C’era un vecchio magistrato, conosciuto tanti anni fa e ormai passato a altri mondi, che durante una cena sconvolse un allora giovanissimo giornalista con poche frasi buttate là con una leggerezza che ancora oggi fa venire quella sensazione lì sulla pelle. La sintesi? Eccola: certe indagini sono come una passeggiata nel bosco tra fasci di luce che illuminano solo pezzi circoscritti di terra e ombre degli alberi; cammini e guardi, trovi e raccogli, metti insieme cose che forse costruiscono una storia e le infili in uno zaino sempre più pieno; poi alzi gli occhi, ti accorgi che sei arrivato vicino a una vecchia chiesa e te ne torni zitto e veloce indietro; quasi sempre lasciando lì lo zaino con tutto quello che c’era dentro, non necessariamente perché ci fosse un vero pericolo dentro o oltre quella chiesa, ma spesso per semplice, e miserabile, rispetto. Ecco, quelle frasi hanno accompagnato anni e anni di vicende narrate e sono ritornate a suonare in testa, sempre più precise e con sempre maggiore frequenza, adesso che il caso di Garlasco, o l’omicidio di Chiara Poggi se vogliamo chiamarlo così, sembra essere diventato l’argomento degli argomenti in Italia.

I misteri che non invecchiano ci piacciono. Le verità mancate pure. E la giustizia negata è sempre un’ottima scusa per mascherare l’umana curiosità morbosa. Fino a appassionarsi alla storia di inquirenti che per anni e anni hanno cercato, raccolto (spesso male) prove da infilare nei loro zaini, condannando, tornando indietro, ricondannando. Parlando. Omettendo. E ora, a quanto pare, pure mentendo. I fatti, anche su MOW, ve li raccontiamo ogni giorno, a volte con aggiornamenti quasi in tempo reale su tutto quello che ogni volta esce fuori. Adesso, ad esempio, si parla della presunta corruzione di un magistrato, che avrebbe intascato dei soldi per alleggerire, e poi archiviare, la posizione di Andrea Sempio (ma davvero pensiamo che un magistrato si accontenterebbe di 30 o 40mila Euro per una roba del genere?). Tutto quello che invece sembra nessuno voglia fare mai è accorgersi - tra le piste seguite in tanti anni, tra le rotte tracciate e poi abbandonate e tra le passeggiate investigative fatte – del minimo comune denominatore: è sempre a una chiesa che si arriva. Sempre alla chiesa: quella della Bozzola nel caso specifico. E, da lì, è come se una forza invisibile rallentasse il corso naturale delle indagini. Ma, come per la chiesetta simbolica della simbolica passeggiata, entrare sembra vietato e andare oltre pure. L’avevamo già scritto ormai qualche mese fa: c’è solo un potere (millenario) che è capace di una forza così
Quando si parla soprattutto di casi di cronaca nera (ma è esattamente lo stesso per le questioni legate a inchieste su grandi corruzioni) questa forza finisce inevitabilmente per trasformare “i pezzi che mancano nello zaino degli inquirenti che passeggiano nel bosco” in devastante silenzio. Spesso imposto. Altre volte “suggerito” da chissà quale morale. Ma che comunque protegge, devia, oscura. E, lasciatecelo dire, l’oblio quando è in qualche modo imposto somiglia tanto al pappone dell’impunità (che, se ha un pappone, fa quel mestiere lì più antico del mondo). Dalla scomparsa di Emanuela Orlandi ai tanti abusi insabbiati all’interno delle diocesi, fino a casi meno noti ma non meno inquietanti, anche di corruzione quotidianamente sotto gli occhi di tutti, gli inquirenti che, passeggiando, arrivano nei pressi di una chiesa si trovano poi a fare i conti con l'impossibilità di arrivare a una verità processuale pienamente credibile. Non sempre per dolo. Talvolta, lo ripetiamo, per il peso simbolico della Chiesa stessa: il suo potere sedimentato nei secoli che scoraggia da sempre ogni affondo investigativo (almeno fino a che fa comodo alla Chiesa stessa). Ma altre volte – e la cronaca giudiziaria lo dimostra – si tratta di veri e propri muri alzati per proteggere figure, equilibri, interessi. Su Garlasco è così, anche se tutti lo lasciano solo intendere e se ne guardano bene dal dirlo anche in quei programmi tv che sulla morte di Chiara Poggi, la galera di Alberto Stasi, l’opacità di Andrea Sempio e l’istrionismo stralunato di avvocati che sanno, ma non dicono, o non sanno ma dicono, ci stanno costruendo le loro fortune. Fino a che, appunto, non si arriva a una chiesa. Lì tacciono e tornano indietro anche loro.

Il caso di Emanuela Orlandi è l’esempio degli esempi. Da oltre quarant’anni, quella sparizione resta un enigma avvolto da mezze ammissioni e smentite tardive. La pista vaticana, per anni evitata come fosse blasfema, non riesce a essere al centro di una indagine credibile neanche adesso che è chiaro a tutti che togati e tonache hanno “fatto a capisse” (sempre a Roma sta il Vaticano). Ma quanto tempo è stato perso? Quante prove, quanti testimoni sono stati resi inutilizzabili dal tempo e dalla paura? Per Emanuela e per Chiara o, meglio ancora, per quelli che in vita ci sono ancora - si chiamassero Pietro (Orlandi) o Alberto (Stasi) – una verità piena non si avrà mai. Anche se ci piace credere il contrario e stiamo tutti lì a cercare di capire. Eppure la verità non è mai un affronto alla fede, cazzo! È, semmai, l’unica forma di rispetto per quella vita che la Chiesa stessa, o almeno Gesù Cristo, ci ha chiesto di onorare sempre. Continuare a fingere che certi poteri non esistano significa condannare l’intelligenza al di là di tutte le considerazioni che si possono fare sull’ autorità morale, sulla rete di relazioni politiche e istituzionali e sul muoversi sempre con il freno a mano tirato, consapevoli che ogni passo falso può scatenare reazioni ben oltre l’ambito giudiziario. "La legge è uguale per tutti" sta scritto quasi sempre sotto il Crocifisso (che sta più su, e magari non è un caso).
Il punto, sia inteso, non è un'accusa generica alla Chiesa come istituzione religiosa, ma la necessità di una ammissione - una volta per tutte e al netto della miserabile prudenza dei laici - di un potere parallelo, radicato in strutture opache, capace di influenzare anche le dinamiche dello Stato. E, quindi, pure della giustizia. Quindi sì, tornando a Chiara Poggi qualcuno ha recentemente annunciato “nuove clamorose rivelazioni sul Santuario della Bozzola”, ma attenzione, perché se qualcuno è di nuovo arrivato vicino a una chiesa, molto presto tornerà anche indietro. Magari facendo crede di aver catturato nel bosco un altro colpevole. O, al limite, senza spiegare al di là di ogni ragionevole dubbio perché è colpevole. A meno che non succeda qualcosa che difficilmente succederà mai davvero: la Chiesa che dica “non siamo intoccabili, anche se siamo in missione per conto di Dio”. C’è un nuovo Papa, che è arrivato dall’America delle rivoluzioni per – dicono – rivoluzionare, ma forse a una roba così rivoluzionaria non è minimamente pronto neanche lui. O, se dovesse esserlo, durerà pochissimo. Un passetto piccolo, comunque, l’ha fatto il 20 settembre scorso, quando, in occasione dell’anno giubilare, ha incontrato proprio gli operatori della giustizia, menzionando addirittura il rischio che la giustizia diventi un "potere autoreferenziale" e uno “strumento di oppressione”, ma badando bene di ricordare pure che “la giustizia è chiamata a svolgere una funzione superiore nell’umana convivenza, che non può essere ridotta alla nuda applicazione della legge”.
