Le aule dei tribunali servono per dirsi le poesie? No. Ma è quello che è successo ieri a Brescia, nel bel mezzo dell’udienza fissata dal Riesame per discutere del ricorso sui sequestri disposti a carico dell’ex pubblico ministero di Pavia, Mario Venditti. Sì, c’è scappato anche il momento poesia con l'avvocato Ajello (difensore di Venditti), ma non è stato l’unico colpo di scena, perché se il protagonista dell’istruttoria era presente, accompagnato dal suo difensore, i pubblici ministeri titolari dell’inchiesta non si sono presentati. Una scelta che, per quanto riconducibile a prerogative processuali e legittimamente esercitabile, risulta però difficile da comprendere nella sua logica strategica e comunicativa. E che lascia intendere qualcosa che nessuno ha avuto ancora il coraggio di dire: si sta sgonfiando tutto, non tanto sull’inchiesta Clean, ma su quella della presunta corruzione da parte della famiglia di Andrea Sempio in merito all’ormai famosa archiviazione del 2017.
Ma andiamo per ordine: la Procura di Brescia aveva chiesto il sequestro dei dispositivi elettronici di Venditti – cellulare, pc e hard disk – sostenendo che al loro interno potevano esserci elementi utili a provare la presunta corruzione. I giudici del Riesame avevano già annullato un primo decreto di sequestro per genericità della richiesta; poi la nuova istanza arrivata mentre si attende ancora la motivazione del precedente provvedimento e in un contesto in cui pende una richiesta di incidente probatorio per acquisire i contenuti digitali. Disertare l’udienza da parte dei pm è significato, quindi, rinunciare a spiegare in aula, davanti ai giudici e alle parti, le ragioni di una richiesta investigativa. E, manco a dirlo, per Venditti si parla già di round vinto.
Nelle pochissime dichiarazioni rilasciate, l'ex pm di Pavia ha parlato di una strategia accusatoria che poggia su indizi che, alla prova del contraddittorio, si stanno rivelando meno solidi di quanto prospettato in origine. E, dispiace dirlo, è questa debolezza che rende incomprensibile la scelta di non presentarsi in aula. Ma che forse la giustifica proprio alla luce degli ultimi fatti. Se Massimo Lovati aveva infatti già ammesso a suo tempo di aver ricevuto compensi in nero dalla famiglia Sempio, ora pare esserci anche “la confessione” degli altri due ex legali, Soldani e Grassi, che, in un interrogatorio fiume durato diverse ore, dopo aver negato in ogni modo anche in interviste pubbliche, avrebbero ammesso di aver percepito anche loro denaro in nero dai familiari di Sempio come compenso per le loro attività difensive.
Tutto, insomma, come aveva detto Lovati, dipinto sempre di più come un mezzo avvinazzato in balia di se stesso, ma evidentemente molto più lucido e lungimirante (e pure diabolico) di molti altri che hanno un ruolo nell’assurdo show che s’è generato intorno alle indagini sull’omicidio di Chiara Poggi. Quello che viene da chiedersi, piuttosto, è perché si continui a non voler guardare nella direzione che proprio Lovati – parlando di un fantomatico sogno – ha più e più volte indicato. E’ come se si volesse guardare ovunque pur di non guardare dove si dovrebbe, in un vortice dove ormai il confine tra teatralità e concretezza del lavoro degli inquirenti e delle parti è andato a farsi benedire da un pezzo. Benedire ovunque, ma non alla Bozzola. O intorno alla Bozzola e a qualche “innominato” che comunque in tutta la narrazione continua a esserci.
Tra l’altro, anche nell’udienza di ieri non è mancato un mezzo momento di teatro. O, meglio, di stimolazione della tensione emotiva: l’avvocato di Venditti ha letto in aula “l’anatema” di per rendere percepibile “al pubblico” il senso di offesa e la sensazione di essere stati travolti da un’accusa costruita su indizi labili. Poche righe, litaniche e velenose, che hanno trasformato l’aula nella platea di quella che Venditti continua a definire “un’ingiustizia vissuta” e “un accanimento fondato sul nulla”. L’unica cosa che resta senza definizione, intanto, resta – purtroppo – chi ha ucciso Chiara Poggi.Jean Paul Sartre. Parole al veleno prese in prestito dalla letteratura