Riccardo Muti all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano è un vero spettacolo. La sua lectio magistralis sul Don Giovanni è perfetta, ironica, irriverente e da grande direttore d’orchestra qual’è conosce bene il ritmo anche delle parole che pronuncia e, attentissimo a mai citare i diretti interessati, in una grande lezione tenuta insieme alla sua Orchestra giovanile Luigi Cherubini, prende per i fondelli tutti quanti e lo fa alla grande, senza risparmiare proprio nessuno. La lectio arriva a poca distanza dal concerto che Muti terrà in Vaticano nell’aula Paolo VI in onore a Papa Leone e la scelta di eseguire in proprio in Cattolica il Don Giovanni di Mozart è la scusa giusta per parlare nell’Aula Magna dell’Ateneo simbolo dei Patti Lateranensi, di quanto manchi ordine nella nostra società e di come certi valori, quelli del cattolicesimo, vadano difesi. Al tempo stesso, però è l’occasione giocosa e focosa per uno sfottò generalizzato di un po’ tutto quanto il parterre istituzionale presente in platea, e non solo. Tra i banchi dell’aula Magna vi sono tante divise stellate di alti generali delle Forze Armate, ma c’è pure Manuel Agnelli, una fila dietro Guerini. In prima fila monsignor Delpini, il Sindaco di Milano Beppe Sala, accanto Licia Ronzulli, il Presidente del Senato La Russa, il ministro dell’Università Anna Maria Bernini e tanti altri uomini di chiesa, politici e accademici.
La lectio del Maestro tocca più volte il nome di un suo punto di riferimento, Arturo Toscanini spiegando che il direttore forse non aveva studiato sui manuali americani per la direzione d’orchestra, però aveva ben cinque diplomi e senza giri di parole, Muti, dice che, cercando con gli occhi lo sguardo del ministro dell’Università Annamaria Bernini seduta in prima fila, “adess non hanno nient!”. Durante la direzione della sinfonia di Mozart nella parte in cui il Don Giovanni fa il suo ingresso a Siviglia, spiega che pur essendo un passaggio allegro, dentro quell’allegria c’è una melodia di dolore e così deve intendersi la musica. Quella musica suonata dai musicisti e non dal direttore, “che non deve fare il buffone sul palco e distrarre l’ascoltatore” con movimenti inconsulti. E con la sua grande teatralità fa un balletto, quasi ad imitare la forsennata gestualità della Venezi, molto apprezzata all’estero dai soffusi “what energy” del pubblico ignorante in materia di opera lirica e musica d’orchestra. “Io posso anche restare fermo, andarmi a prendere un caffè e loro continuano a suonare, però a me pagano di più e a loro pagano poco. Dunque, diventate tutti direttori, fate i direttori d’orchestra nella vita. Come diceva il mio maestro Antonino Votto, assistente di Toscanini. Lui mi ha insegnato i fondamentali di come si deve stare sul podio e ricordo che una volta mi disse, quando hai qualche problema basta fare così con la mano, come fanno i politici”. Applauso. Dopodiché c’è la discesa nell’inferno del Don Giovanni e a questo punto Muti si rivolge al monsignor Delpini, mettendolo in guardia “Padre, si va nell’inferno eh…”. Quando il direttore parla della gravità degli accordi costruiti da Mozart, che si stratta di “puro dolore. Sofferenza che dovrebbe essere pura musica, mentre adesso molti registi quando fanno la sinfonia recitano una scena sul palcoscenico. E questa è una cosa grave, perché significa che, se hai bisogno di questo, non credi nella musica. Alla Scala adesso pure si fanno queste cose, Sindaco, lei che è il presidente, quando se ne accorge dovrebbe alzarsi e dire no, così non si fa”. Sempre con lo sguardo rivolto alla prima fila, dove siede il Presidente del Senato La Russa – che intanto ascolta rapito e forse vagamente a disagio – Muti continua. “In Giappone da quarant’anni c’è una società di musicisti dedicata a me e pensate che l’hanno chiamata ‘Camerata Muti’. I giapponesi sono colti, però bisogna spiegarglielo… loro sanno che l’opera nasce in Toscana dalla Camerata dei Bardi, ma per fare omaggio a me… vabbé”. Tutti ridono, pure La Russa. Dopodiché riprende la direzione dell’orchestra e poi s’interrompe per continuare la sua lezione. “Mentre dirigevo ho dato anche la dimostrazione del fatto che non serve il buffone di corte sul podio che si strugge, che mostra di soffrire”. E poi mima certe pose sensuali, ansimando. Le risate del pubblico, e specialmente di Licia Ronzulli non si contengono. Riporta poi le parole di Toscanini il quale diceva “non rompete le… all’orchestra”. E fin qui la diretta interessata non viene mai citata, ma è evidente il riferimento a Beatrice Venezi. “Quando hai concertato e hai portato l’orchestra vicino alla tua idea musicale, dopo, lasciala suonare. Consiglio a tutti di andare a vedere il più grande direttore d’orchestra della storia. Totò a Capri. Tanto a fare così con la mano son buoni tutti. Fa dei gesti che sono tali e quali a quelli della… insomma quando voglio saperne qualcosa di più sulla gestualità della direzione mi rivolgò a Totò. Ma dimentico che sono in Università Cattolica, questo è il meridionale di Molfetta che è in me”.
E mentre l’orchestra riprende a suonare l’allegro che rappresenta la dinamicità del Don Giovanni, Muti si siede sul podio e guarda il suo pubblico, nella posa che è quella di un fanciullino. Ed è quella fanciullezza dell’anima che nessun politico o accademico che si collochi al di fuori della poesia può afferrare, sottomettere fino in fondo ai suoi servigi. Eppure il direttore con la sua orchestra Cherubini è in giacca e cravatta esattamente come loro. Ma il potere politico, di questo fuoco creativo, tecnico capace di ammaliare è al tempo sedotto e inquietato, lo si nota dalle espressioni del sindaco di Milano Beppe Sala, del Senatore La Russa, del ministro Bernini, di Guerini in seconda fila, di Romano Prodi ancora più in là. Tutto il variopinto parterre istituzionale e accademico che assiste se ne sta lì, impotente e non può che applaudire di fronte a quel che non può possedere del tutto. Per questo quando può, cerca di portarlo dalla propria parte. Ma Muti in questa occasione rende così palese il fatto che l’arte, la cultura, quelle vere, non si lasciano afferrare, né nominare, per scelta politica. E solo quella cultura ha le carte in regola “per mettere ordine nel disordine del Don Giovanni, altrimenti andiamo tutti dritti, all’inferno”. E quando Muti andrà a dirigere per Papa Leone XIV il concerto in suo onore con la sua orchestra, in qualche modo chiuderà il cerchio della notizia che per primi abbiamo dato su queste colonne digitali a proposito della nomina di Beatrice Venezi alla Fenice come direttore stabile che ormai da mesi sta facendo discutere e soprattutto protestare pesantemente gli orchestrali che lei dovrà dirigere. Lanciando una provocazione, se ricordate, ci domandavamo se gli orchestrali della Fenice avrebbero protestato allo stesso modo se al posto di Venezi fosse stato nominato, appunto, Riccardo Muti? Noi, crediamo di no. Chissà perché.