Si è tenuta la mattina del 2 agosto, poco dopo le 9, l’udienza di convalida del fermo di Lorena Venier, 61 anni, e di Maylin Castro Monsalvo, 30 anni, davanti al giudice per le indagini preliminari del tribunale di Udine, Mariarosa Persico. Le due donne sono accusate dell’omicidio di Alessandro Venier, 35 anni, figlio di Lorena e compagno di Maylin, ucciso e fatto a pezzi in un appartamento di Gemona del Friuli (Udine). A rappresentare le imputate sono gli avvocati Giovanni De Nardo per la sessantunenne, Francesco De Carlo e Federica Tosel per la trentenne di origine colombiana. Durante l’interrogatorio reso ieri agli inquirenti, Lorena Venier ha ricostruito i motivi che, secondo la sua versione, l’avrebbero portata al delitto. Il figlio Alessandro voleva lasciare l’Italia per trasferirsi in Colombia con la compagna Maylin e con la figlia di sei mesi. Una prospettiva che la donna, legatissima alla nipote, non riusciva ad accettare. Per lei, Maylin non era soltanto la compagna del figlio: l’aveva accolta come una figlia acquisita, le era stata vicina durante la depressione post-partum, l’aveva sostenuta nei primi mesi da madre. Ma secondo gli inquirenti, qualcosa in quel fragile equilibrio familiare si è spezzato.
Lorena Venier ha confessato di aver ucciso il figlio venerdì sera, di averne sezionato il cadavere e di aver riposto i resti in un bidone, ricoprendoli con calce viva per attenuarne l’odore. Una calce acquistata online, su Amazon, come riportato dal Messaggero Veneto, elemento che, se confermato, potrebbe rafforzare l’ipotesi di premeditazione. Il particolare che ha più colpito gli investigatori è quanto accaduto nei giorni successivi all’omicidio.

Dopo il delitto, Lorena è tornata regolarmente al suo lavoro presso il distretto sanitario dell’ospedale di Gemona. Per cinque giorni ha continuato a condurre una vita apparentemente normale, presentandosi in servizio come sempre. I colleghi, interpellati dagli investigatori, l’hanno descritta come una professionista scrupolosa, molto presente. Nessuno, fino a mercoledì, aveva notato comportamenti sospetti. È stata Maylin a rompere il silenzio. Passando di nuovo davanti al bidone in cui si trovava il cadavere, non ha retto e ha deciso di chiamare il 112, facendo partire le indagini. Il contesto familiare, secondo quanto emerso finora, era segnato da forti tensioni. Dopo la nascita della bambina, Alessandro aveva moltiplicato gli scontri, sia con la madre sia con la compagna. Chi era vicino a Lorena riferisce che il figlio “le aveva fatto passare di tutto”. Un’espressione che, nel quadro investigativo, diventa indizio di un’escalation di conflitti. Durante l’interrogatorio, Lorena ha chiesto notizie della nipotina. È a lei che, anche dopo il delitto, continua a rivolgere il pensiero. Ma gli inquirenti vogliono capire cosa sia accaduto davvero nei giorni che hanno preceduto l’omicidio e quale sia stato il ruolo preciso di Maylin, al momento co-indagata, ma su cui resta da chiarire il grado di coinvolgimento. Le indagini proseguono.