I gabbiani, padroni incontrastati di Roma. Roma. Il sole di Roma. E Greta, con la sua semplicità, la sua Smart nera, gli occhiali da sole, la giacca di pelle, i pantaloni bianchi, le sneaker, il chewing gum ad addolcire l’amaro di un espresso; Greta che tra le strade di Roma ti porta in giro, si ferma davanti a un negozietto pakistano, entra a sgamo da un meccanico per farsi fotografare, si mette in posa davanti a una scritta d’amore su un muro o a una signora sul marciapiede che parla al telefono, si siede su un motorino scassato e poi ti fa da guida turistica, «lì c’è la Piramide e lì dietro c’è il mio quartiere, il Portuense, lo stesso di Ilary». Guarda il caso. Ilary Blasi l’ha fatta sua in Speravo de mori’ prima, la serie su Totti, in uscita il 19 marzo (Sky Atlantic e Now Tv): «Ci siamo incontrate proprio in un baretto qui vicino. Abbiamo trovato subito una certa sintonia, mi ha parlato anche di cose intime».
L’hai studiata?
«Più che altro l’ho ascoltata, avevo già una mia idea di come farla. Di lei mi è sempre piaciuta la schiettezza, perché in più occasioni ha dimostrato di essere una donna che prende posizione, anche se quello che ha detto poteva mettere in difficoltà il marito, tipo le frasi contro l’allenatore degli ultimi anni di Totti, Luciano Spalletti».
Ti sei riconosciuta?
«Be’ io non sono proprio come lei, mi incazzo ma cerco sempre di controllarmi. Se mi stuzzicano su qualcosa che mi dà fastidio reagisco, però non sono una di quelle che hanno l’esprit escalier».
L’esprit che?
«Quella capacità di rispondere subito a tono, sono sempre molto equilibrata».
Da attrice come hai giudicato l’amore tra Francesco e Ilary?
«Un amore vissuto con grande coerenza, la stessa che lui ha avuto con la sua squadra».
Ci sono stati anche momenti difficili.
«Ma nella serie non li trattiamo…».
Come si misura per te l’amore?
«Da molti aspetti, ma la cosa che lo definisce di più è la voglia di stare con quella determinata persona, il desiderio di essere sempre presente nella vita del tuo partner, intendo proprio fisicamente».
Per una che fa l’attrice deve essere difficile.
«Se ti amo ti raggiungo in capo al mondo».
È successo?
«L’ho fatto sì. Ho preso un aereo all’improvviso per gestire una problematica interna alla coppia. Per amore sono capace di fare qualsiasi cosa».
Il tradimento, invece? C’è chi non lo perdonerebbe mai, c’è chi invece fa autocritica e alla fine ci passa sopra.
«Nooo… Io preferirei non saperlo, non me lo dite, ve prego, se proprio devi tradi’ tienitelo per te».
Non faresti come il commissario Montalbano insomma…
«Che cosa assurda. Nell’ultima puntata ho recitato la parte di chi provocava l’addio tra lui e la sua storica compagna e sui social mi hanno dato della rovina famiglie. A volte i commenti della gente mi lasciano basita, come se fossi un’ammaliatrice nella realtà e non nella puntata di una serie. In vita mia non ho mai messo in atto comportamenti per essere più sensuale. Io sono me stessa, se a qualcuno il mio essere risulta sensuale ok, ma non sono il tipo di persona che usa la sensualità per arrivare a qualcosa».
A proposito di realtà, hai una relazione stabile da tempo con il regista Sidney Sibilia, quante volte ti hanno chiesto se vi sposerete?
«Guarda, mi sono sposata talmente tante volte nei film che non ne sento proprio l’esigenza» (ride).
E quante volte ti hanno chiesto se vuoi un figlio o una figlia?
«Ora cominciano a chiedermelo, si vede che sto invecchiando! Ma anche in questo caso non sento particolare urgenza, non bramo la maternità. La mia vita è estremamente focalizzata sul lavoro, ma se verrà sarò contenta. Però sai cosa?».
Dimmi.
«A me un figlio piacerebbe adottarlo. Sì, mi piacerebbe proprio tanto».
Ora vediamo come te la cavi con il calcio. Cos’è il fuorigioco?
«Oddio, aspetta… Il fuorigioco è quando, nel momento in cui parte il passaggio, l’attaccante è oltre l’ultimo uomo della linea difensiva».
La Var?
«Mamma mia… La Var è quando gli arbitri si fermano per rivedere un’azione e capire se la decisione presa è corretta oppure no».
Troppo facile così, vogliamo l’acronimo…
«Eeeeeh, che ne so… troppo difficile».
Chi è il capocannoniere della serie A?
«Credo Ronaldo, corretto?».
Bravissima. Dicono che con i calciatori condividi una passione…
«Quale?».
I tatuaggi…
«Ahahah pensavo a chissà cosa. Li ho fatti in momenti significativi. Un po’ pentendomi, perché essendo molto rispettosa del lavoro degli altri mi dispiace quando i truccatori devono perdere tempo per nascondermeli. Ho cominciato con quello sull’avambraccio sinistro, I Love rock n roll, l’ho fatto quando mi hanno preso per il mio primo film per il cinema. Ognuno festeggia a modo suo, che ci posso fare…».
Perché hai scelto questo mestiere?
«Mio padre aveva un carattere piuttosto riservato, non voleva che né io né mia sorella crescessimo con la sua stessa timidezza, quindi ci mandò a fare un corso propedeutico di teatro. Dopo un po’ mi sono data alla musica, suonavo la batteria, poi a 18 anni mi prese di fare la regista, ma alla scuola Silvio D’Amico si so’ fatti una risata, e allora via con l’attrice».
Più volte hai parlato del regista Stefano Sollima come fonte di ispirazione e insegnamento, ci sono altre figure di riferimento?
«Negli ultimi anni ho avuto la fortuna di lavorare con persone che stimo, e poi tutti quelli che ho conosciuto, nel bene o nel male, mi hanno trasmesso delle cose, anche se mi incuriosiscono quelle persone che si lasciano trasportare dalla follia. Gli sregolati, i geniali. Io sono una donna equilibrata, studio, mi applico, sono una tecnica, loro sono la mia nemesi».
Tipo, non ti sei mai drogata?
«Mai! A 15 anni se mi facevo una canna mi venivano gli attacchi di panico».
Ultima sbronza?
«Per carità, mi ammazzo per mantenermi in linea, preferisco mangiarmi un bel piatto di pasta. L’alcol poi è caloricissimo. Chiaro, una birretta ogni tanto la bevo, anche un po’ di vino, ma sono così delicata che se bevo un po’ di più sto male, io per dirti sto male anche se mangio troppa pasta. Che noia! (ride). Il mio lavoro mi ha portato a fare talmente tanti sacrifici che se mi lascio andare sarebbe un disastro. Di mio sarei golosa, passionale… meglio che mi contengo va’».
Sei mai stata in terapia?
«Dopo aver fatto In Treatment sono andata in analisi per curiosità, per capire le problematiche che bene o male abbiamo, sono convinta tutti noi abbiamo bisogno di esplorare noi stessi».
Cosa hai scoperto di te stessa?
«Tantissime cose, anche che non mi piacciono. È stato catartico. L’ho fatto per due anni e sicuramente mi ha aiutato a risolvere le classiche criticità con i genitori, con i quali adesso ho un rapporto assolutamente risolto, magari prima non era così, e questo è utilissimo, si vive meglio. Tra un po’ mi piacerebbe riprendere e andare da una terapista dei sogni, ho un’attività onirica importante, non li ho mai scritti e dovrei cominciare».
Cosa hai sognato ultimamente?
«Faccio sogni un po’ allegorici, macroscopici. Ho un’amica a cui glieli racconto: le spaccio i miei sogni, lei se li gioca e a volte ha pure vinto, incredibile! L’altra notte per esempio ho sognato di avere l’ombelico pinzato con una spillatrice. Che assurdo eh?».
Altra cosa che dicono di te: sei una convinta animalista.
«Come fai a non essere animalista, sei pazzo? Adoro i cani, il mio è morto da poco, era giovane, aveva otto anni, è stata una tragedia. Era un bulldog francese, Zed. Mio padre, che è un neurochirurgo, quando ha visto la lastra mi ha detto: “Io non so come faccia ad essere ancora vivo”. Il tumore gli aveva preso mezza testa».
Di cosa hai paura?
«Di tante cose, di morire ovviamente, degli effetti a lungo termine di questo momento storico. Ma per rimanere in ambito psicologico soprattutto della dipendenza emotiva».
Ovvero?
«Essere indipendenti emotivamente e riuscire ad amare è una grande conquista. Invece la dipendenza affettiva può rovinare relazioni potenzialmente bellissime, condiziona negativamente. Un po’ di dipendenza è sana, ma il discorso diventa diverso se parliamo di un meccanismo costante, morboso, che alimenta le insicurezze del tuo partner. Il fatto di sapere che quella persona c’è e ci sarà sempre, non soltanto un fidanzato, ma anche un genitore, rende i rapporti più costruttivi».
C’è qualcosa che ti manca?
«Il mio amico Mattia Torre, è stato un grandissimo autore, ha scritto il film per cui ho anche vinto un premio, La linea verticale, e ha firmato Boris. Mi manca proprio anche fisicamente, con la sua scomparsa al cinema italiano è mancata una voce. Ha scritto cose per il teatro irripetibili, aveva uno sguardo unico sul mondo, non so cosa avrebbe detto su questa pandemia ma avrebbe trovato un modo brillante per raccontarla. Ha scritto articoli sulla paternità meravigliosi, cose dal morire dal ridere ma anche da contorcersi le budella, era quella la sua grande dote, riusciva ad arrivare in un territorio estremamente profondo. Ora che ci penso era proprio lui che mi parlava del terapista dei sogni. È un problema grosso che sia venuto a mancare».
Con la regia hai chiuso?
«Mi piacerebbe scrivere un soggetto su un bambino autistico. Ci sto lavorando».
Quanto ti dispiace per teatri e cinema chiusi da così tanto tempo?
«Mi mancano, sia pensando al sistema italiano, sia per quello spirito di condivisione che genera guardare un film in una sala insieme ad altre persone. Adesso vediamo tutto da soli, rinchiusi nelle nostre case e tutto sembra passare più velocemente. La vita di un film si è ridotta sensibilmente».
Tu cosa fai chiusa in casa?
«Attività sportiva, leggo, due sere fa ho terminato un romanzo di Vargas Llosa, La zia Julia e lo scribacchino, è un romanzo un po’ datato, del 1977, ma divertentissimo. Io sono una molto casalinga, mi piace avere il mio spazio, fare chiarezza nei pensieri e pensare, scrivere, vedere film, serie. Finché avevo il cane poteva non passare mai il tempo».
Niente social?
«Qualcosa ma non ne sono una dipendente».
Il numero dei follower sta definendo le abilità, anche nel vostro settore sentiamo spesso produttori che scelgono un attore o un’attrice in base alla risonanza su Instagram e non per le capacità…
«Lo so, ed è un problema. Io non faccio l’influencer, sono un’attrice, e non mi metterò mai a postare quello che ho mangiato a colazione. Ma non perché sia sbagliato, proprio perché non ce la faccio, non mi viene, non è il mio».
In questa epoca quanto sei femminista da 1 a 10?
«Cento milioni, cento miliardi, tantissimo. Io auspico che prima o poi smetteremo di parlare di femminismo, vorrà dire che avremmo risolto i problemi di disparità di genere e temo che non ci arriverò viva a quel giorno. Credo che ne siamo ancora molto, ma molto distanti. Nell’industria per cui lavoro, ad esempio, mi rendo conto che la disuguaglianza c’è e si sente, il racconto delle donne è ancora piuttosto stereotipato, sono poche le donne che dirigono film. È un problema, sia come veniamo raccontate, sia da chi veniamo raccontate. Qualcosa si sta muovendo, ma è ancora piuttosto lunga la strada».
Hai detto che hai paura della morte. Come vorresti morire?
«Nel sonno».
E sulla lapide cosa ci scriviamo? Greta Scarano…
«Oddio non ci ho mai pensato, non ho ancora fatto in tempo a pensare al mio epitaffio».
Domanda finale, di rito: ultima volta che hai fatto l’amore?
«Ma stai scherzando? Ahahahah, prima di venire a fare l’intervista. Praticamente adesso!».