Piero Colaprico, storica firma di Repubblica e giornalista che negli anni ’90 coniò il termine “Tangentopoli”, analizza con noi le inchieste che stanno scuotendo Milano e il loro intreccio con politica e urbanistica, spiegando perché non siamo di fronte a un nuovo caso Mani Pulite e sì, proprio per MOW ha coniato un nuovo nome: il caso di Beppe Sala è “Architettopoli”. Con lui abbiamo discusso anche di garantismo a “geometria variabile”, del caso Almasri e della gestione della ragione di Stato, delle ambiguità dell’opposizione su immigrazione e Albania, del conflitto israelo-palestinese e del ruolo controverso di figure come Francesca Albanese, relatrice speciale Onu che fatica a definire Hamas un gruppo terroristico. Nodi politici e internazionali che abbiamo sviscerato insieme, senza rinunciare a indicare le contraddizioni di destra e sinistra.

Sei stato colui che ha coniato il termine Tangentopoli. Nel caso di Milano si può parlare di una nuova Tangentopoli? E, in caso contrario, che termine conieresti?
Sicuramente Tangentopoli non c’entra niente, perché riguardava appalti e forniture, e fece scandalo perché venivano pagate mazzette persino sui pannoloni dei ricoverati di una casa di riposo o per le cure dell’Aids. Fu devastante. In questo caso abbiamo un’inchiesta della magistratura che riguarda un settore importante di Milano, quello dell’edilizia, ma non si vede uno scandalo morale come in Tangentopoli. Si vede gente che costruisce, chi si arricchisce, alcune persone che possono comprare case dai valori ormai intollerabili, e altre che non potranno mai permettersele. Su questo tema politico si è innestata l’inchiesta. Dalle carte che ho letto finora non riesco a vedere con certezza la corruzione. Vedo con certezza il conflitto di interessi, vedo comportamenti molto disinvolti nella Commissione Paesaggio del Comune di Milano: architetti che forse avrebbero dovuto astenersi dal prendere consulenze da imprenditori ai quali potevano dire “sì” o “no”. Questo mi pare evidente. Che poi il livello politico, assessore, sindaco, o il costruttore sia coinvolto, ancora non lo vedo. Sono curioso di leggere altre carte e capire meglio la situazione.
Non mi hai detto però che termine conieresti.
Direi "Architettopoli".
Tu ravvisi un profilo penale o è più una questione di opportunità politica?
Se ci fosse stato l’abuso d’ufficio o sfumature di traffico di influenze, lo avrei visto. Non riesco a vedere la corruzione: per esserci, serve un illecito provento. Qui non c’è. Gli architetti sono stati pagati per consulenze reali. In passato abbiamo visto consulenze assurde. Quelle sono truffe per coprire soldi illeciti. Oppure fondi che vanno “estero su estero”. Qui invece sembra ci sia del lavoro vero: in tribunale è difficile dimostrare che siano tangenti.
Una questione davanti alla quale il Pd, ma soprattutto il Movimento 5 Stelle, si sono riscoperti garantisti…
Oggi la politica è così: uno è garantista con i suoi ed è forcaiolo con gli avversari, da entrambe le parti. Invece bisognerebbe mantenere sempre un fondo di garantismo per tutti, valutando caso per caso. A Milano la destra ha attaccato politicamente Sala, in particolare Salvini e La Russa, ma dal punto di vista penale nessuno ha gridato allo scandalo, tranne i 5 Stelle, che a Milano non hanno mai avuto spazio o un numero importante di consiglieri. Hanno sempre fatto battaglie, ma sono stati tenuti fuori anche perché hanno prosperato altrove cavalcando l’onda della protesta, dell’inefficienza, della povertà. A Milano questi temi sono stati affrontati da tutte le amministrazioni, sia di destra che di sinistra, che hanno sempre mostrato attenzione verso poveri, senza casa, tossicodipendenti. Qui non c’è una fascia di disperati tale da affidarsi ai 5 Stelle.
Però abbiamo visto come anche il Pd, insieme a M5s, Avs, +Europa, chiedano due cose: che Meloni venga a riferire in Parlamento e le dimissioni, spesso usando l’arma giudiziaria, come nel caso Almasri.
Bisogna separare le cose. Nell’inchiesta della magistratura si può discutere sul garantismo, ma sul caso Almasri c’è un tema delicato: la ragione di Stato. In situazioni internazionali come i rapporti Italia-Libia esiste una zona d’ombra. Chi la naviga, ministri, servizi segreti, deve poter operare anche nel “non detto”. La vicenda di Almasri è diventata terreno di scontro perché il governo ha gestito male la comunicazione, dando più versioni. L’opposizione si è infilata in questa debolezza, ma credo non porterà a nulla, perché si tratta di una vicenda spiacevole ma necessaria per la sicurezza dello Stato.

Conte e Renzi hanno detto che si sarebbero comportati diversamente, ma senza spiegare come.
Esatto. Fare opposizione così è facile. Anche sul tema dell’immigrazione con l’Albania, la sinistra dice che i centri di rimpatrio sono sbagliati, ma non propone soluzioni. Questo tema è molto sentito e ha contribuito alla vittoria del centrodestra. O dici come lo vuoi risolvere, oppure ammetti di voler frontiere aperte. L’ambiguità non porta da nessuna parte. Meloni, al netto dei difetti, è chiara nelle sue posizioni.
A destra c’è anche il rifiuto di riconoscere lo Stato di Palestina e di usare il termine “genocidio”, a differenza della sinistra.
Ho letto molto sull’argomento, compresa un’intervista di Grossman e le parole di Liliana Segre. Penso che “genocidio” sia un termine sbagliato, perché apre la porta all’antisemitismo. Però Israele sta compiendo un massacro. Bisogna imporre un cessate il fuoco. A Gaza non ci sono giornalisti indipendenti occidentali: abbiamo solo la propaganda israeliana e quella di Hamas. La verità non la sappiamo. Ma Hamas ha preso civili, commesso atrocità e li tiene prigionieri: è un comportamento da criminalità organizzata, non da Stato.
Come ti spieghi la relatrice speciale Onu, Francesca Albanese, non riesca a dire che Hamas è un gruppo terroristico?
Chi ha un ruolo istituzionale dovrebbe attenersi ai fatti, non fare politica. Modificare i fatti in base alle opinioni non fa bene a nessuno. Hamas governa Gaza in modo non democratico e ha compiuto azioni terroristiche: non dirlo è negare l’evidenza.
Che futuro ti aspetti per la Striscia?
Temo il peggio. Netanyahu ha il sostegno di una parte dell’opinione pubblica che chiede sicurezza e interventi massicci. Se nessuno gli dirà di fermarsi, continuerà. Ma così si rischia di generare nuove generazioni di terroristi e di alimentare antisemitismo anche in Europa.
Come è possibile che la sinistra non condanni la deriva antisemita, pur facendosi paladina dei diritti?
Viviamo di slogan e dichiarazioni immediate. Servirebbe invece riflettere su cosa sia oggi la sinistra e cosa voglia. Bisogna aiutare la popolazione palestinese innocente e isolare Hamas, ma il tema è complesso. Negli anni ’60 e ’70 l’Italia si muoveva compatta su certe questioni internazionali. Oggi una situazione drammatica come questa non si è mai vista dalla Seconda guerra mondiale. È difficile metterci mano: non basta accusare l’altro schieramento, serve chiarezza e strategia.
