C’è ancora domani è il titolo del film diretto e interpretato da Paola Cortellesi alla Festa del Cinema di Roma che uscirà nelle sale il prossimo 26 ottobre. Purtroppo non basta twerkare sui social in nome di un dio che abbatta il patriarcato, avere i peli sotto le ascelle non rasati, indossare reggiseni velati o avere i piercing nelle parti intime per dirsi femministe. Ce lo spiega bene Cortellesi nel suo primo film, inserendo al suo interno tutto il dolore e tutta la verità che si cela dietro l'essere donna. Specie un secolo fa. Se oggi possiamo quantomeno sognare di fare quello che ci pare (per una parità su ogni fronte probabilmente dovremo attendere un altro centinaio di anni) è grazie a compagne come Nilde Iotti o Grazia Deledda che sono state capaci di riscrivere gli eventi. Dov’è finito il femminismo capace di scuotere le masse, di alleare veramente tutte sotto un’unica voce che urla al progresso? Siamo state obbligate a fare le madri o le prostitute (e se andava male "le streghe") per migliaia di anni perché il compito atavico della femmina è stato sempre quello di rispondere alla chiamata del pene, per completare l’atto sessuale, per garantire all’uomo il godimento o il figlio. Ora che possiamo (quasi) fare tutto quello che vogliamo veramente non abbiamo niente in più da dire oltre al mostrare le tette al vento? Ci impegniamo tanto a debellare il tanto famigerato maschile plurale mettendoci asterischi e “u” e poi però continuiamo a dare della meretrice a una nostra conoscente perché si veste in un certo modo, ha un profilo OnlyFans o ancora peggio perché è la cotta del nostro ex, soltanto perché lei è più bella, più affascinante, più magra, più grassa, più alta, più bassa di noi. La vogliamo fare veramente questa rivoluzione con i fatti e poi anche con le parole? Il femminismo oggi deve andare oltre l’apparenza e la forma, scendere in piazza e sopratutto fare squadra di voci di donne, la stessa che ha formato la Cortellesi nell’ultima scena del film...
In C’è ancora domani, la protagonista è Delia (Paola Cortellesi) una donna ordinaria e coraggiosa che non ha coscienza di sé: madre (la figlia è interpretata da Romana Maggiora Vergano e il suo fidanzatino sospetto è Francesco Centorame) e moglie sono gli unici ruoli che la definiscono. Chiedere il permesso per uscire di casa e andare a lavoro è normale tanto quanto fare da schiava al suocero (il maestro Giorgio Colangeli) e accettare le botte inferte a tempo di musica da suo marito Ivano (un magistrale Valerio Mastandrea), un uomo a cui piace il vino, giocare a carte che non conosce l’amore, un aguzzino violento con la sua signora perché è nervoso, in fondo ha fatto due guerre. La sua amica Marisa che di lavoro fa la commerciante è una verace Emanuela Fanelli, in un ruolo che sembra esserle stato cucito addosso, che cerca di comprendere e svagare Delia, la donna (stra)ordinaria in cerca di salvezza. Sarà Nino (Vinicio Marchioni) l’affascinante meccanico, il primo amore, a portarla via da quella casa che puzza di morte? No, e il bello è proprio questo…La soluzione del rebus nel film della Cortellesi sta nel gioco di squadra. Per darsi pace, Delia fa di tutto per andare a votare, perché da quel primo febbraio 1945 le donne possono finalmente farlo. Ivano però si accorge di quello che sta succedendo e insegue la donna per “fagliela pagare”, al suo arrivo però Delia non è sola, attorno a lei si è formata una schiera di femmine. Ecco, oggi che nel 2023 ancora stiamo a fare i conti con gli abusi sessuali e i femminicidi (in costante crescita), dove la parità salariale sembra un lontano miraggio e anche una realtà come Lucha y Siesta che negli anni ha permesso di dare assistenza a 1200 donne rischia di scomparire, è arrivato il momento di scendere in campo per dire la nostra sui nostri diritti, tutte insieme, con o senza peli sulle gambe.