Il ruolo di Giorgio Dell’Arti nel giornalismo italiano potrebbe essere quello del ct, perché ha fatto la storia degli ultimi decenni e ha tanto da insegnare. La sua spremuta mattutina, una rassegna stampa iper-sintetica e dritta, come piace a noi, ha anticipato la moda delle newsletter. Giorgio Dell’Arti fa il giornalista e quindi dà le notizie. Ma soprattutto racconta storie e lo fa con rapidità, per schizzi, in modo quasi impressionista. È così anche il suo Leone XIV: Tutto su Papa Bob, il missionario che lo Spirito Santo ha spedito a Roma (Aliberti, 2025). Noi lo abbiamo intervistato, perché il primo Papa americano è un pericolo per Trump ma dovrebbe preoccupare anche molti leader europei, perché ha dimostrato di non aver paura di dare giudizi sui capi di Stato, sulle guerre e su temi attualissimi.

Papa Bob, Rob per i fratelli, è cresciuto in una famiglia cattolica e ha sempre voluto fare il prete. È anche un papa giovanissimo però. Com’è possibile che un americano fin da piccolo non volesse diventare, che so, poliziotto, giudice, avvocato, astronauta o pilota di Formula 1, ma prete. Insomma un uomo di successo. Non è “un’eresia” rispetto alla Weltanschauung dello Zio Sam?
Sì, sì, questo sì. Il papa americano, se l'avessero saputo padri pellegrini che sono scappati in America per sfuggire agli anglicani inglesi, si sarebbero messi le mani nei capelli. L'America delle origini ha una forte radice anticattolica. A Boston c'era persino una festa che si chiamava Pope Night. Ogni novembre si bruciava il fantoccio del papa in odio ai cattolici. I padri fondatori degli Stati Uniti erano fortemente anticattolici, tranne quelli che stavano nel Maryland, perché il Maryland è nato proprio per dare rifugio ai cattolici inglesi. Quindi un papa americano è, diciamo, dal punto di vista dell'antica storia degli Stati Uniti, una vera eresia. Ma poi i cattolici in America poi si sono fatti largo. Abbiamo avuto un presidente cattolico come Kennedy. I cattolici oggi in America hanno ancora una stampa favorevole, non è più come un tempo, ma è più come in Inghilterra. C’è più anticattolicesimo in Inghilterra che negli Stati Uniti. Negli Stati Uniti c'è di tutto. Quindi c'è anche la possibilità di un papa cattolico.
Robert Prevost pronuncia i voti il 2 settembre del 1978. Dieci anni prima Ratzinger pubblicava la sua Introduzione al cristianesimo, uno dei suoi libri più popolari, che serve come risposta cattolica al Sessantotto. Cosa significa diventare preti dieci anni dopo le rivolte studente e la controcultura?
Gli Stati Uniti oggi e ormai da molto tempo sono un crogiolo di ogni possibilità. C’è di tutto nell'America e quindi abbiamo avuto il Sessantotto, abbiamo avuto Berkley e poi abbiamo avuto anche un papa americano. Non ci deve meravigliare perché dall'America vengono spinte contraddittorie, vengono messaggi che si negano l’uno con l’altro. Se guardi anche nel cinema americano c’è di tutto.

È anche il primo papa matematico della storia contemporanea. Ma come scienza e fede per molti intellettuali sono in contraddizione.
Abbiamo avuto anche tanti scienziati cattolici, tanti scienziati gesuiti e quindi tra scienze e fede c’è stato un rapporto dialettico sempre molto complicato, molto complesso. La matematica è un linguaggio, quindi in sé non rappresenta un pericolo di eresia. Bisognerebbe sentire da Prevost cosa pensa della selezione naturale, che cosa pensa dell'origine della specie, di Darwin, dell'uomo apparso sulla Terra due o trecentomila anni fa. Ma mi sembra che dopo Francesco il retaggio più reazionario e antiscientifico sia abbastanza in crisi. Non ti dimenticare che la destra americana, quella antievoluzionista, creazionista, più radicale nella fede, ha accolto la elezione di Prevost con grande preoccupazione, anche se è stato il cardinale Dolan a far sì che poi si arrivasse al voto.
Come ricorda, Prevost è stata vicino a Papa Francesco, nonostante fosse stato in disaccordo con Bergoglio in varie occasioni. Lo aiutò a mediare con la Chiesa tedesca, e cioè con una corrente molto progressista all’interno della famiglia cattolica. Forse conoscere Prevost ci aiuta a capire che lo stesso Bergoglio non era poi così radicale, così “comunista”, come molti hanno sostenuto?
Io definisco Francesco un papa artista, un papa così sorprendente nelle sue prese di posizione, nelle sue mattate, che ha dimostrato di avere un temperamento artistico. Però non privo di saggezza a suo modo. In fondo Prevost è diventato papa perché ce l’ha iinstradato proprio Francesco. È lui che lo ha portato in Curia, che gli ha fatto conoscere i meccanismi del governo di Roma. Il Conclave credo abbia dato seguito a un desiderio di Francesco di far papa un personaggio come Prevost. Quindi la consapevolezza da parte di Francesco che dopo dodici anni di sbandate, colpi di vento, prese di posizione scandalose, tutto quello che Francesco ha detto e fatto, ci volesse un ordinatore. E io ho l'impressione che Prevost sia un ordinatore, uno che con pazienza, senza fare cose clamorose, senza cercare i titoli dei giornali, cercherà di riportare la Chiesa su un binario comprensibile. Non ricordo più chi ha detto che per sapere quello che pensava Francesco bisognava leggere i giornali. Questo con Prevost probabilmente non accadrà.

Si passa poi ai temi di attualità. Le guerre soprattutto. Su Gaza chiede la pace, come è coerente con la sua visione agostiniana. Sull’Ucraina pure, ma è molto netto nel giudicare la Russia colpevole di un’invasione imperialista. Molti politici ci sono andati più cauti. Papa Leone XIV è più coraggioso dei nostri leader?
Anche su Gaza mi pare che nel primo intervento pubblico importante Prevost abbia preso una posizione molto forte, telefonando a Netanyahu, protestando per la Chiesa di Gaza distrutta,) facendo parlare poi anche Parolin, anche Pizzaballa. Per me ha un giudizio persino più duro di quella che ebbe Francesco. Questo papa apparentemente così tranquillo, così sorridente, in realtà ha polso. Però non credo che più coraggio dei nostri leader. È la Chiesa che è un’istituzione completamente diversa. I nostri politici hanno il problema del consenso, come tutti i leader occidentali, perché il nostro sistema si basa sul consenso. E questo è un limite enorme, perché naturalmente non sempre gli elettori vanno premiano ciò che è giusto. Il papa non ha questo problema
Nella parte sul Conclave fa vedere come ci fosse un fermento incredibile. Anzi, la definisce una “sarabanda”. Anche il pubblico si è concentrato molto sull’elezione del nuovo papa. Da dove tutta questa attenzione? Sincero interesse o pura curiosità per l’evento mediatico del momento? Insomma, fede o trend?
Il Conclave ha sempre destato una grandissima curiosità, è una competizione, come una gara di bicicletta, vissuta dal popolo con lo stesso spirito. Cioè ci sono dei personaggi, ognuno dei quali vuole diventare Papa, perché qualunque cosa dicano non bisogna credere alla favola dei cardinali che restano umili. Quindi è una competizione appassionante, con tanto di tifoserie. È un fatto mediatico sensazionale, enorme.

Papa Bob è un grandissimo appassionato di tennis. Si possono fare dei paralleli tra lui, il numero uno della Chiesa, e Jannik Sinner, il numero uno al mondo?
Be’, sicuramente parliamo di un papa che ha praticato lo sport e ha seguito lo sport con passione. È un papa sano. Ma del resto Woytila era un grande sciatore, Pio XI un grande scalatore di montagna. Non è cosa nuova avere un papa sportivo. Ma Leone XIV è giovane e forte, dicono abbia un bel rovescio. Quello che ci vuole in questi tempi tempestosi. Anche se ormai la parola della Chiesa conta molto meno di quando vorremmo. Basti ricordare i discorsi contro la Prima Guerra Mondiale di Benedetto XV Non portarono a nulla.
Oggi si parla moltissimo di “revival della fede” tra i giovani. Lei crede che un papa Agostiniano, moderato, lettore, studioso, oltre che sportivo, possa essere un magnete per i fedeli? O il ritorno alla fede è solo una moda?
Io penso che faremmo bene a disinteressarci dei giovani. I giovani facciano i giovani, seguono la loro strada, lottino per diventare qualche cosa, si sbarazzino dei vecchi, come hanno sempre fatto i giovani nella storia, non con le buone maniere, ma con le cattive maniere, e stiamo a vedere che combinano. Il papa deve fare il papa, non è il papa che deve inseguire i giovani, sono i giovani che devono inseguire il papa. La situazione comunque non è semplice, perché il benessere e lo scetticismo generale non sono favorevoli alla fede. La fede vuole un po' di cecità per essere davvero praticata. Sì, abbiamo troppa informazione, siamo troppo bersagliati, è difficile essere ciechi oggi, è difficile credere. Credo quia absurdum est, come diceva Tertulliano. Oggi è un concetto che passa con difficoltà oggi.
Nella ricerca su Papa Leone XIV cosa l’ha colpita di più?
Ti dico una cosa dell'inizio e una cosa della fine. La cosa dell'inizio è la storia della tavola da stiro ricoperta da una tovaglia bianca sulla quale da bambino Prevost diceva messa, usando anche dei biscotti americani come ostia. E riguardo alla fine: mi è parsa sorprendente la sua reazione all’elezione. Si sentiva “Prevost, Prevost, Prevost…”, lui stava con la testa tra le mani, pallido, tremante. Allora si avvicina un vecchio cardinale e gli dice: “Vuoi una caramella?” E lui l’ha accettata.
