L’assetto della Giustizia contro le falle della Giustizia. Ok, il titolo è una provocazione, ma non vedere che intorno alle indagini sul delitto di Garlasco stanno emergendo – o comunque finendo sotto gli occhi di tutti – tutti i limiti del sistema Giustizia in Italia sarebbe da ciechi. Non centra la specificità della riforma che è attualmente al centro del dibattito politico, ma c’entra l’evidenza che, ormai, i vecchi codici del diritto e delle procedure sono superati. Perché modernità, progresso e, inevitabilmente, anche nuove forme di comunicazione e diffusione, hanno fatto sì che restassero nel campo degli usi e delle consuetudini aspetti che, invece, andrebbero normati. Altrimenti è nel campo delle contraddizioni e del non buon senso che si finisce per giocare anche indagini e processi. Ecco perché, paradossalmente (e anche tristemente) la vera riforma della giustizia – o almeno buona parte di essa – la sta facendo Mario Venditti, l’ex pm indagato dalla Procura di Brescia nell’ambito dell’inchiesta Clean e per la presunta corruzione da parte dei familiari di Andrea Sempio.
Dove porterà quell’indagine, se ci sono state responsabilità o meno, sarà l’indagine stessa e l’eventuale processo successivo a dirlo. Così come, si spera, saranno le indagini che contestualmente sono state riaperte dalla Procura di Pavia a stabilire finalmente chi ha ucciso davvero Chiara Poggi e se Alberto Stasi ha passato ingiustamente o no gli ultimi dieci anni della sua vita in prigione dopo la strana condanna in via definitiva che ha fatto seguito a due precedenti assoluzioni. Il tema, qui, non è quello, ma i buchi neri nel sistema giustizia su cui l’ex pm Mario Venditti, da uomo di legge, sta impostando, insieme ai suoi legali, tutta la sua difesa. A cominciare dalla battaglia sui dispositivi informatici sequestrati — telefoni, pc, chiavette e hard disk — che è ripetutamente tornata davanti al Tribunale del Riesame di Brescia. Per domani, venerdì 14 novembre, è fissata la terza udienza in poche settimane, dopo che i ricorsi della difesa hanno già ottenuto l’annullamento parziale di decreti di sequestro e la restituzione, per alcuni indagati, dei beni. Al centro del contendere ci sono due filoni distinti ma intrecciati: l’indagine bresciana per corruzione in atti giudiziari legata al caso Garlasco e l’altro filone definito “sistema Pavia”, che ipotizza peculato e favoritismi nella gestione dei servizi d’ufficio.
La Procura di Brescia sostiene che i dispositivi contengano “elementi utili alla prova del reato”, giustificando l’ampia perquisizione con la necessità di ricostruire rapporti e flussi di denaro tra inquirenti, famiglie, avvocati e consulenti tecnici. Ma la richiesta di accesso a undici anni di ricerche e chat ha sollevato obiezioni immediate: la difesa, guidata dall’avvocato Domenico Aiello, ha invocato limiti temporali e parolechiave mirate, nonché la supervisione di un giudice terzo mediante incidente probatorio. In sostanza: cercate pure, ma non scavate in una vita, semmai limitatevi a cercare ciò che vi interessa. Al netto delle opinioni personali o della morale, è giuridicamente una obiezione che sta più che in piedi e che non riguarda solo l’indagine su Venditti, ma quelle – avviate o eventuali – su chiunque e in qualsiasi campo da parte di qualsiasi Procura. ‑
C’è, poi, un altro grande tema che invade addirittura il campo della filosofia del diritto: si è realmente legittimati a indagare per un omicidio in concorso quando la Cassazione, con sentenza passata in giudicato, ha già condannato un imputato specificando che ha agito da solo? Umanamente sì. Moralmente sì, Eticamente sì. Ma giuridicamente, purtroppo, no. E Venditti lo sa, tanto che a più riprese, negli ultimi giorni, ha fatto sapere di voler denunciare i magistrati di Pavia. Il nodo? Prima di indagare su Sempio o su chiunque altro andrebbe provata l’innocenza di Alberto Stasi. Ok, sono tecnicismi giuridici, ma esistono perché il sistema giustizia è superato, ma si chiudono gli occhi preferendo, piuttosto, parlare di separazione della carriere e questioni che saranno anche importanti, ma che non riempiono i vuoti abnormi che ci sono.
Risultato? Siamo in un sistema giudiziario che, nell’affrontare casi di grande eco mediatico e intrecci storici, mostra contraddizioni: da un lato la necessità investigativa di esplorare ampiamente, dall’altro la legittima tutela delle garanzie difensive rispetto a perquisizioni e sequestri potenzialmente invasivi e prolungati nel tempo, oltre al rispetto delle sentenze già passate in giudicato. Le mosse di Venditti — ricorsi al Riesame, richiesta di incidente probatorio, minacce di denunce — appaiono in parte comprensibili, ma contestualmente non si può ignorare che tali stratagemmi processuali rischiano di rallentare indagini delicate e di ostacolare l’acquisizione tempestiva di prove. Ormai c’è troppa distanza tra le esigenze probatorie, diritti individuali e qualità delle decisioni giudiziarie: accorgersene e cominciare a ragionarci sopra sarebbe l’unica vera riforma della giustizia che metterebbe d’accordo tutti, muovendo dal buonsenso piuttosto che dalle posizioni ideologiche.