesse che restano puntualmente non mantenute e che non provocano l’effetto sperato. Ma servono a guadagnare qualche voto in più alle elezioni.
Eppure, non passa giorno senza che venga annunciato un nuovo modello di auto elettrica o che una casa automobilistica non si dica pronta a investire in quel settore. Come se lo spiega?
Sono usciti diversi studi che dimostrano come l’auto elettrica, già alla sua nascita, abbia inquinato per 100mila chilometri. Inizia a pareggiare i conti solo dopo quella cifra. Ora, poiché la media dei chilometri percorsi in un anno da un’auto è di 11mila, mentre se è elettrica non va oltre i 9mila, per toccare quei 100mila chilometri impiegherebbe 12 anni. Il problema è che un’auto elettrica viene rottamata molto prima, di certo la batteria. Quindi moriranno tutte molto prima della loro carrozzeria. Per cui, dobbiamo considerare che il parco auto che inseriremo tra dieci anni, non solo sarà obsoleto ma anche famelico dal punto di vista di nuove batterie.
E qui rimane protagonista il suo grande amore per il diesel, giusto?
Sul diesel c’è da dire che ha emesso circa il 30% di CO2 in meno dei motori a benzina. È un regalo gigantesco, quasi un miracolo, però è stato maltrattato. In più, lo abbiamo caricato di filtro antiparticolato che ha eliminato il fumo nero, dotato di iniezione elettronica e quindi alla fine decisamente più pulito dei motori a benzina. Ma non avendo altre accuse da muovergli, i benpensanti hanno puntato il dito verso gli ossidi di azoto.
Ci spieghi meglio questa accusa al motore diesel.
Gli ossidi di azoto sono prodotti naturalmente nel diesel quando gira piano, mentre quando è caricato al massimo sono uguali al motore a benzina. Perché essendo motori ad altissimo rendimento lavorano con molta aria al loro interno che viene trasformata in ossido di azoto e questo è stato considerato il precursore del cancro. È come dire che lo zucchero è il precursore dell’insonnia perché lo metto nel caffè. Una equazione forzata che produce una accusa totalmente ingiustificata.
Non mi dirà che fa bene alla salute?
Guardi, i fulmini sono un sistema naturale che madre natura ha regalato alla terra per produrre ossidi di azoto, cioè acidi nitrici utili a fertilizzare il terreno. Noi uomini utilizziamo sali azotati per questo scopo. La natura lo fa tramite i fulmini. Ogni fulmine produce un chilo e sette grammi di ossido di azoto e pensi che le auto diesel ogni chilometro ne producono invece 0,80 milligrammi. Non mi sembra che ci si allarmi tanto della quantità che viene prodotta da un temporale di questa sostanza, con centinaia e migliaia di fulmini in sole ventiquattrore.
Sull’auto elettrica, lei ha segnalato in passato che puntare su questa tecnologia rischia di farci diventare succubi della Cina. Per quale motivo?
Perché possiede tutte le materie prime. È padrona di quelli nel suo vasto territorio, ma anche di quelli estratti dalle miniere africane di cobalto, quelle peruviane o boliviane di litio. Per le auto elettriche il litio è fondamentale alle batterie, il cobalto invece per gli elettrodi, mentre i metalli rari (ad altissima conduttività elettrica e termica, ndr) servono per i motori elettrici. Chi possiede queste materie prime ha il lucchetto di tutta la tecnologia del mondo. Per cui, più sposiamo l’auto elettrica e più spostiamo l’interesse industriale verso la Cina.
Non le sembra di esagerare?
No, d’altronde che l’auto elettrica sia sopravvalutata, sia per i benefici ambientali che a livello di efficienza aziendale, lo ha detto il numero uno della Toyota, Akio Toyoda: “Attenzione, passare alle auto elettriche è un costo per l’industria insostenibile”.
In tutto questo, come considera la fusione di FCA e PSA in Stellantis?
Andando giù piatto, penso che l’azienda italiana abbia riconquistato un po’ di competenza tecnica e di mercato che aveva perso. Ho avuto la fortuna di collaborare con Dante Giacosa, l’ultimo grande ingegnere in grado di progettare un veicolo e condizionare le scelte dell’intera azienda sulle auto da produrre, ma da allora in Fiat non ho visto prevalere grandi soluzioni ingegneristiche o motoristiche come hanno fatto altre case straniere. Per cui in questo caso ha avuto la meglio l’attenzione alla finanza, ma non certo al motore, alla passione, alla soddisfazione del cliente e all’affidabilità.
Una questione che invece sembra lontana dall’essere risolta è quella di Autostrade. Siamo al solito gattopardismo: cambiare tutto per non cambiare niente?
È un guaio tutto italiano. Spiace, perché i 5 Stelle avevano preso di petto la questione Autostrade indicando quali erano stati i problemi che avevano incancrenito i rapporti fra governo, società concessionarie e consumatori e sembrava si potesse rompere questo sistema malato. Ma purtroppo il vero cancro è rappresentato dall’insieme delle leggi approvate in passato, con concessioni rinnovate a scadenze lunghissime e con i testi dei contratti firmati senza guardare alle compromissioni. Come hanno potuto firmare un accordo che prevede, in caso di rescissione della concessione per colpa grave, che lo Stato debba pagare 20 anni di introiti da pedaggio senza ricevere in cambio nulla? Eppure, lo hanno fatto. Per cui Autostrade è un cancro politico che ha permesso di costruire e fossilizzare situazioni che oggi nessuna buona volontà riesce più a sbloccare.
Chiuderei con una sua battaglia storica, quella contro il proliferare degli Autovelox. A che punto siamo?
Fortunatamente un po’ migliorati. Qualcuno a Roma si è accorto che aver accettato strumenti elettronici per controllare l’ingresso in certe zone, la velocità, il passaggio con il rosso ecc ecc, non fa altro che moltiplicare per mille le infrazioni che prima erano rilevate dagli agenti. Infrazioni, fra l’altro, che commettono gli stessi vigili non andando sempre a 50 all’ora dove è previsto. È stato un modo per far salire in modo ingente gli introiti dei Comuni, mentre lo Stato riduceva la maggior parte del denaro che prima corrispondeva alle amministrazioni locali. È l’unico strumento malleabile nelle mani dei sindaci utile a far quadrare i bilanci. Ma rispetto a prima, almeno si è innescato un braccio di ferro fra il ministero, che cerca di ridurne l’abuso, e le nuove sistemazioni furbesche che vengono inventate in periferia per eludere queste norme e continuare a fare cassa.