All’America che ancora crede di possedere il vero identikit dell’uomo americano bianco, solo perché i veri primi abitanti del continente ha preferito farli fuori, Martin Scorsese ha risposto con il suo ultimo film Killers Of The Flower Moon, mettendo sul piatto nient’altro che la verità su una delle tante stragi di amerindi: quella della comunità di Osage. Del resto, che Hollywood avesse un problema da risolvere con la comunità dei nativi americani non è una gran novità, ricordiamoci di quella volta che nel lontano 1973 Marlon Brando rifiutò l’Oscar e spedì a ritirare il premio una donna indiana d’America per fare un bel discorsetto al mondo intero. Encomiabile, sarebbe stato giusto dargliene un altro. Probabilmente però, l'unico regista che è riuscito a parlare di questi fatti attuando una bella denuncia diretta ai suoi connazionale (senza riservare sconti a nessuno) è proprio il nostro mito, l’autore del grande cinema, Martin Scorsese, che nel suo ultimo film ha deciso di accendere una torcia per far luce sui fatti oscuri di Osage, una comunità le cui prime attestazioni storiche risalgono al 1673 quando l'esploratore francese Jacques Marquette li collocò lungo il fiume Osage nell'attuale Missouri. In Killers Of The Flower Moon (il film è tratto dal romanzo Gli assassini della terra rossa di David Grann) siamo negli anni Venti, alcuni membri della tribù di nativi americani Osage, della omonima contea in Oklahoma, vengono assassinati perché nelle loro terre dei bianchi sterminatori di popoli hanno trovato il petrolio. Ad orchestrare ogni schema di omicidio e frode c’è l’uomo che si è investito da solo della nomina di Re, William Hale, interpretato dal sempreverde Robert De Niro, che accoglie a braccia aperte suo nipote Ernest Burkhart (Leonardo DiCaprio) appena tornato dal fronte della prima guerra mondiale in Europa in cerca di lavoro e pure di una moglie. Fin qui sembra tutto bello, bellissimo. Peccato però che alla fine allo spettatore sequestrato per ben tre ore e mezzo non resta altro se non una storia d’amore tossica tra Ernest e Mollie (Lily Gladstone) e un lungo decalogo di morti. Ernest sposa Mollie perché forse un po’ la ama e un po’ la vuole ammazzare per impossessarsi dei suoi averi, esattamente come hanno fatto i suoi compagni bianchi con le sorelle di lei e altri abitanti della tribù. Tutti questi corpi trucidati, Scorsese ce li fa vedere nella sua interezza, morti, ghiacciati, con le teste spappolate, per farci trattenere in testa le immagini e la consapevolezza delle barbarie compiute dai potenti bianchi. Però, che noia...
Che vogliate o meno ammetterlo, la narrazione è piatta. Il fatto che Scorsese ultraottantenne sia riuscito a riscrivere nuovamente le sceneggiature per dare una chiave di lettura meno bianco-centrica possibile alla storia è sintomatico del fatto che sia più sul pezzo della maggior parte dei cineasti (e non solo) e l'intento è da premiare, però in Killers Of The Flower Moon non c’è proprio ritmo, solo quando arrivano gli agenti della FBI ad investigare su tutte queste strane morti vendute perlopiù come suicidi sembra che il film si riprenda. Peccato che però avvenga nell'ultimissima parte del film che è senza dubbio la più avvincente, per non parlare della sequenza finale in cui lo stesso Scorsese abbatte la quarta parete e sale sul palco di un teatrino, portandoci a tu per tu con i drammi e il dolore precedentemente inscenato nel film, rimuovendo (finalmente) quelle noiosissime didascalie finali tipiche dei documentari o dei film biografici. Maestro, ma quando si è rimesso a scrivere le scene oltre al punto di vista delle vittime degli eventi non poteva pensare anche a quello dello spettatore in sala?