Le lacrime, gli strilli, le emozioni incontenibili. I firmacopie formato teen idol somigliano spesso a una replica miniaturizzata della Beatlemania. E, talvolta, sono un caos senza fine. Beh, ma la Beatlemania era un caos, perché non dovrebbe esserlo un firmacopie? Perché quel “miniaturizzata” di prima rimanda comunque a un’esperienza più raccolta, che non include la vendita di un qualsiasi drink o una band che deve “gestire” un palco a pochi metri da una selva di braccia tese. Il firmacopie, per queste ragioni, è, e dovrebbe sempre essere, un appuntamento più confidenziale. Stabilito questo – e quindi preventivando lacrime e impazienza –, il firmacopie di Ariete del sabato pomeriggio appena trascorso, ospitato dal punto vendita Feltrinelli per eccellenza, quello a due passi dal Duomo di Milano, è stato un autentico delirio. Lo ha salvato, alla grande, l’enorme amore del pubblico teen per Ariete, che a sua volta, ha ricambiato con grazia ogni gesto, ogni ammiccamento, ogni parola dolce, ogni richiesta di unire le dita per comporre, a favore di camera, la forma di un cuore. Ariete ha parlato, suonato, sorriso. L’occasione è stata la presentazione del nuovo disco, “La notte”, piccolo manifesto di pop intimista e teen per platee teen, appunto, alla ricerca di una suadente compagna di viaggio – tipo una sorella maggiore che non ti sgrida – con cui condividere i primi pensieri della notte dopo aver spento la abat-jour.
Tutto estremamente carino, insomma, per i classe 2014-2008 che spesso, trafitti da un “ti voglio bene” di Ariete, hanno finito per versare calde lacrime, testimonianza concreta del piccolo miracolo che si è compiuto: la temporanea unione con l’artista, fino a quel momento irraggiungibile. Le stesse lacrime – stavolta metaforiche, però – piante da quasi chiunque, quel pomeriggio, avesse accompagnato un figlio, una nipote, una sorellina, all’atteso rendez-vous milanese. Perché questi firmacopie – non sono concerti che richiedono meticolosi soundcheck – si possono organizzare in un unico modo (e qui, Mondadori, in genere, docet, come ha dimostrato l’appuntamento con Madame di qualche mese fa). Sposando, necessariamente, una delle idee più rivoluzionarie targate umanità: il concetto di fila. È l’unica strada, lo affermano anche quei famosi scienziati di Oxford o Harvard che vengono interpellati quando è urgente affidarsi a chi ne sa davvero. La fila (funziona così: chi è davanti passa prima, chi è dietro passa dopo) è l’unico antidoto al caos dell’altro pomeriggio, dove una security molto giovane (più che una security in senso stretto, un’agenzia chiamata a gestire il traffico umano agli eventi) ha fatto di tutto (e di più con estrema professionalità) per evitare l’inevitabile, ossia che dopo dieci minuti dalla prima copia dell’album firmata da Ariete, ogni criterio progressivo di chiamata se ne andasse a farsi benedire. Così abbiamo avuto padri caldi, madri agitate, ragazzini che in virtù di una taglia ultra-small hanno aggirato i più cresciuti che avevano diritto di precedenza. Gente che sgattaiolava ovunque, ragazzini che sono arrivati alle 18 che si sono visti firmare la propria copia alle 19 e coetanei, che alla Feltrinelli ci avevano quasi piantato le tende (alcuni erano lì dalla tarda mattinata), che hanno atteso fino alle 20 per un contatto con il proprio idolo. A un certo punto – perché il teatro, se non c’è, va creato – un figuro probabilmente emerso da una botola nascosta ha zittito per un attimo il brusio e lo scontento con un plateale “portate rispetto per Ariete, per questa ragazza così gentile e disponibile!”. Lo ha urlato due volte, si sa mai che qualcuno non avesse afferrato il concetto. Solo che Ariete, di ciò che stava accadendo poco lontano da lei quasi non si era accorta. E di certo non ha percepito, all’interno di questa oblunga sessione di firme, la benché minima forma di “non rispetto”. Vabbè, in questi tempi i capipopolo in stile mazziniano vanno forte, specie sui social. Vederseli live è un po’ l’emozione che non t’aspetti all’ appuntamento con una dolce cantautrice di 21 anni appena.
Ma al di là delle crepe di un evento che alla fine ha comunque raggiunto appieno il suo obiettivo, ossia mandare a casa felici una turba di giovanissimi, l’episodio offre lo spunto per qualche riflessione: i firmacopie non sono una novità, ma dopo tutti questi anni in cui hanno preso corpo e acquisito statura, scivolano ancora laddove scivolavano quando Ariete era appena nata. Le copie dei cd o dei dischi da far firmare, in vendita nel negozio che crea l’evento, spesso finiscono troppo presto e questo, nel 2023, in un’epoca in cui ogni copia fisica venduta andrebbe festeggiata con un mini-brindisi, è peccato grave. Forse vanno solo ripensati, ricalibrati, trasferiti in spazi pensati appositamente, non ricavati. Forse, vista la quantità di pubblico mossa da un firmacopie, è ora che un rito simile trovi una propria dimensione dedicata. Certo, lo scopo di un firmacopie è anche attirare gente nel punto vendita, ma i ragazzini – i più grandi sostenitori di tale rito collettivo – entrano col paraocchi, fraternizzano fra loro in attesa del cantante, e a stento si rendono conto di dove sono (si trovassero in una vecchia drogheria di paese, nulla cambierebbe). Sono ipnotizzati dall’obiettivo, non hanno neppure il tempo di comprare altro al di fuori del disco che si fanno firmare. Gli adulti, gli accompagnatori, spesso partono sereni, felici di rendere felice qualcun altro. Magari si fanno un giro per il locale, ma perlopiù attendono. E attendono. E attendono. Se quindi il firmacopie è tuttora “the only way” per unire due mondi distanti – artista e fan –, allora serve una riforma. Una riforma gentile che renda questa prassi un’esperienza più fluida. Per preservare l’abbraccio indimenticabile che lega un giovane artista ai suoi ancora più giovani fan. E, già che ci siamo, la tenuta psicofisica di chi gestisce l’evento o di chi, magari macinando chilometri in auto, accompagna un figlio (“Ho dovuto chiedere anche un permesso!”, si è udito, sempre in aria di teatro, l’altro pomeriggio).