“Io non ho bisogno di coprire nessuno, è Stasi che ha coperto gli assassini”. Sono parole di Massimo Lovati, l’ex avvocato di Andrea Sempio che, ospite a Lo Stato delle Cose, se ne è uscito così parlando di quanto ha riferito ai magistrati di Brescia che lo hanno ascoltato nell’ambito dell’indagine per corruzione sull’archiviazione di Sempio, nel 2017, a firma dell’allora pm di Pavia, Mario Venditti. Una affermazione, quella di Lovati, fatta in merito a una domanda su chi avesse fornito, a suo tempo, la famosa consulenza del generale Garofano relativa al DNA di Sempio sulle unghie di Chiara Poggi, ma finita proprio nelle mani di Lovati quando ancora doveva essere un documento assolutamente segreto. L’istrionico avvocato di Vigevano ha spiegato che quella consulenza gli era stata fornita, nell’ambito di una serie di indagini preventive da lui avviate, da Gian Gavino Sulas, un cronista purtroppo oggi scomparso che ai tempi si era occupato con grande attenzione delle indagini su Garlasco. Una mossa furba, visto che Sulas non po’ smentire o confermare? L’ennesima trovata di Lovati per sparigliare le carte? Difficile da dire, con Lovati che ha anche aggiunto: “Se io dovessi mettermi nei panni di Sulas non dovrei difendermi da nulla. Perché dovrei coprire qualcuno? E’ la verità”. La sua verità. O, comunque, la sua versione. Quello che invece resta incomprensibile è perché l’ex legale di Sempio, al termine della sua frase, se ne sia uscito con una chiusa che apparentemente c’entra meno di niente: “E’ Stasi che ha coperto gli assassini”.
Una affermazione passata, nella concitazione della trasmissione televisiva, quasi inosservata, ma che ha un peso enorme. Ok, magari s’è trattato di una provocazione, visto che in studio c’era anche l’avvocato De Renzis, che assiste proprio Alberto Stasi. Ma non sarebbe la priva volta che Massimo Lovati manda segnali che sembrano voler tracciare la strada da seguire per arrivare davvero da qualche parte verso la soluzione del delitto di Garlasco. Perché Alberto Stasì – che lo stesso Lovati ha sempre sostenuto non essere l’assassino – avrebbe coperto gli assassini? E perché preferire una condanna, una vita distrutta e un futuro da colui che uccise la propria fidanzata piuttosto che rivelare tutte le verità di cui, eventualmente, si era a conoscenza? E’ una domanda a cui nessuno, nessuno davvero troverebbe una risposta di buon senso, se non chi è al corrente di una qualche verità pesantissima sfuggita fino a ora a tutte le narrazioni. E pure a tutte le ricostruzioni più fantasiose. Dietro c’è qualcosa di enorme. O, più verosimilmente, qualcuno di così intoccabile che persino Alberto Stasi potrebbe aver preferito il silenzio?
Al silenzio di Stasi, o a qualcosa di taciuto, francamente, si fa fatica a credere nonostante quell’affermazione di Massimo Lovati. Ma il lavoro degli inquirenti che hanno indagato negli anni sul delitto di Garlasco possa essersi fermato ogni volta davanti a un qualche muro oltre cui non si può proprio andare appare tutt’altro che poco credibile. Anche perché l’impressione è che è così che rischia di andare a finire anche questa volta. In primis per quanto riguarda il “filone Garlasco” dell’inchiesta avviata dalla Procura di Brescia, visto che sia la posizione del padre di Andrea Sempio, sia quella dell’ex pm Mario Venditti, sembra essersi notevolmente alleggerita dopo l’ultima decisione del Riesame (no al sequestro dei dispositivi elettronici) e, soprattutto, dopo che gli altri due ex legali di Andrea Sempio, Soldani e Grassi, avrebbero cambiato versione ammettendo di aver ricevuto denaro in nero come compenso del lavoro svolto (cosa che Lovati aveva già ammesso sin da subito).
Non si sgonfierà tutto, ma potrebbe ridimensionarsi tutto, invece, anche per quanto riguarda l’inchiesta di Pavia. In primo luogo perché c’è un cortocircuito giudiziario che porta a chiedersi quanto e in che misura sia legittimo un procedimento che, di fatto, sovverte una sentenza già passata in giudicato e senza il ricorso preventivo a una tradizionale “Revisione”. E in secondo luogo perché a distanza di tanti anni appare evidente che le indagini del 2007 – in particolari i sopralluoghi – hanno fatto emergere più danni che elementi utili. Per sciatteria? O per qualcosa di peggio? A oggi tutto è rimesso in discussione: dalle armi del delitto, che ormai sembrano essere tre e non più due, al punto effettivo della prima aggressione a Chiara e persino all’orario della morte, che potrebbe essere sì sopraggiunta nella mattinata del 13 agosto, ma forse dopo ore e ore di agonia tra una prima aggressione e una seconda. Se a questo si aggiunge che ormai sono in molti, anche consulenti direttamente coinvolti , a sostenere che a uccidere Chiara non è stata una sola persona, tutto diventa ancora più confuso. Di quella confusione che diventa a tutti gli effetti un muro oltre cui non si può andare. O non si deve andare. Con l’inchiesta di Pavia che potrebbe portare, presto, non tanto a scoprire chi ha ucciso davvero Chiara Poggi, ma “solo” a giustificare una (sacrosanta, ndr) “revisione” della sentenza di condanna di Alberto Stasi.