Sarà l’aria di ferie, ma di prendercela con Chiara Valerio, dopo averla attaccata e criticata così tante volte, dopo aver lanciato per primi, come testata, subito dopo la segnalazione sui social del poeta Demetrio Marra, il caso Più Libri Più Liberi; e dopo aver ospitato il saggio fondamentale di Fulvio Abbate sull’amichettismo, e cioè sul consorzio a sinistra nel mondo della cultura; insomma, dopo tutto questo, di andarle contro per aver riportato le parole di uno degli scrittori israeliani più importanti, popolari e allo stesso tempo critici nei confronti di Israele, proprio non ci va. Se proprio volessimo puntare a criticarla, probabilmente lo faremmo su un punto che nessuno, tantomeno gli affamati di polemica del genocidio, che ora girano per i social a rinfacciare a chiunque di non aver preso posizione due anni fa (e cioè quando, materialmente, di genocidio non si poteva e doveva parlare), ha notato. E cioè quando nel copy del suo post, in perfetto stile Chiara Valerio, e cioè nello stile del tarapia tapioco, scrive: “i suoi libri [di David Grossman, ndr] sono pubblicati in Italia da Mondatori e tradotti da uomini e donne”. Tradotti da uomini e donne, elemento del tuo fuori dal tema del dibattito, precisazione buttata lì in funziona di nulla, forse sperando di ricordare che, femminista quale è, ci tiene a ricordare che i libri vengono tradotti da entrambi i sessi. Un po’ come se avesse scritto: libri pubblicati da Mondadori e letti da uomini e donne. Ma, come abbiamo detto, oggi non vogliamo giocare sull’incapacità di Chiara Valerio di stare sul tema. Il problema, semmai, è un altro.

Sotto al suo post si scatenano gli intellettuali militanti, gli intellettuali, i militanti eccetera eccetra. La linea è uguale per tutti ed è la stessa di Alessandro Ferretti, il cui post contro Grossman è diventato virale (una polemica che contiene frasi del tipo: “Insomma, se prima si poteva giustificarlo con il dubbio che non avesse capito cosa stesse succedendo, ora è purtroppo incontrovertibilmente chiaro che Grossman una persona emotivamente lobotomizzata”). Valerio Nicolisi risponde sotto al post di Valerio così all’intervista dello scrittore: “Autoassolutoria, tardiva e che dimostra quanto la sinistra israeliana non abbia capito niente dell’ideologia che era alla base dell'occupazione dei territori palestinesi, che è stata la culla dell'ideologia del genocidio”. Tomaso Montanari rilancia proprio Ferretti e la gente lo ringrazia. Interviene anche Valerio Lundini: “Purtroppo siamo ad un livello di insostenibilità per le nefandezze israeliane che personalmente mi secca anche un po’ leggere le frasi di Grossman”. Valerio Lundini è seccato, signori. Di critiche poi se ne trovano altre, anche su qualche quotidiano. Chiara Valerio e altri sarebbero colpevoli di rebranding, visto che ora che la guerra potrebbe essere quasi finita stanno provando a dire qualcosa pur di non restare dalla parte sbagliata della storia.

Al di là dell’estrema convinzione, plateale e ora rivendicata con vanteria mid-cult, di chi si sente uno dei Buoni (e deve ricordarcelo), dovremmo riflettere su questo: noi siamo quel Paese in cui Valerio Lundini, Tomaso Montanari, Valerio Nicolisi danno lezioni a David Grossman su ciò che deve dire, su come deve esprimersi, riguardo a un tema che ha vissuto per decenni sulla propria pelle e sulla pelle di un figlio morto durante il conflitto. Siamo quel Paese in cui non va bene che Chiara Valerio condivida lo stralcio di un’intervista di uno scrittore perché i maestrini della morale di sinistra bocciano un autore che da anni scrive di guerra e vittime. Da noi Valerio Lundini si secca, Montanari reposta, Nicolisi spiega alla sinistra israeliana l’ideologia del genocidio. Lo fanno, oltre che prima della sentenza di una Corte, contro una figura che, nell’intervista, ha comunque espresso un parere critico nei confronti del governo Netanyahu. E stessa sorta sta capitando all’intervista rilasciata da Liliana Segre. Siamo il Paese delle guerre civili, questo si sa, ma l’accanimento è tale che ci si morde tra “compagni”. E se non sono compagni sono almeno lontani parenti.
