Sono sgomento, ma non sorpreso, di fronte all’abisso in cui è precipitato il dibattito in questi spazi. Luoghi che un tempo potevano essere di confronto sono ormai cloache di isteria collettiva, dove si sbraita senza sapere, si giudica senza capire e si vomita odio senza rispetto. Non mi ferisce tanto vedere il mio nome trascinato nel fango da chi non ha la minima idea di cosa stia parlando – ci sono abituato, fa parte del gioco. Mi ferisce, invece, leggere il nome di Michela usato come un’arma, brandito senza pudore né memoria, da persone che non hanno mai conosciuto né lei né il suo pensiero. “Michela ti sputerebbe in faccia”, scrivono. Che arroganza. Che oscenità. Non avete la più pallida idea di chi fosse Michela, di cosa dicesse, di come pensasse. Io sì, la conoscevo. E vi assicuro: non direbbe le banalità che le mettete in bocca (o che hanno messo anche in bocca a me su di lei senza averle MAI dette). Mi sconvolge l’incapacità di accettare un pensiero diverso, il rifiuto ostinato di ogni ambiguità. Io sono anti-sionista da sempre, da quando dirlo era un atto di coraggio, non un hashtag per raccattare like.

Ne parlavo con Michela, proprio mentre lei affrontava l’ennesima tempesta di insulti per le sue posizioni – posizioni che, guarda caso, erano molto simili alle mie. Eppure, oggi, sembra che esprimere un’opinione divergente sia un crimine. Invitarmi a un festival, un gesto normale in una democrazia che non si sia ancora arresa all’isteria, diventa un casus belli. Riportare un’intervista su un tema completamente diverso diventa un pretesto per linciaggi digitali. Il livello è infimo, il discorso pubblico ridotto a una gogna dove i mediocri si sentono giganti. Vedo cretini senza qualità scagliare termini come “abuser” come se fossero caramelle, e altri, senza un briciolo di spessore, tacciare di “nazismo” chiunque provi a ragionare oltre lo slogan. È la tirannia dell’ignoranza: tutti si sentono sullo stesso piano, come se un commento valesse un’analisi, come se un insulto fosse un’argomentazione.

Questi strumenti – i social, le piattaforme – hanno alimentato l’illusione che siamo tutti uguali, che il consenso sia la misura del valore di un’idea. Errore madornale. Le buone idee non cercano applausi, non inseguono like. Le buone idee disturbano, dividono, vengono denigrate. Il consenso, al contrario, è il segnale che qualcosa non funziona, che il pensiero si è piegato alla pancia della folla. La macchina del fango gira a pieno regime, mossa dall’invidia e dalla frustrazione di chi non ha nulla da dire. Quattro teste vuote commentano, si indignano, ma se le sfidi a un confronto vero, scappano. “Non parlo con i violenti”, dicono. Oppure: “Non parlo con gli amici dei violenti”. Poi magari un giorno la democrazia fa il suo corso, si scopre che era tutto falso ma intanto anni di pensiero sono stati buttati sotto l’egida del moralismo di qualche coglione. Scuse patetiche per mascherare incapacità di sostenere un dialogo. È sempre stato così: quando il pensiero critico manca, si livella tutto verso il basso. E in questo pantano, editori pavidi inseguono certezze, blandiscono il pubblico, distruggono ogni ambiguità per paura di perdere consensi. Il risultato?

Qualche ricercatore raccomandato, qualche pirla che scrive cose vecchie con editori a pagamento, e poi un deserto culturale dove idioti senza speranza osano dare della “scema” a Chiara Valerio o si permettono di parlare di Michela, come se avessero il diritto di evocarla. Non so come andranno le mie vicende legali – e francamente, non credo interessi agli zombie che infestano queste piattaforme, persi a scrollare in cerca della prossima dose di indignazione. Ma so come è andata finora: un sistema che premia la banalità, che soffoca il pensiero, che riduce tutto a una gara di applausi. Michela, se fosse qui, non so cosa direbbe. Ma so cosa non direbbe: non si piegherebbe a questa miseria. Non applaudirebbe la vostra gogna. E di certo non sputerebbe in faccia a chi, come Chiara, prova ancora a pensare con la propria testa. Anche sbagliando. Anche e soprattutto sbagliando, ma provando a farlo. E ora continuate a non capire nulla, a prendere due frasi estrapolate dal contesto, e a insultare a caso chi vi pare.
