Ti aspetti il male in persona, trovi una donna minuta, educata, che non dimostra i suoi 80 anni. Poi, mentre ci parli, ogni tanto cambia il tono della voce, che diventa acuto e stridulo, abbassa il mento, alza il sopracciglio sinistro, tira fuori uno sguardo che ti paralizza e la riconosci: è lei, Wanna Marchi. Accanto, sempre, sua figlia Stefania Nobile. Inseparabili. Hanno fatto la storia dell’Italia televisiva e moderna. Sono entrate nelle nostre case, prima come venditrici e poi come imputate. Sul canale ReteA negli anni 80 e 90 hanno venduto tutto, prodotti dimagranti con estratti di alghe, creme scioglipancia, rametti d’edera spacciati per miracolosi ma colti nel cortile della loro società Ascié, numeri del lotto, talismani, amuleti, kit contro le influenze maligne. Hanno curato l’anima, il malocchio e le pene di amore con l’aiuto del mago Do Nascimento sfruttando la credulità popolare insita in ognuno di noi. Wanna è stata chiamata “regina delle televendite”, “teleimbonitrice”, l’urlo per ottenere l’assenso dei telespettatori era il suo marchio di fabbrica: «D’accooordo?». Nel 2001 le inchieste di Striscia la Notizia e Mi Manda Rai Tre, l’accusa di truffa aggravata e associazione per delinquere, i processi, i nove anni di carcere per tutte e due. Dal 2013 sono fuori, e adesso che per la giustizia hanno pagato quello che dovevano pagare, sono anche tornate in tv. In modo estremo, alla loro maniera, con una docu-serie in quattro puntate su Netflix, a partire dal 21 settembre. Insomma, riecco le streghe. Torneranno pure a vendere, anche se non hanno mai smesso in realtà.
Irriducibili.
Stefania: «Anche in carcere quando hanno capito che insieme eravamo troppo forti ci hanno divise. Tra me e lei in fondo ci sono 21 anni, e verso di lei ho sempre avuto un forte senso di protezione».
Troppo forti in che senso?
«Che non ci piegavamo, noi non abbiamo mai preso un sonnifero in vita nostra, mai uno psicofarmaco, mai niente. Eravamo forti, ci bastavamo. Ci eravamo creati la nostra dimensione anche lì dentro e quindi ci hanno diviso. A me hanno mandato a Pisa, lei è rimasta a Bologna».
La bambina di Castel Guelfo
Prima di affrontare il periodo in carcere, però, voglio tornare indietro. A quando Wanna Marchi era una bambina, perché della sua infanzia e adolescenza non si è mai saputo granché. Chi era la piccola Wanna? Quando glielo chiedo, mi fa: «In che senso, scusa?». Poi dice: «Non farmi piangere oggi, sennò ti odio. Non mi piace piangere, non piango più da una vita».
Voglio sapere da dove arrivi…
Wanna: «Io sono figlia di contadini, i miei genitori non avevano un pezzo di terra, non avevano niente, erano - una volta si diceva così - sotto padrone: lavoravano la terra degli altri. Mio papà è morto che avevo 15 anni, lo hanno operato per un tumore e lo hanno mandato a casa con lo stomaco aperto, dopodiché con mia madre e il mio fratellino siamo andati a Bologna».
Di dov’eravate?
«Castel Guelfo, metà romagnoli, metà emiliani, siamo ai confini. Io ero una bambina felice, ma molto povera. Molto povera e molto curiosa, una bambina strana per quei tempi, scappavo da tutte le parti hai capito? Ho sempre avuto chiaro che ero nata in un posto sbagliato».
Perché?
«Ma dai, in mezzo alle pecore, alle capre, io? Ma per favore. Dopo la morte di mio padre ho cominciato a lavorare, facevo la figurinista, disegnavo abiti e guadagnavo bene, benissimo, guadagnavo più di un direttore di banca a quei tempi, mentre mia madre lavorare al mercato della frutta. Poi ho avuto la bella idea di sposarmi, il più grosso errore della mia vita».
Però…
«Però ho avuto due figli subito, meravigliosi, ma per amore non ci si sposa a 18 anni, credi a me».
Né Maurizio né Stefania si sono mai sposati.
«Ringrazio Dio tutti i giorni di non avere nipoti, sono grata al Signore. Io ho passato tutta la mia giovinezza ad aspettare loro due che tornavano a casa dalla discoteca, di notte, ho fatto io da padre, da madre, da sorella, da vicina di casa. Non riuscirei a ripetermi».
Ma il rapporto con i tuoi genitori com’era?
«Mio papà lo ammiravo e lo amavo a dismisura, mia madre invece l’ho sempre definita stupida e lo era veramente. Era sicuramente molto bella, bellissima, sembrava Marlene Dietrich, hai presente il tipo? Ma viveva nel suo mondo, non andavamo d’accordo, non parlavamo mai, per questo mi sono sposata presto: per uscire di casa e separarmi da lei».
Chiudi gli occhi: il primo ricordo?
«Il regalo di una bicicletta usata che aveva lo scatto libero, mi spaccavo le gambe tutte le volte che la prendevo. Mi viene in mente il primo cappotto che mi sono comprata. Quando ho visto mia figlia uscire da me, era tanto grande, era grossa: 4 chili e 4, tantissimo».
Da figurinista a estetista.
«Ho avuto sette negozi nella mia vita. Sono stata la prima ad aprire un negozio da estetista a Bologna. La PRIMA! (urla). In assoluto».
Da estetista a personaggio televisivo.
Wanna si alza, va in bagno. Per lei risponde Stefania: «L’abbiamo raccontato in centomila contesti: venne un ragazzo a proporle delle pubblicità, lei firmò sto contratto da 6 milioni di lire, ma l’aveva firmato per sbaglio, credeva fossero 600mila lire. Quando se ne accorse, disse a quel ragazzo che non poteva pagarlo e lui le propose: “Guardi, noi facciamo un programma meraviglioso, si chiama Gran Bazar, se viene può vendere anche lì”. Ed è nata così, parliamo del 77-78».
L'ascesa e i no a Craxi e Berlusconi
Ritorna Wanna: «Ma che ho cominciato in radio lo sai? Secondo me tu non lo sai. Io in radio non temo NESSUNO! (urla), neanche Fiorello».
Cioè prima di Gran Bazar, vendevi in radio?
«Certo, oooh sì, X Radio. Poi ne ho girate diverse, credo di essere stata l’unica persona a vendere qualsiasi cosa anche in radio. Dicevo una cosa tipo: "Se perdete i capelli vi aspetto giovedì in un albergo di Cesena, se li avete già persi non venite, ma altrimenti venite e io ve li faccio ricrescere”. Incassavo anche 150 milioni alla volta».
Ma quando hai capito che eri brava a vendere?
Wanna: «Ma sai che io non mi sono mai sentita brava? Però ho sempre avuto intuito. Camminavo per la strada e vedevo che erano tutti grassi, quindi mi venne naturale vendere un prodotto dimagrante. Poi va be’, vendere mi riesce facile».
E secondo te da dove arriva questo talento?
«So solo che la prima cosa l'ho venduta a 8 anni: gli orecchini che mi avevano ficcato nelle orecchie e che non volevo. Mi servivano soldi, c’era la figlia di uno stronzo ricco del paese che gli piacevano i miei orecchini, le ho detto: “Dammi 1000 lire e te lo do”. Bene, il giorno dopo ho preso un sacco di botte dai miei perché a quell’epoca per le femmine gli orecchini erano preziosi. Intanto però li avevo venduti ed ero contenta. Dopo, sai, dovevo vendere per mantenere i miei figli, perché il loro padre non mi ha mai dato 50 lire, MAIIIII (urla). I miei figli dovevano mangiare, non avevano le scarpe, non avevano niente, io non avevo i soldi neanche per pagare la luce elettrica, neanche per pagare la bolletta dell’acqua. Come li facevo, i soldi? Facendo la puttana? No. Allora ho iniziato a vendere, per me era un gioco, una sfida con me stessa. Tutte le volte che ho venduto tanto mi sono sempre detta: “Ah, potevi vendere di più”. A Rete A c’era il cartellone con la classifica dei venditori. Io non potevo mai essere la numero due, MAIII (urla)».
Crescere con una mamma così è impegnativo, no?
Stefania: «Ma va, io e lei siamo complementari. Lei da sola non sa far niente».
Wanna: «Non sono neanche capace di spendere i soldi, non so come dirti».
Stefania: «Non sa amministrarsi, non sa usare il telefono...».
Wanna: «Io ho la quinta elementare, ma a scuola ero talmente brava che le maestre chiamarono mio papà e gli dissero che dovevo continuare a studiare. Dopo quella telefonata per la prima volta l'ho visto piangere. PIANGERE! (urla). Ma servivano i soldi per mandarmi a scuola e i miei zii hanno detto di no, perché ero femmina e per una femmina non serviva studiare. Mia madre mi obbligò a imparare il lavoro della sarta e quell’ago lo ricorderò finché vivo, lo odiavo, io volevo fare il medico, infatti tutti gli animali che trovavo e che stavano male li operavo, li tagliavo e li ricucivo sì, facevo delle cose pazze. Da madre ho pensato che i miei figli dovevano avere tutto ciò che io non avevo avuto. E nonostante la quinta elementare mi sono tolta delle soddisfazioni. Oh, io ho incontrato Craxi, l’ho frequentato, voleva che entrassi nel suo partito e ho detto di no; ho incontrato Berlusconi, voleva farmi fare “Ok, il prezzo è giusto”, ho detto di no…».
Ma perché hai detto di no a “Il prezzo è giusto?”
«Me lo ricordo come se fosse adesso, Berlusconi era davanti a me, un ometto con un pulloverino azzurro sulle spalle nella villa di Dell’Utri, a Porto Cervo. Era seduto sulla scala perché la casa era piena di gente per una festa e lui mi propone questa cosa. Io dico: “Guardi, mi dispiace molto, ma io ho un’azienda di 92 persone”. Mi risponde: “La chiuda”. Non accetto e rilancio: “E poi non è un programma che mi piaccia tanto, magari se si potesse cambiare qualcosa…”. Lui seccato mi dice: “È la prima volta che ricevo un no nella mia vita”. Si alza in piedi prima che lo facessi io. Penso: “Che maleducato”. Gira il culo e se ne va. Poi l’ho incontrato ancora, ma a me tutte queste persone laureate, famose, potenti, non mi hanno mai fatto effetto».
Provi rimpianto?
«Per questo no. Lo provo perché avrei potuto dire di sì a Craxi quando mi offrì mezzo miliardo di lire, mezzo miliardo hai capito?, solo per fare uno spot dove dicevo che votavo socialista. Però pensai: “Se lo faccio compreranno da me solo chi vota così, ma chi non vota socialista lo perdo”. Craxi era un signore. Una volta mi ha dato appuntamento a Pisa ma mi ingannò, pensavo che ci saremmo visti in un ufficio invece andammo in una piazza piena di gente. Mentre saliamo sul palco, mi mette una mano sulla spalla e mi fa: “Grazie di esser venuta”. Appena la folla mi vede comincia a gridare: “Wanna! Wanna! Wanna!”. Mi aveva voluto testare. E dopo questa apparizione mi ha offerto di fare la pubblicità».
Chi votereste oggi in Italia?
Wanna: «Io ho sempre votato per i radicali».
Stefania: «Però da quando siamo andate in galera non abbiamo più votato».
Wanna: «E non voterò mai più, se non ero degna da carcerata, non sono degna neanche oggi».
Pro o contro liberalizzazione delle droghe?
Stefania: «Io aprirei i casini, liberalizzerei le droghe e tutto quanto. C’è il libero arbitrio no?».
Qui un estratto dell'intervista video. La versione completa è sul canale YT di MOW
Gli anni di carcere
Il percorso carcerario di Wanna e di Stefania è durato nove anni: carcerazione preventiva a San Vittore, poi i domiciliari a Bologna, il processo, la condanna definitiva, quindi il ritorno nel carcere di Bologna. Da qui le loro strade si sono divise. Stefania è tornata due volte a San Vittore, poi Pisa, ritorno a Bologna, ancora Pisa e ancora San Vittore: «A causa del mio stato di salute non mi voleva nessuno, io ho un importante artrite reumatoide, diagnosticata quando avevo 30 anni. In galera sono arrivata a pesare 41 chili e nonostante questo non mi hanno mai concesso i domiciliari né una detenzione in ospedale». Wanna invece dopo Bologna è stata trasferita a Bollate. Dai primi servizi di Striscia all’uscita dal carcere sono passati 12 anni, dal 2001 al 2013.
Come avete fatto a sopportare tutti questi anni?
Wanna: «Prima mi hai chiesto quali sono i miei ricordi. Allora, quando ci hanno arrestato e siamo arrivate là, una cosa che non dimenticherò mai è il momento in cui ti spogliano completamente e resti nuda. Per me uno shock. E poi ti dicono di fare le flessioni, alla mia età, capito? È umiliante. Non dimenticherò nemmeno le ciotole che ti mettono in mano».
Stefania: «Le ciotole da cane».
Wanna: «Quando sono arrivata in cella, mi sono guardata intorno e ho pensato: “Oh mio dio, io qua ci devo stare, quindi è inutile che mi dispero. È inutile che pianga, è inutile che urli perché non serve a niente! Ho guardato fuori dalla finestra e ho pensato: “Be’ almeno posso guardare le nuvole”».
Chiusa la cella e rimaste sole lì dentro cosa vi siete dette?
Stefania: «Evitavamo di guardarci, perché saremmo scoppiate a piangere tutte e due. Ti senti chiudere questo cancello alle spalle, senti queste 6 mandate, come a dire “cane, stai lì”, e mi è venuto istintivo cercare di respirare. Mi è subito sembrato che il respiro non fosse come fuori, è difficile da spiegare, mi è sembrato che lì dentro l’aria fosse di meno, e mi sono abituata a respirare in modo diverso, un po’ da cane, facevo mini inspirazioni, velocemente. Non abbiamo mai saltato un’ora d’aria, mai, anche se pioveva, nevicava o avevo la febbre, con 50 gradi o 20 gradi sotto zero, piuttosto uscivo gattonando ma uscivo. E quando ero fuori respiravo perché pensavo che l’aria mi sarebbe doveva durare per le altre 23 ore».
Wanna: «Poi sai, il mondo dei carcerati non è il mondo a cui siamo abituati. I sorrisi son diversi, gli occhi della gente son diversi. Vivi di speranze. Io ricordo che ascoltavo continuamente Radio Radicale aspettando la notizia di un’amnistia. Con questa speranza vai avanti un giorno, un mese, un anno e di piùi, c’è gente che così va avanti 30 anni, hai capito?».
Stefania: «In carcere non sei niente, l’abbiamo visto anche ultimamente con i filmati di violenze sui detenuti. Devi sapere che a San Vittore abbiamo assistito a un pestaggio di una carcerata legata alla branda. Eravamo chiuse nella cella di fronte e io urlavo come un'aquila: “Maledettiiii”. Il giorno dopo mi mandò a chiamare il direttore di S. Vittore, una persona eccezionale. “Nobile, si sieda”, mi ricordo ancora le sue parole. “Senta Nobile ma lei di sera non può guardare la televisione come fanno tutti gli altri detenuti, perché se quando io vado via, lei cade dalle scale o si fa male, come si fa?”. Io dissi: “Ma scusi, è pieno di telecamere, è possibile che lei non sappia cosa succede?”. E lui mi fulminò, passando al tu: “Quelle telecamere lì non sono mai andate, quindi io ti do un consiglio. Fatti i cazzi tuoi Nobile”. Si chiama Mario Pagano, una persona eccezionale. Da libera sono pure andato a trovarlo e lui quasi piangeva: “Non mi è mai successo che un detenuto mi venisse a ringraziare”.
Wanna: «Un uomo straordinario. Il suo sguardo me lo ricordo bene, lui voleva dirmi: “Pagherai, pagherai anche per quello che non hai fatto, ma finirà, vai tranquilla che finirà, quindi sopporta perché finirà”».
Stefania: «Una cosa stupenda è che lui riceveva tutti, in nessun altro carcere sono riuscita a parlare con il direttore».
“In carcere hanno provato in tutti i modi a farci suicidare”: questa frase l’hai detta tu, Stefania.
Wanna: «Ma non abbiamo mai pensato di farlo. I giorni passano lenti, ma passano».
Stefania: «Io leggevo tantissimo. La bibliotecaria era Pina Auriemma, la co-imputata della Reggiani per l’omicidio Gucci. Con la scusa di portarci i libri mi veniva sempre a trovare in infermeria. Leggevo 3-4-5 libri alla settimana, un continuo, però adesso non riesco più, perché identifico la lettura con il carcere. Come lei non riesce a dipingere».
Wanna: «In carcere dipingevo ad acquarello. Un pittore tempo fa mi ha detto: “È strano che tu sappia dipingere ad acquarello perché è una tecnica che noi pittori impariamo dopo un po’”. Ma a me è venuto naturale. Peccato che non ci riesca più, era una bella evasione».
Oltre a dipingere cucinavi.
Wanna: «Sì, ma quello lo facevo anche prima e infatti continuo tuttora. Come faccio i tortellini io…».
Prego, la ricetta.
Wanna: «Innanzitutto occorrono materie prime che vengano da Bologna perché se no non riesci a farli così buoni. Poi ci vuole prosciutto crudo, lombo di maiale, mortadella, parmigiano rigorosamente reggiano, un pochino di noce moscata, rosso di uovo, brodo di carne di cappone e basta. Infine vai di impasto, tiri la sfoglia e fai i tortellini. Comunque è una fatica tremenda perché per farne tanti piccoli piccoli ti viene il mal di schiena. Il vero tortellino deve essere grande come l’ombelico di una donna».
Gli errori, le scuse, le preghiere
In cosa avete sbagliato?
Wanna: «Talmente tante cose che non te le saprei neanche elencare».
Stefania: «Ogni tanto dicevo: questo è l’ultimo anno e poi non facciamo più niente. Poi però guadagnavamo talmente tanto che ci ripensavo. Il mio più grosso errore è stato non fermarmi».
Wanna: «Però, sai cosa?, siamo vive. I soldi sono carta straccia, vanno e vengono».
Quanto avete in banca?
Stefania: «Il minimo indispensabile per vivere, ho il terrore delle banche. I soldi vanno investiti».
Quando si parla di voi, spesso di parla solo di voi. Però c’è anche Francesco, il compagno di Wanna, Di lui, Wanna, hai detto: “Mi ama da trent’anni, la sua unica colpa è di amarmi”.
Stefania: «Be’ è il suo capo d’imputazione: “Poiché compagno di Wanna Marchi”. Così c’è scritto nella sentenza».
Wanna: «3 anni si è preso, ti rendi conto? L’uomo più onesto e più buono che esista sulla faccia della terra. Non c’entrava assolutamente niente. Eppure, vedi, è rimasto accanto a noi».
Stefania: «Però anche lui ha subito un trauma. Per nove mesi ha vissuto in una capanna di legno in mezzo al bosco e ripeteva che lui non meritava niente e che se la natura gli offriva qualcosa da mangiare, mangiava. Adesso però si è ripreso, è il mio papino. Io, qualsiasi ora ritorni a casa, mi metto un po’ lì a letto con lui e ci raccontiamo le favoline».
E poi c’è il fratello maggiore, Maurizio.
Stefania: «Lui non l’abbiamo mai coinvolto».
Lui cosa fa?
Wanna: «Non te lo dico».
Ai magistrati che vi hanno giudicato, Piercamillo Davigo e Antonio Esposito, non avete mai risparmiato critiche. Ritenete di aver pagato troppo?
Stefania: «Be’, cazzo. Ti dico solo questa, una cosa di cui non mi pento ma di cui mi sento in colpa nei confronti di mia mamma e Francesco. Ai tempi ci fu fatta la proposta di patteggiare e non fare un giorno di galera, io mi rifiutai perché ero convinta che mi avrebbero processato per ciò che avevo commesso, non per molto di più. Che sia chiaro: io non ho mai detto che sono innocente, ma di sicuro non siamo colpevoli di tutti i reati per i quali ci hanno incolpato. Non ci sono innocenti in carcere, ce ne è uno su un milione».
Wanna: «Ah, ma proprio uno su un milione. Esempio, mi espongo: per me Bossetti è innocente. Non ha ucciso lui la ragazzina Yara Gambirasio. E pura Rosa e Olindo di Erba lo sono, lei era in carcere con me a Bollate».
In carcere hai conosciuto anche Annamaria Franzoni, la mamma di Cogne.
Wanna: «Sì, purtroppo sì. Lei è colpevole, non intendo parlarne».
Stefania: «A noi ci hanno accusato di dare consulti di salute quando in realtà in sovrimpressione appariva la scritta che non lo facevamo. Donne che a noi avevano dato 100 mila lire, in tribunale si inventavano che ci avevano dato 100 milioni e venivano credute».
Wanna: «Ti racconto solo questa: arriva una in tribunale con un dente solo, e dice al giudice: “Sa, io per recuperare i 900 milioni che mi hanno rubato ho cominciato a prostituirmi”. 900 milioni? Be’, le sono stati riconosciuti».
Stefania: «Ma vogliamo parlare delle nostre case che sono state svendute all’asta a meno di niente? E poi un’altra cosa: perché nessuna televisione che ci mandava in onda ha mai pagato? C’erano editori, direttori responsabili… Anche loro, per lavarsi la coscienza, ci hanno accusato. Oggi sono tutti falliti».
Domanda di rito: dov’è il mago Do Nascimento?
Wanna: «Non si sa, ma dove vuoi che sia, secondo me è a casa sua».
Cos’è il marketing per voi?
Stefania: «Due parole: Wanna Marchi. Lei è il marketing».
Wanna: «Ognuno di noi si vende ogni giorno. Dalla mattina quando ti alzi, vai in bagno e fai la doccia e poi ti vesti… già da quel momento stai studiando una strategia».
Stefania: «Mia madre si faceva fermare dalla Polizia solo per aprire il bagagliaio e vendere qualcosa pure a loro».
Wanna: «L’ho fatto anche poco tempo fa. Ho visto la Polizia, ho ingranato la marcia e questi mi hanno fermato. “Dove va”, mi hanno chiesto. “A casa”. “A quest’ora?”. “Sì”. “Documenti”. “Documenti? Ma mi conosce benissimo! Comunque io le do i documenti ma intanto lei mi compra un profumo”. Questo è rimasto spiazzato, si è messo a ridere e ha detto: “Ma sta bene lei? Ha bevuto?”. “Io bevo solo acqua”. Ho aperto il baule, tirato fuori un profumo e li ho convinti così: “Devo dimostrare a mia figlia che ho venduto anche a voi”. E alla fine ce l’ho fatta».
Prezzo?
«55 euro. Voleva lo sconto, non gliel’ho fatto».
C’è qualcuno libero secondo voi?
«Forse Giletti con Non è l'Arena».
Stefania: «Anche La Zanzara. Cruciani è un uomo intelligentissimo, gli voglio molto bene. Parenzo invece è terribile. A Tele Lombardia mi pregava in ginocchio di andare ospite da lui: “Ti prego Stefi, vieni ospite, ti prego”. Poi ha sposato quella ricca e ora si sente importante, per me è sempre quel povero sfigato e com’era è rimasto. Di noi ha pure detto che siamo due delinquenti. Non glielo permetto. Noi siamo le uniche due persone al mondo che hanno pagato tutto e che non devono neanche un centesimo ad Equitalia».
Però non avete mai chiesto scusa.
Stefania: «Non lo chiederò mai. A noi hanno rubato 12 anni della nostra vita, dal 2001 quando sono cominciati i primi servizi di Striscia, al 2013 con l’uscita dal carcere. Ripeto: abbiamo pagato anche per quello che non abbiamo commesso».
Se non fosse successo niente, dove sareste adesso?
Wanna: «Solo Dio lo saprebbe».
Ci credete?
Stefania: «Molto».
Wanna: «Prego tutte le sere. Recito un’Ave Maria e un Padre Nostro e mi faccio tre volte il segno della croce. Io sono molto devota a Madre Teresa».
Hai detto che non ti piace piangere, ma l’ultima volta che lo hai fatto?
Wanna: «Dopo una lite con lei».
Ah, quindi non siete sempre d’accordo su tutto.
Stefania: «Litighiamo perché lei è troppo invadente, è un grande amore il nostro sì, ma come tutti i grandi amori, io son per la libertà, non mi sono mai sposata, non voglio rotture di coglioni, non voglio figli, neanche fidanzati, non sopporto nessuno, non possiamo stare insieme 24 ore su 24: è troppo».
Wanna, sei gelosa?
Wanna: «Di lei? Moltissimo».
Stefania: «Pensa com’è mia madre: quando siamo state arrestate, io convivevo con Davide Lacerenza. Davide è stato il mio ultimo grande amore, poi sono finita in galera e lui, da uomo stupendo, si è trovata un’altra donna».
Wanna: «Una cinese!».
Stefania: «Viveva a casa nostra con lei, ma io l’ho scoperto quando sono uscita. Sono stata male, malissimo, però dopo 2 mesi mi era passata, ho capito che non poteva aspettarmi e siamo diventati grandi amici. Adesso lui ha la Gintoneria e io sono una sua dipendente. Ma mia madre sai che ancora non glielo perdona?».
Come vi chiamate tra di voi, nella vostra quotidianità?
Stefania: «Io la chiamo Beffy».
Wanna: «Beffy come befana, perché sono anziana, hai capito? Io la chiamo Stefy oppure ranocchio».
Quali sono le vostre paure adesso?
Stefania: «Io ho paura solo dell’ignoranza».
Wanna: «In questo momento delle malattie e basta, cioè io non ho paura neanche del demonio, guarda se il demonio incontra me è meglio che scappi lui».
Dormite bene?
Stefania: «Benissimo».
Wanna: «Io sono serena, mi dispiace tanto di avere l’età che ho, quello sì, ma non perché invecchio ma perché ho in mente talmente tante cose da voler fare».
Come vorresti morire?
«Di un colpo secco, dormendo».
Stefania: «Io guardando il mare».
E sulla lapide? Wanna Marchi, virgola, e poi…
Wanna: «Vi venderò anche la morte».
Stefania: «Eh sì, questo sarebbe bello».
Ah, un’ultima cosa Wanna: mi fai un d’accordo?
Cambia postura, si sistema. «La giornata è finita, affrontiamo il domani con simpatia e allegria, con tanta voglia di fare». Poi porta la mano accanto alla bocca, a mo’ di megafono: «D’ACCOOORDO?».