Paolo Virzì in Ovosodo ha costruito una commedia quasi perfetta. C’è la leggerezza, la voglia di prendere in giro se stessi e la società. Sullo sfondo una Livorno che avrebbe tanto da dire anche sull’oggi. Piero, il protagonista interpretato da Edoardo Gabbriellini, è capace di incarnare il prototipo del liceale che vuole essere diverso dagli altri e che, allo stesso tempo, ha bisogno di riconoscimento. Viene da una famiglia difficile: un fratello autistico, il padre in carcere e la matrigna che vive con loro ormai per inerzia. Il momento di svolta sembrerebbe essere l’amicizia con Tommaso, ragazzo ricco che si comporta da povero: si veste da squatter e porta i rasta, rifiutando di diventare parte di quell’establishment che invece è rappresentato dalla sua famiglia, proprietaria della grande azienda chimica che inquina Livorno e il quartiere di Piero. La sceneggiatura incastra un mattone sopra l’altro in maniera eccezionale. Una commedia che taglia le questioni politiche così come quelle umane, raccontando una periferia dove “un congiuntivo in più, un dubbio esistenziale di troppo bastavano a farti passare per finoc*hio”. Perché Livorno doveva essere così agli occhi di Virzì: diretta, senza filtri e senza desiderio di appianare i contrasti che la animavano. C’è anche Nicoletta Braschi nei panni della professoressa Giovanna, l’unico personaggio capace di comprendere l’indole del giovane Piero. Grazie a lei, il giovane in pagella si trova un distinto, una parola che lo fa sentire “come il principe Carlo, ma senza orecchie a sventola”. Poi, crescendo, nasce anche la voglia di andare contro: la famiglia, il sistema e la scuola. All’esame di maturità Piero cita Andrea Pazienza e non vuole parlare di D’Annunzio, “il peggiore di tutti”. Alla fine, dopo anni di ribellione, dovrà parzialmente arrendersi: partirà per il servizio militare e, una volta tornato a Livorno, diventa operaio nella fabbrica chimica dell’amico Tommaso, il quale è diretto in America, precisamente ad Harvard, dove progetta di sperperare nei modi peggiori il patrimonio della famiglia. Piero troverà una quadra grazie a Susy, interpretata da Claudia Pandolfi, con la quale costruirà una famiglia. Imperfetta, certo, con mille problemi, ma che ogni mattina trova un riscatto nelle parole della moglie: “Sei sempre più bello”. Una commedia che ci fa ridere, senza però liberarci di quella sensazione: di quell’ovosodo nel petto, che non va né in giù né in su.
Ovosodo sarà proiettato alla Festa del cinema di Roma, in occasione dell’anteprima del documentario Quel maledetto film su Virzì, realizzato da Stefano Petti, Gabriele Acerbo e Alessio Accardo. La carriera di Virzì, però, tra i moltissimi alti ha avuto anche qualche passaggio meno glorioso. L’anno scorso è uscito l’ultimo film del regista toscano che, però, non aveva convinto del tutto. Siccità, pur avendo un cast eccezionale, sintetizzava già nel titolo il suo svolgimento: una commedia un po’ arida. Non bastarono Valerio Mastrandrea, Emanuela Fanelli, Max Tortora e, di nuovo, un’eccezionale Claudia Pandolfi. L’idea è che Virzì abbia voluto fare fin troppo. Nella Roma in cui è ambientato il film non piove da tre anni e nelle vite dei protagonisti si sommano tutti i problemi della nostra contemporaneità: i cambiamenti climatici, le epidemie, i social, l’ansia da prestazione e il razzismo. Tutto intrecciato in un nodo che sembra irrisolvibile. C’è persino una sacra famiglia che attraversa il Tevere in secca, il segno che anche il divino soffre il caldo della capitale. Forse neanche i vari personaggi hanno saputo trovare una via d'uscita da questo groviglio e, per questo, finiscono per rinchiudersi in figure un po' eccessive, quasi stereotipate. Per voler parlare di tutto, Virzì finisce per parlare pochino di ogni cosa.
Insomma, un misto di questioni che se confrontato con la perfetta successione di situazioni e vite di Ovosodo appare ancor meno efficace. Come scritto in una recensione pubblicata dalla rivista Cineforum, Siccità simula “il modesto palcoscenico su cui va in scena un Don’t Look Up da teatro dialettale”. Ora ci sarà l’occasione di rivedere quella grande commedia livornese, un momento per ricordarci di quello che può fare un regista di valore come Paolo Virzì. Quell’ironia al confine col sarcasmo che fa sorridere, ma sempre con quell’ovosodo che preme nel petto.