Matteo Salvini ha una grande qualità: quando pensi di aver visto tutto, lui ti stupisce ancora. Peccato lo faccia, spesso e volentieri, abbassando l’asticella verso il basso e proseguendo a scavare quel baratro in cui la politica sta velocemente scivolando da anni rispetto alla comprensione dei veri problemi di cui dovrebbe occuparsi chi è impegnato nelle istituzioni. Ancor di più se investito del ruolo di ministro. Dei Trasporti, poi, dove di questioni irrisolte ce ne sarebbero a bizzeffe. Stavolta è tornato a uno dei suoi cavalli di battaglia: il post sui social come appendice a uno spot legato a un noto marchio che, in qualche modo, darebbe forza alla sua visione (o parte) politica. Nello specifico alla pubblicità di Esselunga dove una bambina, dopo aver acquistato una pesca nel centro commerciale, la dona al padre come segno che è possibile tornare insieme alla madre (e qui scopriamo che la coppia era separata). Uno spot che ha scatenato molte polemiche e anche noi su MOW ne abbiamo discusso parecchio. Tra chi lo accusa di essere “meloniano”, cioè di promuovere la famiglia tradizionale, chi invece lo ha definito “sdolcinato e sbagliato” rispetto al tema del divorzio, chi ha cercato di ridimensionarlo a “soltanto uno spot per vendere prodotti” e chi ci ha ricordato che, forse, avremmo anche altri problemi più importanti a cui pensare. Non per Salvini, che in una domenica dove, evidentemente, non aveva niente di meglio da fare (ma milioni di italiani e stranieri erano in coda, come sempre, sulle strade e le autostrade italiane a causa di disservizi), ha pubblicato un post scrivendo: “Niente pesche, ma tanta roba! Le domeniche belle all’Esselunga", corredato di immagini mentre, armato di carrello, fa la spesa sorridente. E qualcuno gli fa notare: "Ci sono trenta gradi e fai una foto mentre acquisti le castagne. Niente, non farcela mai, neanche per sbaglio". No, non ce la fa. Ormai è assodato. Ma non si tratta solo di una questione di opportunità politica. Ecco perché.
Se da un lato un ministro dovrebbe evitare di fare pubblicità a un solo marchio rispetto a molti altri - che giustamente potrebbero sentirsi penalizzati -, dall’altro il partito di cui è segretario Matteo Salvini ha in corso un processo dove il pm di Milano, Stefano Civardi, aveva chiesto la condanna a otto mesi di carcere per l'ex tesoriere, il deputato Giulio Centemero, per un presunto finanziamento illecito da 40 mila euro versato il 13 giugno 2016 e concordato, sempre secondo l’accusa, tra il 2015 e il 2016 con il patron della catena di supermercati Esselunga, Bernardo Caprotti (scomparso nel 2016). Le indagini avrebbero accertato che la somma di denaro arrivò alla Lega attraverso l’associazione “Più voci” di cui Centemero era legale rappresentante. Di quella cifra, circa 10mila euro sarebbero stati usati per coprire i buchi di bilancio di Radio Padania. E gli altri 30mila a cosa sarebbero serviti?
Secondo il pm, come sottolineato nella requisitoria, sarebbero stati utilizzati da “Mc, che lo stesso Centemero indica come una società partecipata dalla Lega” che ci avrebbe anche sostenuto un “convegno del 25 giugno 2016 a Parma, organizzato dalla Lega per la costruzione del cantiere del centrodestra”. Non solo, perché il pm ha descritto l’intero quadro in cui si sarebbe svolto l’ipotizzato finanziamento illecito: “Il tesoriere è l’uomo giusto e con l’indagine di Genova in corso, col problema della confisca dei soldi che poi è arrivata” - relativa alla questione dei famosi 49 milioni di euro - “il modo più semplice per finanziare la Lega era pagare i debiti, versare i soldi nella voragine aperta della Lega che è Radio Padania”. A che punto si trova il processo? Alla sentenza di primo grado emessa nel marzo del 2022, che ha condannato Giulio Centemero a otto mesi di reclusione. Un mese dopo, il nuovo tesoriere della Lega era diventato Alberto Di Rubba, amico ed ex socio proprio di Centemero, in seguito condannato a Milano con rito abbreviato a 2 anni e 10 mesi di reclusione per peculato, cioè l’appropriazione indebita di denaro o altre utilità da parte di un pubblico ufficiale. Il giudice aveva deciso per Di Rubba anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e la confisca di 38 mila euro. La condanna era arrivata nell’ambito dell’inchiesta connessa alla Lombardia film commission (Lfc) che aveva già portato a una condanna per Di Rubba, ex presidente della Lfc ed ex direttore amministrativo del Carroccio al Senato, e per Andrea Manzoni, ex revisore contabile della Lega alla Camera. Detto questo, è giusto essere garantisti e attendere i prossimi gradi di giudizio, ma Salvini ce la mette proprio tutta a farci diventare maliziosi e a pensare che nei confronti di Esselunga, oltre alle pesche e alle castagne, ci sia qualcosa di più di un semplice apprezzamento per la qualità dei suoi prodotti.