Alla Fenice di Venezia è in arrivo una nomina che sta già facendo discutere: Beatrice Venezi come direttore d’orchestra stabile. Diverse orchestre avrebbero già manifestato la volontà di non suonare con lei. La domanda che circola negli ambienti musicali è provocatoria: se un grande maestro come Riccardo Muti avesse la tessera di Fratelli d’Italia, ci sarebbe lo stesso rifiuto? Vale la pena sacrificare il prestigio della Fenice per una tessera di partito?

Il contesto è reso ancora più complesso dalle dinamiche interne al teatro. L’ex direttore artistico Fortunato Ortombina, oggi alla Scala, aveva già preparato il programma della stagione in corso. Il nuovo sovrintendente e direttore artistico della Fenice, Nicola Colabianchi, arrivato dal Teatro Lirico di Cagliari, è stato nominato tra le polemiche, anche lui considerato frutto di una scelta politica. Per ragioni anagrafiche resterà in carica solo un anno e, trovandosi un cartellone già pronto, non ha potuto incidere sulla programmazione. La sua decisione di nominare Venezi rischia quindi di avere un impatto limitato nel breve periodo, ma potenzialmente pesante per il successore, che dovrà gestire le tensioni tra politica, orchestre e pubblico. Una vicenda che riapre la discussione sul ruolo della politica nei teatri d’opera italiani, e su quanto sia opportuno che il palcoscenico diventi terreno di scontro ideologico anziché spazio di pura musica.
