Una scelta netta, motivata, coerente. Nicola Porro chiude i ponti con Bari e con il Teatro Petruzzelli, sede storica della sua rassegna La Ripartenza: liberi di pensare, dopo la consegna delle chiavi della città a Francesca Albanese, relatrice speciale dell’ONU per i territori palestinesi occupati. Un atto simbolico dell’amministrazione del sindaco Vito Leccese che ha avuto, come immediata conseguenza, lo spostamento dell’edizione 2026 del format ideato dal vicedirettore de Il Giornale. “Vado via”, aveva detto l’11 luglio Porro sul palco e dopo, in un video sui social, ha spiegato le ragioni della sua decisione: “Sono ben contento di scegliere una nuova location per cercare di celebrare il Sud, che invece di pensare di dare la cittadinanza alla signora Albanese si potrebbe occupare delle cose serie che ancora esistono in quella regione pugliese, fantastica, di lavoratori di persone perbene, che non si sentono rappresentati da questi pessimi amministratori”. Ma il punto centrale, in tutta questa vicenda, non è solo la consegna delle chiavi. È quello che Francesca Albanese ha detto e oggi rappresenta. Nel corso del suo intervento, infatti, la relatrice speciale delle Nazioni Unite si è spinta ben oltre quello che dovrebbe essere il ruolo istituzionale: “Lo stanno facendo altri sindaci, la Regione Puglia può essere la prima a farlo: serve un’ordinanza che ricordi ai cittadini l’obbligo di non ospitare più prodotti made in Israel”, ha affermato Albanese, invocando il boicottaggio economico e commerciale contro lo Stato ebraico.

Ma non si è fermata qui. Ha chiesto anche una revisione completa dei rapporti tra enti pubblici e privati italiani e il “sistema israeliano”: “È fondamentale capire i collegamenti delle aziende come la Leonardo spa che fornisce componenti essenziali per la polverizzazione di Gaza, assistenza strategica e militare e il perfezionamento dei droni. È necessario che ci sia una disamina di tutte le relazioni che ogni ente pubblico e privato ha col sistema israeliano, universitario, economico, bancario. Che siano vendite etiche e appalti etici, è un impegno minimo”. Minimo, secondo lei. Ma intanto chi paga il prezzo? Che colpa hanno i lavoratori delle aziende che la Albanese vorrebbe boicottare? Nessuna. Eppure, rischiano di essere il primi a farne le spese, in nome di una posizione ideologica che ormai va ben oltre il mandato ONU. Perché Francesca Albanese non è soltanto una relatrice speciale: è ormai diventata, nei fatti, un punto di riferimento politico per una certa sinistra militante, sempre più incline allo slogan che alla responsabilità.

È già iniziata la campagna elettorale della Albanese? Se davvero avesse voluto mantenere un profilo tecnico, se avesse voluto difendere con rigore e imparzialità il suo incarico istituzionale, avrebbe potuto gentilmente declinare la cerimonia, evitando di prestarsi a un’operazione che inevitabilmente porta con sé il sapore del consenso politico. Sarebbe stato più elegante, più professionale. Ma forse non è ciò che cercava. Perché tra un saluto con il pugno chiuso, la sua perenne presenza nei salotti televisivi, nonché i suoi slogan che tutto hanno fuorché un low profile, ecco che chiedersi con quale partito si candiderà o di chi diventerà la nuova bandierina è più che legittimo. In un mondo attanagliato dal nichilismo, da personaggi in cerca d’autore, o meglio di voti, spesso privi di identità, una figura come quella della Albanese che può propinarci per i prossimi trent’anni il suo status di vittima dei brutti e cattivi Stati Uniti, è il perfetto emblema del cliché di una certa politica italiana. Ed è anche per questo che la scelta di Porro non può essere ridotta a una polemica sterile. È un atto di coerenza.