Le tre traiettorie della pace, nessuna delle quali può essere giudicata in modo autonomo dalle altre. Nessuna delle quali da sola serve a nulla. La Lega araba si è schierata contro Hamas, chiedendone il disarmo. 140 Paesi, tra cui l’Italia ma non gli Stati Uniti e la Germania, hanno firmato un documento che promuove la soluzione a due Stati, condanna l’attacco del 7 ottobre e chiede la fine di questa guerra. è come se, a distanza di due anni, l’ordine internazionale stesse cercando di fare, effettivamente, ordine. Dopo due anni di conflitto, decine di migliaia di morti, la guerra all’informazione indipendente, i paradossi di entrambi gli schieramenti, i passi falsi dei leader e gli innumerevoli crimini di guerra perpetrati non solo da Hamas ma anche da Israele, tre linee di azione si stanno muovendo, parallelamente, e potrebbero portare alla pace. Una pace che non rispecchierà i desideri anticolonialisti di chi dall’8 ottobre iniziò a scendere in piazza contro Israele (e non, come ci si aspetterebbe a poche ore di distanza da un attacco terroristico) contro Hamas. Una pace che sa di suprematismo bianco, perché metterebbe in gioco le classiche forze che, tra Ottocento e Novecento, avrebbero condannato quei territori.

Due attori su tutti preoccupano: la Francia di Emmanuel Macron e il Regno Uniti di Keir Starmer. Il presidente francese ha annunciato che riconoscerà lo Stato palestinese e Keir Starmer ha minacciato lo storico alleato, Israele, di fare lo stesso a settembre se questa guerra non finirà. Che si tratti di un’arma di pressione contro la prosecuzione della guerra è evidente. Che questa scelta comporti dei rischi se non accompagnata da uno smantellamento totale di Hamas è altrettanto evidente. Che sia paternalismo occidentale o un semplice discorso di realismo politico, che dovrebbe farci ricordare che nessun Paese può dirsi disinteressato all’evoluzione politica di altre nazioni, l’Europa dovrà avere un ruolo nel processo che porterà alle elezioni democratiche nel nuovo Stato palestinese. È invasione di campo? No, se si accetta la regola aurea delle relazioni internazionali: non esistono davvero delle regole.

Nonostante i rischi, comunque, non esiste un altro modo per arrivare alla pace senza riconoscere lo Stato palestinese. E la colpa è di Israele. Come disse Salman Rushdie all'inizio di questa guerra, riconoscere uno Stato palestinese significa voler veder nascere uno Stato talebano. L’attuale distribuzione del potere politico nella Striscia non lascia spazio ad altre interpretazioni verosimili. Tuttavia, Netanyahu ha cancellato qualsiasi alternative e il riconoscimento di uno Stato legittimo è l’unico modo per evitare che il governo israeliano continui ad agire arbitrariamente e senza dover rendere conto alla comunità internazionale. La proposta di un unico stato palestinese e cosmopolita, come immaginata da alcuni (per esempio dallo storico filopalestinese Ilan Pappé) è inverosimile per via dell’intolleranza e dell’antisemitismo di Hamas. Il conflitto tra palestinesi e israeliani è troppo complesso anche per essere ridotto al puro odio palestinese prodotto dal colonialismo israeliano. D’altra parte la proposta dell’estrema destra israeliana di totale annessione e conquista è invece folle e immorale e non garantirà la pace ma solo un’estensione dello stato di apartheid della West Bank.

Israele sopravvive grazie a una doppia anima: quella dello sviluppo, della crescita della conoscenza, dell’economia, dei diritti civili; e quella del progetto teocratico ed etnoreligioso, sostenuto fin dalla sua fondazione da una parte della politica americana (quella cristiano-evangelica). La prima anima va preservata, la seconda annichilita. Ma è proprio la seconda che sta avendo la meglio. Come fermare questa deriva? Auspicando il prima possibile un processo per crimini di guerra contro il governo di Netanyahu. E parallelamente pretendere la fine definitiva di Hamas. Nessuna delle due azioni può essere condotta indipendentemente dall’altra. Abbiamo dunque tre percorsi da intraprendere. Il riconoscimento dello Stato palestinese (uno), che non potrà avere futuro se non viene cancellato Hamas (due). E il riconoscimento dei crimini israeliani (tre), senza il quale l’unica democrazia del Medio Oriente non avrà possibilità di evitare il suicidio morale a cui sta andando incontro.
