“Io credo che chi ha dato una botta terribile a Chiara Poggi sia una donna”, e perché? “Perché quando una donna odia un’altra donna diventa una bestia irrefrenabile e secondo me quelle sono le botte di una donna”. Ci mancava solo un "se Garlasco avesse lo mer sarebbe una piccola Beri", perché quelle che avete appena letto sono le parole dell’ottimo Lino Banfi (che si pronuncia Benfi), un tempo Nonno Libero, intervistato da Hoara Borselli a proposito del caso di Garlasco. “Una bestia irrefrenabile” è poesia pura ed è inoltre un caso emblematico di quello che è diventato l'omicidio di Chiara Poggi da quando, nell’estate di quest’anno, si sono riaperte le indagini. Anzitutto, tutto il mistero di questa storia presenta i lineamenti perfetti di un romanzo giallo, degna di trasformarsi in una serie Netflix, ma soprattutto è un trend ormai semplicissimo da cavalcare. L’italiano medio ormai è morbosamente ossessionato da questa storia e, quando non ha di meglio da fare, va su internet e cerca la parola “Garlasco” per riprendere la sua personale indagine, passando da un podcast all’altro, senza leggere mai le carte, ma comunque documentandosi approfonditamente con gli ottimi prodotti delle Iene, Bugialalla, oppure Darkside, Pulp Podcast, Fabrizio Corona. Ognuno di noi diventa uno Sherlock Holmes e per i giornalisti è una manna dal cielo perché, al di là di chi fa inchiesta vera, basta mettere nel titolo la parola “Garlasco” per far girare il pezzo e tenere su il traffico. Lino Banfi che parla di Garlasco e diventa criminologo non è la parodia dell’italiano medio nel 2025, ma è la sua perfetta rappresentazione.
È la Vox Populi, che ormai non crede più alle solite chiacchiere da bar, ma è il cittadino che ha in mano tutti gli strumenti, o quasi, per farsi un’idea abbastanza precisa di quello che è successo a Garlasco. Direte voi: non ci va un genio per capire che le indagini sono state inquinate e che i testimoni che hanno visto qualcosa sono stati in qualche modo trascurati. Altri poi, come il famoso Muschitta, hanno persino ritrattato le loro dichiarazioni, chissà per quale assurda ragione. Poi basta farsi due chiacchiere in un bar di Garlasco: tutti puntano il dito in una certa direzione. Però ci vogliono le prove, le carte, e l’Italia che rappresenta Lino Banfi non le ha, non ha il tempo di guardarle, eppure in qualche modo è abbastanza lucida. Forse è un po’ sessista, come direbbero i progressisti – “la donna una bestia irrefrenabile”, poesia – però nella sua rozzezza qualcosa intravede. Lino Banfi che diventa criminologo, intervistato da Hoara Borselli, è un po’ come quei tassisti che alle quattro di notte, mentre ti riportano a casa, osservano Milano infestata dai maranza e dalla questione dell’immigrazione illegale, e da lì arrivano a ricostruirti un quadro dettagliato dell’ipocrisia delle primavere arabe, delle rotte migratorie che partono dal centro dell’Africa, dell’appartenenza a questa o quella corrente massonica di certi deputati del Pd, di chi era vicino a Cosa Nostra e di chi invece è pappa e ciccia con i magistrati corrotti. Complottisti, certo. Però poi, alla fine, viene spesso fuori che nelle vicende più torbide della storia italiana c’era davvero un pm un po’ corrotto, un po’ di parte. Garlasco è un delitto italiano, gotico, torbido, che squarcia profondamente il Paese in due parti: chi è pro-Stasi e chi è anti-Stasi, un po’ come nel caso Dreyfus in Francia. Dreyfusards e anti-dreyfusards. Non a caso Vittorio Feltri ha chiesto la grazia a Mattarella per il povero Stasi, che ad oggi è in galera e per il quale parrebbe emergere non esattamente una responsabilità diretta nell’aver ucciso Chiara Poggi. Il pubblico da casa prima ha condannato l’ex bocconiano della Lomellina, al di là del giudicato con tanto di sentenza di Cassazione, poi si è buttato su Sempio, odiando prima il suo ormai ex avvocato Lovati, per poi finire a farselo piacere dopo che Corona lo ha ritratto nella veste del folle che però “ci vede meglio di tutti”.
Poi è stato il turno del pm Venditti, ma prima di lui c’era stata tutta la parentesi sul Santuario delle Bozzole e sugli esorcismi. Insomma, gli elementi per un grosso intreccio narrativo ci sono tutti, perché ci sono i personaggi, ognuno con una lunga storia alle spalle. C’è Stasi, con gli occhi di ghiaccio, il fidanzato di lei, il sospettato numero uno per l'omicidio della Laura Palmer della Lomellina. Poi c’è il maresciallo Marchetto, comandante dei carabinieri di Garlasco, rimosso dopo aver intuito come gestire le indagini e poi indagato per falsa testimonianza, ma si potrebbe continuare elencando tutti, dal primo all'ultimo. Sì, c’è proprio tutto. Ed è anche normale che la gente comune, qui impersonata da Lino Banfi alias Nonno Libero, sin dall’inizio del romanzo attivi tutti i propri neuroni per cercare di scovare il dettaglio rivelatore e arrivare prima degli altri alla soluzione dell’enigma, così da poter dire alla fine, quando il vero colpevole verrà smascherato, “Io lo sapevo fin dall’inizio.”