“Vedete quest’attrice in Casa Vianello? Si chiama Sandra Mondaini e sapete cosa abbiamo scoperto all’anagrafe? Che è la vera moglie di Raimondo Vianello! Raimondo, Raimondo, ma con tutte le attrici che ci sono in Italia proprio tua moglie dovevi far lavorare?”. Diversi anni fa Mai dire Gol proponeva un personaggio geniale: Bum Bum Picozza, inviato di Striscia La Notizia interpretato da Fabio De Luigi, che inventava polemiche pur di provare a dare notizie. Ecco, con la pubblicità di Esselunga mi pare che stiate facendo tutti la stessa cosa: tirar su una polemica su uno spot che non farà la storia della pubblicità. Pagine, pagine, pagine per spiegare che questo post è propaganda antidivorzista, spot sessista, denigrazione verso le coppie separate, apologia della famiglia tradizionale, narrazione tossica. Una pubblicità di Esselunga. Sì, avete capito bene: una pubblicità di Esselunga. Non uno spot della Presidenza del Consiglio, non l’ultimo film Premio Oscar, non un documentario finanziato dal governo per disincentivare le coppie a divorziare. Una pubblicità Esselunga – ideata dall’agenzia creativa di New York Small, girata a Milano dal regista francese Rudi Rosenberg e prodotta da Indiana Production – che come tutte le dannate pubblicità ha uno scopo: vendere qualcosa. Esselunga lo fa attraverso un claim che secondo me è anche carino: “Non c’è spesa che non sia importante”.
L’oggetto del contendere è una pesca. Una fottut* pesca. Una madre al supermercato – così inizia lo spot – non trova più la figlia. La trova poco dopo al reparto frutta e verdura mentre sceglie una pesca. La madre decide che quella pesca si può comprare. In macchina, mentre la mamma parla, la piccola si perde a guardare dal finestrino due genitori che aiutano un figlio caduto dal monopattino (forse). A casa giocano un po', poi si sente suonare il citofono: è il padre che prende la figlia e la porta con sé come da accordi (si presume) post separazione o divorzio. Quando la bambina sale sulla macchina del padre apre lo zainetto e gli consegna la pesca acquistata prima, dicendo: “Questa te la manda la mamma”, il padre sorpreso risponde: “Allora stasera la chiamo per ringraziarla". Dopo averla vista, da figlio della tv commerciale quale sono, mi sono emozionato perché non pensavo fosse così eversiva l’idea che una bambina potesse sperare che i genitori tornassero insieme. Poi, dopo un rapido giro su X, mi sono vergognato di aver provato sentimenti positivi verso una pubblicità che dopo 20 tweet letti sul social era diventata peggio di uno spot elettorale di un movimento antidemocratico escluso dalle elezioni.
“La donna è la stronza responsabile della separazione perché non è affacciata quando il papà guarda su”; “La tossicità di questa narrazione consiste nel considerare necessariamente drammatica una separazione”; “La mamma è a casa che gioca e che fa la spesa mentre il papà torna dall’ufficio, quindi c’è lo stereotipo della donna/focolare e dell’uomo/carriera”; “Lo spot inizia con la mamma disperata che non trova la bambina, pensando di averla persa al supermercato e sembra vagamente esaurita. Stigma secondo cui la donna da sola non può occuparsi dei figli, che ha bisogno dell’uomo per potercela fare”; “Alla fine il messaggio è sempre quello: l’unica di piattaforma di dialogo è il consumo”. Questi solo solo alcuni dei commenti indignati trovati sui social. Ma non sono solo gli utenti a indignarsi. No, anche gli intellò si lamentano. Alcuni tirano fuori la legge sul divorzio che fortunatamente sta lì e che non sarà Esselunga a far abrogare, alcuni fanno la morale su quanto sia vergognoso che il capitalismo venga posto come soluzione alle divergenze familiari e alcuni puntano il dito contro la scelta di usare una coppia “tradizionale”. Vi chiedo quindi: è ancora possibile fare pubblicità senza offendere, far indignare o farsi dare del meloniano?