Fine delle Luci a San Siro, Roberto Vecchioni dovrà riadattare il testo della sua celeberrima canzone. La nuova stagione di San Siro si apre tra polemiche, restrizioni e scontri di interessi: prima sono stati gli ultras, poi gli abbonamenti, infine gli ambulanti. Una catena di esclusioni che ha trasformato la casa dei tifosi in un campo minato tra regole, blacklist e polemiche social. Ma se fino a ora la polemica era rimasta in casa Inter, adesso è divampata anche tra i cugini rossoneri. Il comunicato è arrivato via social dai Banditi della Curva Sud, che hanno spiegato di dover rispondere a varie richieste ricevute dai tifosi in merito alla prossima stagione 2025/2026 che sta per iniziare: “Tante persone in queste settimane ci hanno scritto chiedendo se la Curva sud degli ultimi anni, passionale, colorata, con i suoi storici striscioni, le sue coreografie spettacolari e il suo tifo incessante, sarebbe stata regolarmente al proprio posto. Ebbene, oggi dopo un lungo silenzio assordante da parte della società, possiamo darvi le prime risposte”. Ed eccole. “Nessun riscontro sui nuovi striscioni. Vietati quasi tutti i vecchi striscioni. Blacklist con divieto di abbonamento al Secondo blu ma con possibilità di abbonarsi nel resto dello stadio e di comprare anche i biglietti del Secondo blu (sì, avete letto bene, ci vietano di abbonarci al 2° blu ma se riusciamo nell’impresa di prendere uno dei pochi biglietti disponibili al 2° blu partita per partita, il problema di ordine pubblico scompare magicamente: FOLLIA!!!)”. Poi si passa alla questione blacklist: “In questa lista nera, oltre ai vocalist, ai ragazzi che preparano coreografie, che suonano i tamburi, oltre ai vari responsabili dei gruppi, sono stati inseriti i loro figli, le loro mogli e tanti altri ragazzi incensurati, solo per aver espresso una propria opinione lecita e aver contestato la società a Casa Milan, durante manifestazioni pacifiche e regolarmente autorizzate”. E la conclusione, più amara che mai: “Con grande rammarico ad oggi, nel regime autoritario imposto a San Siro, non esiste la minima condizione che ci permetta di fare il tifo come siamo abituati da decenni e come accade in tutte le curve d’Italia. Spiace per il mister e per la squadra, vittime sacrificali di questa scelta da parte della Società, figlia di una repressione cieca, ingiustificata e senza alcuna logica. Buon teatro a tutti”.

Praticamente, quello che era stato sollevato dai cugini nerazzurri. Tutto è iniziato con le sanzioni per i tifosi ritenuti “non graditi”. Inter e Milan hanno stilato blacklist per la campagna abbonamenti 2025/26, impedendo ad alcuni gruppi di curva di rinnovare i posti storici. Una decisione che ha fatto esplodere le proteste: cori online, battaglie legali, comunicati pungenti, e l’ombra del modello americano che vorrebbe trasformare lo stadio in un teatro ordinato e privo di conflitto. Gli ultras della Nord e della Sud, storicamente identitari e radicati, si sono sentiti esclusi e delegittimati, accusando club e autorità di voler cancellare tradizione e passione. La questione si è complicata ulteriormente quando, dopo i tifosi, sono arrivati i lavoratori di San Siro. Gli ambulanti, venditori di magliette e gadget da decenni presenti attorno allo stadio, hanno visto i loro contratti non rinnovati. Dietro la decisione, secondo fonti investigative, ci sarebbero sospetti di legami tra alcuni operatori e l’ex direttivo della Nord, un pretesto per ridisegnare l’area commerciale secondo logiche più “sicure” e controllabili. La reazione non si è fatta attendere: striscioni, comunicati e proteste, con gli operatori che rivendicano un lavoro dignitoso e una presenza storica che da sempre accompagna il tifo. A rendere il clima ancora più teso, il dibattito internazionale sulle tifoserie politiche. La recente sanzione della Uefa al Psg per lo striscione “Stop Génocide à Gaza” ha riacceso la domanda: cosa siamo disposti ad accettare dagli ultras? Né criminali, né filo-Gaza, semplicemente tifosi appassionati o cittadini attivi? La linea tra folklore e provocazione è sempre più sottile, e ogni gesto viene pesato e sanzionato. In questo contesto, le decisioni delle società e delle autorità diventano segnali di ciò che è “ammissibile” e ciò che non lo è, alimentando rancori e divisioni. Il risultato è uno stadio dove tradizione e identità si scontrano con modernità e sicurezza, in un percorso che sembra privilegiare l’immagine e l’ordine più che la passione autentica. Gli ultras minacciano battaglia legale, gli ambulanti rivendicano il diritto al lavoro, e la città osserva: chi decide cosa è bene e cosa è male in un luogo che è simbolo di appartenenza collettiva? San Siro non è più solo calcio: è un campo di tensioni tra passato e futuro, tra chi vuole conservare memoria e identità e chi vuole ristrutturare tutto secondo un modello ordinato e moderno. E la prospettiva, ancora una volta, è che lo stadio diventi solo un teatro dove la gente va ad assistere a uno spettacolo, freddamente, senza tifo nè passione.


