Dopo il taglio del canone Rai annunciato dai ministri Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti, il costo per i cittadini passerà da 90 a 70 euro annuali. Molti, come sempre, si sono fatti la domanda: “Dove verranno presi i soldi?”. Ancora non ci sono prese di posizione ufficiale sul tema, ma The Hollywood Reporter ha ipotizzato che parte della riforma verrà finanziata da un taglio al tax credit: “Dal Mic (il ministero della cultura) trapelano tabelle, spifferi, rumors: vogliono ammazzare il tax credit come se fosse un superbonus 110% qualsiasi e si parla di un taglio di 200 milioni di euro”, scrive l’autore Boris Sollazzo. È dal 2016 che il tax credit sostiene le imprese del cinema e dell’audiovisivo: questo strumento consiste nel riconoscimento del credito d’imposta fino al 40% del totale delle spese riguardanti sia la produzione che la distribuzione delle opere. Non si tratta, quindi, di una misura ininfluente per l’industria italiana. Anzi, molte delle imprese fanno affidamento proprio su quel sostegno, che da anni permette di mantenere a galla le piccole-medie produzioni. Già quest’estate si era parlato di eventuali modifiche che avevano fatto tremare molti dei player del mercato: in particolare, l’innalzamento delle soglie di spesa richieste per avere accesso al credito era stato considerato irraggiungibili per molti. Inutile far finta che, nonostante le parole spese dalla sottosegretaria Lucia Borgonzoni in un’intervista di quest’estate al Sole24Ore, il trattamento avrebbe avuto le stesse conseguenze per tutti. Ora che l’attuale governo ha bisogno di risorse aggiuntive resta da capire che futuro avrà il tax credit. Nello scenario da “film distopico” prefigurato ancora da The Hollywood Reporter, un altro elemento del quadro sembrerebbe essere la limitazione del decreto crescita per le società sportive, in particolare quelle calcistiche. Dopo alcune conferme, ieri sera le voci sembrano essere rientrate: le agevolazioni per i club di Serie A sono al riparo. Una gran confusione, quindi, che rende sempre meno chiara la modalità di assorbimento del buco provocato dal taglio del canone. Ma proviamo a fare un po’ di chiarezza su quello che sta succedendo.
Come funziona il tax credit?
Il credito d’imposta, per come è stato pensato sette anni fa, è erogabile per lo sviluppo non solo di film e serie tv, ma anche “per opere web, videogiochi e per l’apertura o ristrutturazione di sale cinematografiche, per i costi di funzionamento delle sale cinematografiche e per le industrie tecniche”. Un ampio ventaglio di ambiti di intervento, quindi. Inoltre, l’obiettivo del tax credit era quello di favorire l’industria italiana rispetto a quella estera, che doveva essere incentivata a investire nel nostro paese: le imprese internazionali che decidevano di produrre in Italia potevano arrivare al 40% di credito (come le produzioni totalmente italiane) per “le spese sostenute sul territorio italiano entro l’80% del budget complessivo”. I requisiti di accesso erano piuttosto semplici: essere una società con sede in Europa e soggetta a tassazione italiana, e “avere un capitale sociale minimo versato e un patrimonio netto non inferiori a 10.000 euro”. Come già detto, la copertura riguarda non solo i costi di produzioni effettivi, ma riguarda anche la distribuzione nazionale e internazionale.
Le proposte di modifica di quest’estate
Verso la fine di giugno di quest’anno, la sottosegretaria al Mic Lucia Borgonzoni ha rilasciato un’intervista al Sole24Ore in cui accennava a dei possibili cambiamenti relativi al tax credit: “Occorre aver realizzato nei cinque anni precedenti la presentazione della domanda almeno tre opere per un costo totale medio di 1,5 milioni o, in alternativa, di un’opera con costo sopra i 5 milioni”. A questo, doveva aggiungersi la dichiarazione (formale) di un distributore interessato all’opera in corso di realizzazione. L’intento della modifica andava anche nella direzione di un maggiore controllo sui meccanismi fraudolenti, seguendo un approccio simile a quello assunto dal governo nei confronti del reddito di cittadinanza: per evitare truffe, servono tagli netti, senza troppa attenzione alle situazioni particolari. Simili modifiche avevano preoccupato i produttori indipendenti e quelli meno ricchi. A Il Fatto Quotidiano, la regista Antonietta De Lillo aveva detto che questo era il segno di uno spostamento “sempre più verso un sistema che premia solo l’industria”, dimenticandosi delle altre realtà meno potenti. Infatti, sottolinea ancora De Lillo, in Italia esistono “nove società che da sole – secondo uno studio dell’Agcom – rappresentano l’85% del totale degli investimenti in Italia, molte delle quali sono anche finite per vendersi a società straniere”. Dopo l’estate, le proposte di modifica rimasero sospese, anche perché, come disse al tempo la sottosegretaria, alcuni dettagli non furono completamente risolti.
Cosa c’entra il calcio in tutto questo?
Seguendo la suggestione di The Hollywood Report, per finanziare il taglio del canone Rai, si sarebbe dovuto mettere mano al decreto crescita che favoriva le operazioni in entrata delle società calcistiche. Il decreto entrato in vigore nel gennaio del 2020 prevedeva una tassazione agevolata (dal 45% a circa il 25%) per quei lavoratori che non sono stati residenti in Italia nei due anni precedenti e prevedono di farlo per i due successivi al loro trasferimento. Ciò avrebbe permesso alle società italiane di essere più competitive nel reclutamento dei calciatori con gli stipendi più elevati. Ieri mattina sembrava che anche questa normativa dovesse essere rivista, ma verso sera sono arrivate numerose smentite. Nella bozza del testo della manovra si legge: “Restano invariate le disposizioni per i ricercatori, ricercatori universitari e lavoratori dello sport già previste”. Niente da fare, i soldi dal calcio non verranno presi.
I cento milioni e la marcia indietro
Il quotidiano Domani ha pubblicato in esclusiva una lettera inviata dal ministro Sangiuliano a Giancarlo Giorgetti in cui dava la disponibilità a tagliare cento milioni dedicati al cinema. Immediatamente le associazioni si sono fatte sentire. Francesco Rutelli, presidente dell'Anica, ha poi rassicurato l'ambiente: "il taglio sarà proporzionato a quello degli altri settori, molto più contenuto e in linea con quello degli altri ministeri". Un dietrofront, quello di Sangiuliano, che ha comunque lasciato irrequieti i vari soggetti coinvolti...
Una risposta parziale è arrivata dalla sottosegretaria Borgonzoni: “Il tax credit ha bisogno di aggiustamenti. L’obiettivo è tutelare i quasi 117mila lavoratori diretti del settore”. Ancora nulla di preciso in termini di cifre, quindi. Certo è che tre importanti associazioni di categoria del mondo audiovisivo si sono già mosse chiedendo al ministro un incontro chiarificatore: queste sono 100autori, Anac (Associazione Nazionale Autori Cinematografici) e Writers Guild Italia. In un momento in cui il cinema si sta rialzando dopo anni difficili, ma in cui si è ancora lontani dai livelli pre-pandemia, un taglio così drastico sarebbe un duro colpo da assorbire. Sottolinea ancora la rivista romana: il cinema “restituisce nei territori più virtuosi anche 20 volte quanto investito dal pubblico ed è uno dei settori che è più performante nell’incremento costante dell’occupazione giovanile”. Un settore, quello del cinema, che non merita di venire penalizzato in questo modo. Se poi, come sembra, la manovra serve a tappare un buco causato dal funzionamento singhiozzante della macchina Rai, allora l’amaro in bocca diventa difficile da lavare via.