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DEN HARROW È MORTO! Intervista totale a Stefano Zandri: Tony Effe? "Generazione senza morale". La musica? "Sfruttato e finito sul lastrico, mai più personaggio". E sul "traditore" Tom Hooker...

  • di Gianmarco Aimi Gianmarco Aimi

  • Foto di: Stefano Zandri

4 agosto 2025

DEN HARROW È MORTO! Intervista totale a Stefano Zandri: Tony Effe? "Generazione senza morale". La musica? "Sfruttato e finito sul lastrico, mai più personaggio". E sul "traditore" Tom Hooker...
Lo abbiamo paragonato a Tony Effe per l’utilizzo dell’immagine più che delle qualità artistiche, ma Den Harrow non ci sta e ripercorre con MOW la sua carriera rimarcando le differenze con il trapper e togliendosi la maschera (definitivamente). Ci ha raccontato tutto: gli inizi come cubista, i produttori che lo hanno scoperto costruedogli un personaggio di successo per poi fregarlo e abbandonarlo, i milioni di dischi venduti e di soldi guadagnati e la bancarotta (ha lavorato come stripper), l'accusa di essere un “truffatore” perché cantava in playback, la diatriba con Tom Hooker (che gli prestava la voce) e perché sostiene che la generazione attuale sia “senza morale e dignità”. Questa è l’ultima intervista a Den Harrow e la prima a Stefano Zandri, ex bambino grasso e dislessico che, nonostante le critiche, ha una certezza: “Mi sono preso la mia rivalsa con gli interessi”

Foto di: Stefano Zandri

di Gianmarco Aimi Gianmarco Aimi

Prima premessa: in un mondo, in particolare quello dello spettacolo, dove se un personaggio famoso viene criticato reagisce attaccando il giornalista che si è permesso di avanzare una critica o si chiude nel silenzio e negli elogi a senso unico della propria fanbase, Stefano Zandri in arte Den Harrow ha deciso di raccontarci il suo percorso artistico e umano con sincerità. Seconda premessa: questa intervista nasce dopo che nell’articolo pubblicato su MOW dal titolo Tony Effe e Den Harrow: la stessa parabola quarant'anni dopo? avevamo fatto un parallelismo tra la carriera dell’icona anni ‘80 e quella della trapper simbolo di oggi e sull’aver puntato molto (se non tutto) sull’immagine più che sulle qualità artistiche. Terza premessa: quella che state per leggere è l’ultima intervista di Den Harrow come personaggio.

Den Harrow negli anni '80
Den Harrow negli anni '80 foto Facebook

Stefano Zandri, alias Den Harrow, non ha più paura di dire la verità, anche quando quella verità è una scomoda realtà per se stesso e l’industria musicale che lo ha inventato. Un mito creato a tavolino simbolo degli anni ‘80, che ha saputo giocare con l'immagine ma non con la sua voce: “Il mio sogno non era cantare e quando scrivi che non cantavo le mie canzoni hai ragione, ma dimentichi che per cantare le canzoni di Den Harrow, come di Gazebo o Sandy Marton, non è necessaria la voce di Bocelli”, premette con franchezza. Den Harrow, infatti, non è mai stato solo musica. È stato estetica e carisma: “Amavo esibirmi, volevo diventare un personaggio e lo sono diventato”. Ma a differenza di Tony Effe, che oggi sembra incarnare un nuovo tipo di successo basato sull’apparenza costruita ad arte, riflette su un ambiente che, per quanto simile, ha preso una direzione completamente diversa: “Tony Effe è talmente assurdo nelle cose che dice e che fa che non poteva non avere successo”, spiega riconoscendogli delle potenzialità. Ma condanna quello stesso sistema che avrebbe ridotto la musica a un contenitore vuoto: “La differenza tra la mia generazione e quella di oggi è che questa è più spietata, senza morale, senza dignità, senza il senso del bello, ma non è solo colpa loro. Hanno seguito o sono stati inseriti in una scena senza neanche sapere dove sarebbero andati a finire. In questo modo hanno partecipato a un crollo di qualità della musica”. Lui, come i suoi coetanei, invece cercava qualcosa di diverso: “Vogliono solo la popolarità per guadagnare soldi e al massimo espandere il loro ego, non perché amano fare spettacolo e veicolare messaggi positivi”. E mette in guardia sulle conseguenze che ha vissuto sulla propria pelle: “Mi sono sentito malissimo. Mi hanno impedito di cantare con la mia voce, ma nel 1988 ho portato all’Arena di Verona il primo brano cantato da me ed è andato benissimo. Perché non mi hanno fatto cantare prima?”. Difficile anche il rapporto con Tom Hooker, la voce originale dietro i primi brani che spopolarono: “Ho guadagnato meno di lui che registrava in studio una volta e poi si godeva i soldi girando in Ferrari. Dopo aver mangiato alle mie spalle ha fatto sapere che la voce era la sua e l'ho trovato un atteggiamento molto infamante”. Nonostante il tardivo riconoscimento e i soldi guadagnati (circa 13 miliardi di Lire, che sarebbero 5-6 milioni di euro di oggi) ha dovuto affrontare anche il lato oscuro dello showbiz: “Il mio commercialista non mi aveva pagato le tasse ed era scomparso e la Guardia di finanza mi ha portato via tutto. Mi erano rimasti soltanto 10 milioni di Lire, con case, auto e conti correnti sequestrati”. Così si è trasferito in America dove “ho lavorato come stripper e buttafiori per riuscire a sopravvivere”. Per questo, guardandosi alle spalle, non nasconde l'amarezza: “Il personaggio non mi ha portato fortuna. Se potessi tornare indietro non rifarei quel percorso. Di sicuro Den Harrow non tornerà. Voglio godermi la vita tranquillo. Da bambino grasso e dislessico ho avuto la mia rivincita”.

Den Harrow oggi
Den Harrow oggi foto staff Stefano Zandri

Quando qualcuno viene criticato, spesso reagisce evitando il confronto. Invece tu hai scelto il dialogo e di spiegare a MOW, con sincerità, il tuo percorso artistico e umano.

La verità è la verità. Il fatto che non cantassi è la verità, quindi non posso offendermi, ma la mia storia è un po’ diversa da quella di Tony Effe, come hai sostenuto nell’articolo. Prima di tutto a me cantare ha sempre fatto schifo. Non sognavo di diventare un cantante, per cui questa critica non mi tocca. Io amavo esibirmi e volevo diventare un personaggio e lo sono diventato. Poi, se per diventarlo avrei dovuto utilizzare la voce per cantare, ben venga.

Cos’è che distingue Den Harrow da Tony Effe?

Penso che tu avessi in gran parte ragione in quell’articolo, perché io e Tony Effe abbiamo effettivamente delle similitudini. Però io ero un personaggio che faceva sognare, ho inventato uno stile, nelle mie canzoni, anche se non le scrivevo e cantavo, venivano veicolati messaggi positivi.

Ci torneremo. Facciamo un passo indietro: com’è nato il personaggio di Den Harrow?

Avevo 19 anni quando incontrai i produttori Roberto Turatti e Michele Chieregato. Andavo sempre in discoteca e, siccome ero carino, avevo sempre ragazzine intorno. Loro due, che avevano notato in me delle potenzialità estetiche, mi chiesero se volessi prestare la mia immagine per un disco. Io, che allora non sapevo neanche cosa volesse dire fare un disco, ho accettato. Da lì è iniziata tutta la parabola di Den Harrow senza nessuna aspettativa.

Il primo impatto con la discografia?

Mi dissero di avere già dei brani pronti cantati da Chuck Rolando, il frontman dei Passengers. Uno di quelli si intitolava To Meet Me, poi uscito nel 1983.

Fino a quel momento eri solo un ragazzo di 19 anni che voleva divertirsi in discoteca?

Sì, ma stavo già anticipando i tempi nel costume perché facevo il ragazzo immagine in discoteche come il Primadonna o il Divina, locali che erano super di moda e quando ancora quel tipo di ruolo al maschile non esisteva. Amavo ballare, facevo danza, quindi la sera saltavo sui cubi e mi scatenavo.

Den Harrow agli esordi
Den Harrow agli esordi foto Facebook

Gli anni ‘80 sono stati l’esaltazione dell’immagine.

Erano esattamente quello. Era divertente, perché nel frattempo esplodevano locali come lo Studio 54 a New York di Andy Warhol, spopolavano personalità equivoche come Grace Jones e Amanda Lear, era tutto spensierato e colorato. Noi ridevamo e cercavamo la serenità, oggi invece questi ragazzi non sorridono più, anche a causa dei messaggi che lanciano i personaggi più famosi. Se noi allora avessimo utilizzato certe espressioni che potevano denigrare qualcuno per sesso, religione o provenienza non sarebbero mai state accettate dalla discografia. Quindi adesso molte delle responsabilità sono delle stesse case discografiche, che hanno ceduto al business visto che i dischi in questa epoca non si vendono e fare musica, purtroppo, è solo un pretesto.

La tua carriera, paradossalmente, è durata anche più di altri tuoi colleghi.

Sono durato tantissimo. Tutti i miei colleghi nella dance duravano al massimo due anni al top, da Gazebo a Sandy Marton o I Righeira, che sono rimasti tutti miei amici, hanno sfornato due hit. Io ne ho realizzate almeno dieci e che sono andate in classifica in tutta Europa. Ho dato vita a delle canzoni che oggi sarebbero dimenticate se il mio personaggio non fosse stato un valore aggiunto. E questo è un merito che ritengo di avere. Anche perché non avevo un coach o un direttore artistico, facevo tutto da solo e sono riuscito a farmi amare dalle teenager riuscendo a vendere 20 milioni di dischi, il tutto senza cantare.

E anche i giornali hanno sfruttato il tuo personaggio per vendere copie.

Ho avuto più di cento copertine dei magazine più importanti, preferendo dedicarle a me rispetto ad artisti come Michael Jackson. Loro non facevano il mio lavoro, perché erano cantanti. Io ero un vero performer.

Che cosa si prova a trasformarsi da un giorno all’altro da un 19enne sconosciuto che balla in discoteca al simbolo di una generazione, con tutte le conseguenze del caso, fino a diventare una figura da rinnegare e considerata una sorta di “truffatore”.

Da signor nessuno a star non ho sentito la differenza, perché quello non era il mio vero sogno. Quindi, quando mi sono ritrovato di fronte a migliaia di persone stavo semplicemente lavorando. Non mi sono accorto di quel salto. Ho rivisto di recente un live in Germania con 100mila persone e me lo ero dimenticato. Ogni giorno era così. Quando invece Den Harrow è svanito come personaggio, sembrerà strano, però mi sono sentito felice che finalmente fosse finito.

Come mai?

Perché ho passato dieci anni della mia vita a fare quello che mi imponevano altri. I miei produttori mi trattavano male, tanto che, ogni tanto, li minacciavo di andarmene. Ho cominciato a esibirmi e il primo pezzo è subito esploso e ci siamo ritrovati al terzo pezzo che era andato benissimo anche in tutta Europa. Già a quel punto non sapevo più bene cosa fare, ero tentato dal tornare indietro o di provare a cantare con la mia voce. Solo che, non avendo una pronuncia in inglese madrelingua, me lo impedivano. Nessuno mi ha neanche accennato al farmi imparare per arrivare a cantare con la mia voce, fino al 1988 quando l’ho chiesto espressamente perché ero diventato troppo grosso mediaticamente e mi sembrava di prendere per il culo la gente. Mi sentivo malissimo.

E cos’è successo?

Che me lo hanno impedito e così ho fatto causa alla casa discografica, causa che ho vinto, e nel 1988 ho portato all’Arena di Verona il primo brano cantato da me, Born to Love, che è stato comunque un successo in Europa. Ma lo ripeto: il mio sogno non era cantare e quando hai scritto che non cantavo le mie canzoni hai ragione, ma dimentichi che per cantare le canzoni di Den Harrow, come di Gazebo o Sandy Marton, non è necessaria la voce di Bocelli.

Quindi la voce, per brani come quelli, è un elemento secondario?

Ma certo, li può cantare anche mia sorella. Sarebbe come dire che Robert De Niro ha avuto successo perché Ferruccio Amendola lo doppiava, ma non è così. De Niro è famoso perché ha uno stile di recitazione e un carisma devastanti. Per questo mi sono molto offeso quando l’ambiente mi ha rinnegato.

Perché?

Era un progetto pensato e realizzato da degli adulti, mentre io quando ho iniziato avevo 19 anni. Quando Tom Hooker (la vera voce dei primi successi di Den Harrow, nda), dopo aver mangiato alle mie spalle visto che era quello che guadagnava più di tutti, ha fatto sapere che era lui a registrare la voce, l'ho trovato un atteggiamento molto infamante. Potrei fare il nome di 300 artisti che non utilizzavano la loro voce naturale, ma non lo farò perché non mi sembra giusto.

Secondo te perché lo ha fatto Tom Hooker?

A un certo punto si è sentito frustrato, visto che cantava altri brani simili, con gli stessi produttori, con più o meno la stessa musica, solo che io ero diventato famoso, avevo stuoli di fan e vendevo milioni di copie, mentre lui non funzionava. Così ha pensato di vendicarsi. Quando Tom Hooker, da quanto mi hanno riferito, guadagnava 1 miliardo l’anno solo per cantare i pezzi e firmare la Siae. Io invece andavo in giro tutto l’anno in tutto il mondo sballottato ogni giorno di qua e di là e non mi facevano neanche firmare i dischi. In questo modo mi bullizzavano. Un bel momento ho anche cercato di distruggere Den Harrow.

In che modo?

Ero arrivato all’esasperazione e ho pensato che l’unico modo sarebbe stato quello di distruggere la mia immagine estetica. Mi misi a mangiare di tutto e in quantità per ingrassare, così il pubblico di teenager si sarebbe allontanato. Sai perché non ce l’ho fatta? Ogni settimana mi facevano la prova del peso alla bilancia. A queste condizioni, quando la mia stella si è spenta, non potevo che esserne soltanto felice.

Nessun rimpianto?

No, perché Den Harrow non mi ha portato fortuna. Se potessi tornare indietro non lo rifarei mai più quel percorso.

La discografia di Den Harrow
La discografia di Den Harrow foto Facebook

Oggi che la italo disco in Italia è tornata di moda, anche grazie ai The Kolors, con artisti della tua epoca che si rimettono in gioco, da ultimo Johnson Righeira, tu invece vuoi sparire?

I The Kolors hanno aiutato questo rilancio, ma la italo disco non era mai sparita davvero. Io, però, come Den Harrow non voglio più tornare. Perché ho capito che per il pubblico puoi fare cento cose alla grande e una modesta e alla fine ti ricorderà sempre per l’ultima. Dopo dieci anni in cui sono stato spremuto come un limone, non ho passato un Natale in famiglia, non c’ero quando mia madre è morta che avevo 30 anni, non ho trascorso insieme a mia figlia i compleanni e non ho più visto i miei veri amici per essere ricordato solamente per quello che ha pianto all’Isola dei famosi e che non cantava le sue canzoni.

C’è un progetto o un motivo che ti farebbe cambiare idea?

Se decidesse di produrre i miei brani Madonna, allora potrei far dimenticare quell’episodio dell'Isola. Siccome dubito che questo possa succedere, preferisco starmene alla larga e vivere tranquillo.

Eppure, passati diversi anni, tutto viene riaccolto con indulgenza e nostalgia. Penso agli 883, che all’epoca vendevano milioni di dischi ma erano ignorati dalla critica mentre oggi Max Pezzali, sempre con gli stessi brani, è stato riaccolto con tutti gli onori.

Questi fenomeni non li capisco davvero. Tra l’altro gli 883 allora cantavano delle canzoni per sfigati, invece oggi li cantano tutti e riempiono gli stadi. Non ho idea di come sia possibile. Tanto di cappello, bravi loro.

Ciò che in un’epoca fa impazzire agli adolescenti viene schifato dagli adulti, spesso anche dalla critica, poi accantonato dallo stesso pubblico che cresce, e infine, dopo qualche anno, recuperato con nostalgia e quindi esaltato come simbolo di una generazione, nel bene e nel male.

A me interesserebbe tornare come Den Harrow soltanto se ci fossero determinate condizioni, come un grande produttore e un grande rilancio di comunicazione, ma che non ci saranno mai.

Rimane il grande enigma Den Harrow, un personaggio conosciuto da tutti come cantante ma che non ama cantare e continua a cantare per guadagnarsi da vivere.

Non ho fatto scuole o lezioni di canto, non canto neanche sotto la doccia, odio cantare, però le mie canzoni le interpreto perché sono semplici e fanno parte di quel personaggio. Inoltre nessuno ha mai detto una cosa. Che a un certo punto nei dischi non cantava solo Tom Hooker, ma sono arrivati a utilizzare otto cantanti oltre me, dov’erano i critici allora? Sono tutti grandi intenditori di musica e nessuno ci ha mai capito un cazzo che le voci erano tutte diverse.

Un critico musicale dell’epoca mi ha confessato: “Lo sapevamo tutti ma conveniva a tutti che quella bolla non esplodesse visto il giro d’affari e le vendite dei giornali”.

È la verità. Una volta si vendevano tantissimi dischi e tantissimi giornali. Se tu volevi creare l’artista perfetto prendevi uno che piaceva alle ragazzine, gli affiancavi un team di produttori, un ghostwriter, il tutto supportato da una casa discografica. La mia era la più forte d’Europa. E il gioco è fatto.

Il tuo modello ha anticipato, in qualche modo, le boy band degli anni successivi.

Prima di me c’erano i Boney M. o altri fenomeni che la gente ha dimenticato. Forse gli anni ‘80 e ‘90 hanno esaltato ancora di più questo modello tanto da farlo diventare un paradigma.

Le copertine di magazine dedicate a Den Harrow
Le copertine di magazine dedicate a Den Harrow foto Facebook

In tutto questo, qual è stato il più grande errore di Stefano Zandri?

Andare all’Isola dei famosi. Da quel momento sono diventato attaccabile ancora più facilmente. E in più stavo sulle palle a tanti colleghi, perché se le ragazzine avevano il mio poster in camera venivo odiato sia dagli altri colleghi, che sarebbero voluti stare al mio posto, e anche da tanti ragazzi che non avevano la possibilità di avvicinarsi alla mia estetica.

Invidia maschile?

Al tempo sì, oggi invece mi amano anche gli uomini. Ai miei spettacoli, sold out ovunque, sono molto più affettuosi delle donne. Perché la sfera femminile vedeva solo il bel giovane, mentre i maschi volevano essere come me. Oggi che siamo tutti vecchiotti ci siamo pacificati.

Qualche follia che hai vissuto con le teenager dell’epoca?

Tantissimi! Uno drammatico in Spagna, con una ragazzina che si è tagliata le vene in bagno perché voleva incontrarmi e non ci riusciva. Oppure, dopo il mio primo Festivalbar, ho assistito fuori da casa mia a un bivacco fisso di centinaia di ragazzini che dopo la scuola si sono alternati per 3-4 anni.

Quante donne ha avuto Den Harrow?

I miei colleghi, dagli stranieri agli italiani, aspettavano soltanto il post spettacolo perché il vero godimento era la festa tra groupies e divertimenti vari. Io invece ero molto serio, perché ero in tour anche per 40 giorni consecutivi e ci tenevo tantissimo a fare bene sapendo che il live era la mia unica possibilità di dimostrare quanto valevo. Poi sono uno che preferisce la monogamia. Ho avuto una fidanzata per 11 anni e le scappatelle sono state rarissime. Facevo la vita da impiegato, non certo da rockstar. Ma d’altronde dipende da come approcci il successo. Perché puoi essere il più brutto del mondo, solo che quando hai successo, magicamente, diventi anche bello e tutte ti corrono dietro.

Come disse Antonio Cassano: “Dopo il primo gol in Serie A sono diventato bello”.

Ha ragione, mi piace molto. Nella sua bocca c’è verità, anche per questo sta antipatico a tante persone.

E incontri speciali in quei 10 anni di successo?

Come no, in particolare con George Michael c’era un bel rapporto. Non posso dire che fossimo amici per la pelle, ma quando andavo a Londra a registrare i videoclip ci vedevamo perché anche lui aveva la stessa troupe. Me l’hanno presentato a una cena del regista David Rose e da quel momento abbiamo cenato insieme in diversi momenti. Oppure con Prince. Con lui è successa una situazione che definirei “particolare”.

Cioè?

Ero a Stoccolma in discoteca e c’era anche Prince. Quando vado in pista, vedo che lui da lontano mi saluta. Non mi sono stupito, in quel periodo ero su tutte le copertine europee, per cui ci stava che sapesse chi ero. Solo che quando mi sono avvicinato mi ha passato un bigliettino e ha detto: “Qui c’è l’indirizzo del mio hotel e il numero di camera se dopo vuoi passare da me”. Da ingenuo credevo mi apprezzasse artisticamente, invece apprezzava altro. Lui comunque era fighissimo, come tanti negli anni ‘80. Avevano una allure che oggi chiunque se la può sognare. Prince quando entrava in una stanza aveva un’aura attorno.

Sarà che i social, avvicinando le star a chiunque, ne hanno smontato il fascino?

Può essere, visto che allora le star non erano per niente raggiungibili. Quel poco che vedevi era in tv e sui giornali. Oggi questa esagerata vicinanza ha reso tutti delle mezze calzette e manca qual rispetto artistico che ci dovrebbe essere rispetto a certi personaggi. Io amavo Ivan Cattaneo, che poi ho conosciuto. Ma ancora oggi, ogni volta che ci telefoniamo, ho un rispetto artistico per lui che deriva da quegli anni. Mi piace non averlo perso, perché per me resta un’icona. Lo stesso con Miguel Bosé. È un rapporto di distanza che equivale a un rispetto dovuto.

Mentre una spesa folle che hai fatto quando avevi molti soldi a disposizione?

Quando guadagni vagonate di soldi non pensi che quella che fai è una spesa folle. Te ne accorgi quando i soldi finiscono. Per darti un’idea, avevo una disponibilità economica, negli anni ‘80, di 40-50 milioni di Lire a settimana. Una volta sono entrato in una gioielleria a Milano, vestito con pantaloni strappati e il cappellino, ho detto alla commessa che volevo acquistare due Rolex, uno per me e uno per la mia ragazza di allora, e non voleva vendermeli perché pensava che non avessi i soldi per pagarli. Allora ho tirato fuori dalle tasche due rotoli di contanti, non sapevo neanche quanti fossero, sicuramente il doppio del valore dei Rolex, e glieli ho buttati sul bancone. In quel modo me li ha venduti, ce li siamo messi al polso e ce ne siamo andati senza neanche chiedere la scatola.

I poster dell'epoca di Den Harrow
I poster dell'epoca di Den Harrow foto Facebook

Quando la tua parabola si è interrotta quali sono state le conseguenze?

Tutto succedeva così velocemente che faccio fatica a ricordare. Ho dei momenti di vuoto. In particolare da quando è morta mia madre e avevo 30 anni. Da quel momento mi è crollato il mondo addosso. Ho scoperto in quel periodo che il mio commercialista non mi aveva mai pagato le tasse per dieci anni ed era scomparso nel nulla e mi sono ritrovato con la Guardia di finanza a casa che mi ha portato via tutto. Mi erano rimasti soltanto 10 milioni di Lire, con case, auto e conti correnti sequestrati. Mi sono chiesto: che cosa faccio adesso in Italia?

Che cosa hai deciso di fare?

Non potevo andare a lavorare come cameriere, ero ancora troppo conosciuto e mi avrebbero preso per il culo. Mi sono trasferito a San Diego, in America, e ho lavorato come stripper e come buttafiori per cinque anni per riuscire a sopravvivere. Non è stato semplice. In più, tutti quelli che mi avevano portato dentro la discografia sono spariti e, dopo aver guadagnato tantissimi soldi, non mi hanno per niente aiutato o difeso. Venti milioni di dischi una volta avevano un peso, ma purtroppo io ho ricevuto solo una piccola parte di quegli incassi.

Hai dichiarato di aver guadagnato circa 13 miliardi di Lire, che sarebbero circa-5-6 milioni di euro di oggi. Sono soldi che, dopo le questioni legali, hai recuperato, oppure no?

No, perché a un certo punto mi sono ritrovato a non avere più niente. Anzi, meno di quando avevo cominciato come Den Harrow. Ho cantato Don’t Break My Heart (1987) che ha venduto 3 milioni di singoli in Europa, facevo 300 spettacoli l’anno e uscivo, come minimo, a 25mila Marchi a sera che in Italia erano 20 milioni di Lire. In quei soldi, però, c’erano le percentuali ai manager, ai produttori e a tutta la filiera che c’era dietro Den Harrow. Io mi spaccavo la schiena e guadagnavo meno di Tom Hooker, che registrava la voce una volta in studio e poi aveva finito e si godeva i soldi andando all’Hollywood tutte le sere in Ferrari. E io venivo pure cazziato perché dovevo continuare a seguire quello che altri volevano da me.

Nel tuo libro autobiografico Nani. Il bimbo da 6 milioni di dollari racconti di aver pensato addirittura di farla finita.

Proprio così, perché ho passato dei periodi proprio brutti. Mi sono ritrovato solo e senza un soldo, senza neanche mia madre che fino ad allora era stata la mia stella polare. Io sono cresciuto senza papà, che è morto quando io avevo 11 anni, per cui mia mamma è stata un punto di riferimento fondamentale. Mi sono ritrovato a fare un lavoro che non mi rendeva felice, perché mi ero reso conto che mi stavano sfruttando, in più prendendo in giro la gente che mi adorava senza sapere la verità su Den Harrow, quindi sono stato malissimo. Quando ho deciso di cantare con la mia voce sembrava che mi facessero un favore, anche se con Born to Love, se la vai a riascoltare, ti chiedi: perché non l’hanno fatto cantare prima?

Oltre all’Isola dei famosi, artisticamente è un po’ questo il tuo rimpianto?

Sì, perché con le caratteristiche estetiche e di carisma che avevo, se invece di fingere per tanti anni qualcuno fosse stato più lungimirante, forse oggi non sarei diventato George Michael, ma avrei di certo avuto una carriera più lunga e con tanti altri successi.

Tanti non hanno voci educate, però utilizzano bene i loro difetti o si esibiscono con brani adatti alle loro caratteristiche, e hanno avuto carriere lunghe e di successo.

A quei tempi potevo farmi prestare la voce anche da Paperino e avrei comunque avuto successo. Era il personaggio che funzionava. Un po’ come Tony Effe.

Den Harrow con le fan durante un concerto
Den Harrow con le fan durante un concerto foto Facebook

Quindi, nonostante i distinguo che hai spiegato prima, ti rivedi in Tony Effe?

All’inizio, quando è emerso rispetto ad altri, lo apprezzavo e gliel’ho dimostrato mettendogli “mi piace” a diversi contenuti sui social. Perché ho capito subito che era una figura che avrebbe sfondato. È talmente assurdo nelle cose che dice e che fa che non poteva non avere successo. La differenza rispetto alla mia generazione è che questa è più spietata, sono senza morale, dignità e senso del bello, ma non è colpa loro. Hanno seguito o sono stati inseriti in una scena senza sapere dove sarebbero finiti. Così hanno partecipato a un crollo di qualità della musica. Non sono contento per loro. Noi abbiamo guadagnato tanto, però lavoravamo per realizzare un sogno e renderlo possibile per tanti altri, oggi lavorano per comprarsi gli orologi o le Lamborghini e mostrarle sui social.

Sono lo specchio di un capitalismo che si è mangiato ogni cosa?

Vogliono solo la popolarità per guadagnare soldi e al massimo espandere il loro ego, non perché amano fare spettacolo e veicolare messaggi positivi. Sono triste per loro, che hanno un successo enorme e una mediaticità incredibile, solo che c’è una fine per tutti. E se continuano a spendere così tanto si ritroveranno a fare gli spazzini. Glielo dico da papà, perché l’ho provato sulla mia pelle di avere tanti soldi e poi ritrovarmi a vivere in un Motel squallido.

Che musica ascolti e apprezzi oggi?

Mi piacciono molto Nek e Eros Ramazzotti. Nella musica straniera apprezzo la musica funky, soul, rap e black. Però non sono uno che ascolta molta musica. Non ascolto neanche la radio in auto. Ero un fanatico della musica quando era fatta in un certo modo, fino agli anni ‘70.

Adesso Stefano Zandri, non più Den Harrow, che sogno ha nel cassetto?

Ho 63 anni, mi sento abbastanza stanco, ho avuto una vita molto movimentata tra pubblico e privato, per cui lavorativamente non ho nessun progetto. A dispetto di quello che può aver percepito la gente, non sono ambizioso o vanitoso. Mi accontento di ciò che ho fatto e sto bene come sto. Sono molto richiesto per serate, faccio solo quelle che mi piacciono e dico anche diversi no. Durante l’autunno e l’inverno vivo a Malaga, in Spagna, bello tranquillo, e d’estate torno in Italia, con base a Viareggio, girando il paese con spettacoli revival. Voglio invecchiare tranquillo e se a 63 anni la vita non è finita il meglio è andato.

Vuoi "una vita tranquilla”, come cantava Tricarico.

Essere Den Harrow è stato bello in alcuni tratti, ma oggi sarei più tranquillo se avessi avuto un lavoro normale. Ho sciupato la mia gioventù per poi essere trattato malissimo, con la gente che mi accusava di essere persino un truffatore. Quello mi ha ferito tantissimo. Perché in caso, se di truffa vogliamo parlare, è di chi ha ideato il progetto, non di un ragazzino di 19 anni. Ora penso alla mia salute fisica e mentale. Ho realizzato più di quello che avrei potuto desiderare. Sono nato dislessico e grasso, la mia rivalsa me la sono già presa e con tutti gli interessi.

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di Gianmarco Aimi Gianmarco Aimi

Foto di:

Stefano Zandri

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