La protesta indirizzata anche a Roman Polański e Luc Besson (anche loro presenti al festival del cinema della discordia) critica la scelta del direttore Barbera di promuovere la cultura dello stupro. C’è da chiedersi però: “Si può scindere l’artista dall’uomo?”. Kevin Spacey e Johnny Depp hanno rischiato la morte della propria carriera a causa di accuse su presunte violenze sessuali da cui sono stati poi assolti. Ovvio che l’abuso carnale vada sempre condannato ma dobbiamo davvero rompere le scatole ai registi, già stati in sede di giustizia, mentre sono invitati a presentare i loro film? Vogliamo chiudere il genio (che sembra essere innocente) dentro una camera delle torture e impedirgli di fare il proprio lavoro per riuscire finalmente ad assolverlo? Stando a quello che sappiamo oggi, Woody Allen sarebbe persino "innocente", seppur non sia mai stato incriminato formalmente di molestie sessuali. Come riporta un articolo de Il Post: "(Di ciò) Se ne parlò solo all’interno del processo per la custodia dei figli di Allen e dell’attrice Mia Farrow tra il 1992 e il 1993, alla fine del quale il giudice Elliott Wilk stabilì che le prove portate a sostegno dell’accusa di Dylan Farrow non erano sufficientemente credibili".
Il regista all’epoca dichiarò addirittura che la bimba si era inventata tutta la storia ricopiando passo passo una canzone di Dory Previn, dal titolo Con il mio papà in soffitta, aggiungendo che era impossibile per lui pensare di mettere piede in un posto angusto come quello dato che da sempre ha sofferto di claustrofobia. Al di là di tutto, poniamo che qualcosa di male l’abbia veramente fatto, perché allora non torniamo a fare i processi per discuterne e lasciamo alle sale cinematografiche e ai festival il compito di far parlare soltanto l’arte? Tutti e tre i registi finiti nel mirino delle polemiche meritano di essere trattati come autori e non come dei capri espiatori di una società malata che deve impegnarsi a debellare patriarcato e violenza di genere. Non basta che Polański, Besson ed Allen siano stati in sede di giustizia, vogliamo pure cancellare i loro nomi dai libri di cinema? Vogliamo fare i negazionisti? Usare occasioni come i festival per parlare di diritti mancati è giusto purché non venga fatto ai danni del cinema.