Coltelli, forchette, cucchiai, ogni cosa è al suo posto e splende. Ellen sta disponendo sulla tavola le posate, i piatti e tutto quel che occorre per fare colazione. Nei suoi occhi c’è qualcosa di mefistofelico. E’ il ghigno mal celato di una bimba pronta a per partire per le vacanze estive. Non sta nella pelle. Tamburella con le dita, canticchia “Quando quando quando”. Si muove in punta di piedi come quando era lei il metronomo negli studi della Rai. Lei con la sua gemella. Andreotti quando diceva di amare la Germania a tal punto da volerne due pensava segretamente a loro. Pensava al Da-da-um-pa. “E tu ragazza dove vai? Prenditi un caffè che ti sveglierà”. Alice, ancora in vestaglia da notte e tutta spettinata prende tra le dita la tazzina di caffè che gli porge la sorella e si sbrodola tutta. Scoppia a ridere e la guarda. Pare posseduta, sua sorella Ellen, non certo più una ragazzina. Ma guarda come si muove. Sarà il demonio, pensa Alice. Ma non ci bada più di tanto. Roma l’ha cattolicizzata, se Dio ha già deciso per il suo destino non le interessa, dopotutto a Grunwald, si può fare. Avevano già deciso da tempo che sarebbe dovuta andare così. Il libero arbitrio, le Keller lo sanno bene, si trova in difficoltà di fronte alle gemelle, soprattutto se belle come loro due. Si dice che i gemelli siano il frutto di un adulterio e che di mezzo vi sia lo zampino di qualche dio. Si dice pure che il più bello dei due gemelli sia il figlio di quel dio. Eccezion fatta per le Kessler. Loro son belle entrambi. Alice lo sa. Forse Ellen no, si sente un po’ più giù di sua sorella, ma balla lei. Balla ancora. I ricordi traboccano dalla coppa del cuore tutti assieme, si fanno lacrime di malinconia, ma di quella malinconia che succede ad un eccesso di felicità. Per fortuna nessuna delle due si è ancora truccata e il loro viso nonostante le lacrime è limpido come l’acqua di un lago di montagna.
E’ mattina, l’erba del prato è coperta di rugiada, come se pure lei sia appena uscita dai vapori di una doccia fumante. Ora parte un lento e le due Germanie si abbracciano come due amanti, si muovono scalze al ritmo del contrabbasso. Ellen ora singhiozza con la testa appoggiata sul petto di Alice, ma non smette di ballare a ritmo di quel blues che nella Ddr era vietato. “Chissà che ne diranno i giornali”. I piedi si muovono all’unisono, conoscono troppo bene le note di quella canzone. Alice le sussurra qualcosa in italiano, “Che te ne frega, ti ricordi di quando eravamo due sirene con il Quartetto Cetra?”. Ellen ride sulle note un po’ più allegre di Leopardo blu, poi ad un tratto s’illumina. “A proposito, l’hai disdetto l’abbonamento all’Abendzeitung?”. “Ma certo, anche se sono tua gemella sono pur sempre eine deutsche frau”. Le due a tempo di musica salgono le scale a chiocciola verso il piano di sopra. Come un’immagine sola riflessa in uno specchio, Ellen e Alice lasciano cadere la vestaglia di seta rosa. Quelle gambe, “dei compassi che misurano il globo terrestre in tutte le direzioni, donandogli il suo equilibrio e la sua armonia”, scriveva Truffaut per il suo film “L’homme qui amait les femmes”, ma in verità pensava a loro due. Quelle gambe che in Rai andavano tenute coperte con delle lunghe calze nere in nylon. Come se questo potesse impedire la fantasia di milioni di uomini dall’altra parte dello schermo.
Quelle gambe che nell’Italia della legge Merlin portavano alla follia grandi e piccini. Ci vedevano doppio sulla rivista di Playboy appena sbarcata nello Stivale che non poteva più andare a puttane. Un’allucinazione collettiva in carne ed ossa. Un sogno erotico alla seconda riservato agli italiani, dato che nel resto del mondo un po’ le snobbavano. Le gemelle, san troppo di circo, dicevano gli americani. Bifolchi che non sanno apprezzare le bellezze del Vecchio continente, Burt Lancaster a parte. Ops, ci si distrae a parlare di cosce. Le gemelle se la ridono, lo sanno bene e ti guardano, ringiovanite. Con quel sorriso a mezza luna, nell’acqua piena di schiuma della vasca da bagno prendono in giro quel pubblico immaginario. Lo vezzeggiano in italiano con quell’accento tedesco pieno di quell’ingenuità, presunta o soltanto apparente, che mostrano le donne tedesche quando mettono piede nello Stivale con quei loro occhioni azzurri, i capelli biondi. Ora si truccano l’una con l’altra, non hanno certo bisogno di uno specchio. Un po’ di mascara, un accenno di fondotinta, il rossetto rosso sulle labbra che schioccano in un bacio soddisfatto nell’aria. Si passano l’una con l’altra una sigaretta da cui aspirano boccate piene di voluttà. Il fumo si solleva nell’aria in nuvolette azzurre. L’ultimo peccato prima di salutare il pubblico immaginario. Suonano al citofono, è arrivato il dottore. Le siringhe per la flebo se ne stanno lì sulle poltrone foderate di velluto. Sembrano i sedili asburgici di un orient express pronto a partire per chissà dove. Ma il dove, alla fine, se le cose sono andate tutto sommato bene non è importante. L’importante è partire.