Un verbale che parla poco e male è un documento che genera danni e falsa ogni sviluppo. E’ la regola di ogni investigazione e, casermetta di paese o grande realtà investigativa, è pure la regola che conosce chiunque abbia indossato almeno una volta una uniforme o si sia, più semplicemente, ritrovato a sbrogliare una qualche situazione – non necessariamente giudiziaria - che ha richiesto un approfondimento per giungere a un provvedimento. Che c’entra quella che sembra una supponente lezioncina con il delitto di Garlasco? C’entra perché è la premessa che tutti - così divisi tra “Stasipiattisti”, “Sempioinnocentisti”, “Cappasospettosi” e “Marcopogginonerainmontagnisti” – sembrano voler deliberatamente dimenticare rispetto al video mostrato in anteprima da Bugalalla e trovato nel PC di Chiara Poggi.
Quel video, è doveroso dirlo, significa zero e meno di zero per ciò che mostra. Significa zero e meno di zero per il fatto che era nel PC di Chiara. Significa zero e meno di zero per essere stato visto il 14 agosto. Ma significa tanto – e tanto davvero – per come è stato visto e perché è stato visto. No, non è un giochino di parole, ma è quello che è. E dimostra definitivamente – piaccia o no – che le indagini su Garlasco nel 2007 sono state condotte con tutti quei criteri che mai e poi mai dovrebbero caratterizzare una indagine: sciatteria, superficialità, convinzione monodirezionale. Per non volerci vedere altro.
Ecco perchè fa ridere, ma ridere amaro, chi oggi si divide su quel video. Il video – e è assurdo non volerlo capire – non è il documento chiave, ma il documento chiave è il verbale del 14 agosto 2007 relativo al prelievo del computer di Chiara Poggi e, soprattutto, relativo agli accessi, che sono sì documentati, ma senza documentare niente. Su MOW siamo stati i primissimi, mentre tutti sembravano lasciar intendere ogni tipo di assurdità, a essere andati a guardarci la legge che era in vigore nel 2007 a proposito dei sequestri dei devices informatici. E no, non esisteva ancora l’obbligo di effettuare una copia forense prima dell’accensione di un pc o di un dispositivo sequestrato. Dirlo è stato doveroso già nelle primissime ore, altrimenti sarebbe stato solo un inseguire clamori deviati. Quando, invece, i clamori possono esserci comunque e senza forzature. Perché è doveroso pure sottolineare, proprio come abbiamo già fatto, che l’assenza della norma specifica non significa che nel 2007 si poteva fare tutto e il contrario di tutto. Chi lo afferma oggi è disonesto. E partigiano nell’accezione più triste del termine.
Proprio perché mancava la garanzia tecnica di una legge specifica, infatti, le regole dell’epoca imponevano trasparenza assoluta. Trasparenza rigorosa. Trasparenza inappellabile. Il codice di procedura penale parlava chiaro: descrivere puntualmente nei verbali tutte le operazioni compiute e i dettagli delle operazioni compiute. Non in modo generico. Non sommariamente. Punto per punto e senza tralasciare niente. E invece quel verbale del 14 agosto - che noi stessi abbiamo pubblicato subito dopo la diffusione del video di Andrea Sempio trovato nel PC di Chiara Poggi - elenca tanto e racconta niente. E tace in maniera agghiacciante su ciò che conta davvero. Non è un tecnicismo. Sono tracce, santoddio, non robe su cui curiosare sperando di risolvere un caso nel giro di poche ore il giorno prima di un Ferragosto. Che poi, andando a leggere bene quel verbale e quindi senza tralasciare neanche gli orari, ci si accorge che mentre il materiale video contenuto nel pc di Chiara Poggi veniva visionato, gli ufficiali verbalizzanti, Sangiuliano e Cassese, cioè quelli che quel verbale l’hanno firmato, risultavano impegnati in un’altra attività: l’interrogatorio di Rita Preda, la mamma di Chiara. Sì, la finestra temporale è la stessa. Quindi chi stava davvero guardando quel PC non lo sapremo mai. E, purtroppo, neanche il perché.
Quello che invece si rischia di sapere è che a farlo potrebbero essere stati gli stessi che lo avevano già fatto sull’ormai tristemente ben più noto pc di Alberto Stasi. Sì, proprio quello dei file copiati, dei video visionati, delle cartelle aperte senza cautele. Quello in cui comparvero contenuti intimi (uno non s’è mai trovato), identici solo in parte a quelli presenti anche sul computer di Chiara. Elemento che finirono per orientare, fin da subito, alcune ipotesi investigative. Oggi sappiamo che quell’attività lasciò però segni profondi. Migliaia di file risultarono aperti, modificati o creati ex novo. Per non parlare del “cestino svuotato”. Un livello di alterazione rimediabile solo in parte e che a questo punto potrebbe non aver riguardato solo il pc di Alberto Stasi.