Da piccoli, magari non proprio piccolissimi, ma in quella fase anagrafica nella quale un certo sarcasmo comincia a farsi largo tra le maglie della spensieratezza, c’era chi convertiva il classico “la vita è bella perché varia” in un più sardonico “la vita è bella perché avariata”. Di questi tempi, tra pandemie, guerre, cambiamenti climatici e altro, sembra proprio che quelle parole a loro modo scherzose siano diventate profeticamente attuali. Viviamo in un mondo avariato, è un fatto. E se tutto sembra andare velocemente a rotoli, provateci voi a fermare l’apocalisse semplicemente armandovi di ottimismo, ecco che da qualche parte provano a mandarci segnali che potrebbero indicarci che non tutto è perduto. Segnali da decifrare, certo, come quelli di certi alieni dei film di fantascienza, che capisce solo un bambino problematico in un paesino sperduto del midwest americano, ma pur sempre segnali. Certo, siccome i film sugli alieni sono pur sempre colossal americani e vi è tutta una letteratura riguardo i falsi bei finali dei film, tocca star lì a fare un attimo il punto della situazione. Avete presente, no?, quei film primi anni Ottanta che ci mostravano una qualche forma della natura lì per presentarci, certo con un certo anticipo sul resto della narrazione, il conto?
Che so, le api impazziscono e decidono, prima che l’uomo le elimini del tutto coi diserbanti, il disboscamento e via dicendo, storia di questi anni, di farci fuori tutti. Bliz, lo sciame che uccide, roba del genere. Ecco, quando tutto sembra alla fine essere rientrato in una condizione non dico ideale, nel mentre ci sono stati un sacco di morti e tutti spirati in maniere dolorosissime e violente, ma quantomeno accettabili, l’umanità andrà ancora una volta avanti, alla faccia della Natura, ecco che lì, in un angolo del grande schermo, certi film andavano visti categoricamente al cinema, e comunque non era ancora arrivato Blockbuster, figuriamoci l’idea dello streaming, ecco che lì, in un angolo del grande schermo, compariva un’ape sopravvissuta alla carneficina. Come dire, voi pensate di averle fatte fuori tutte, ma in realtà la vostra fine è imminente. Idea che col tempo Hollywood deve aver introiettato anche troppo, se è vero che poi sono partite vere e proprie saghe tipo Scream, nelle quali i cattivi non sopravvivono, magari, ma hanno tutta una serie di parenti, amici, emuli, cloni, gente pronta a proseguire sul solco di sangue da loro stessi tracciato. Il lieto fine di questi anni è che le macchine, leggi alla voce tecnologia, ci sta soccorrendo. Non potrebbe essere altrimenti, anche perché è la tecnologia, o meglio un uso non esattamente sensato delle scoperte scientifiche e dei progressi tecnologici a averci in parte portati qui. Esiste, da qualche parte, un cervellone che sta provando a risolvere il problema dei cambiamenti climatici, analizzando dati, facendo proiezioni sul medio e lungo periodo, indicando strade invisibili a occhio nudo, e comunque difficili da scorgere anche usando il navigatore. Il medesimo cervellone che prova a trovare le cure per le tante malattie che ci stanno non certo portando all’estinzione, siamo oltre otto miliardi, ma rendendo la vita un po’ meno godibile di quanto il vivere in un’era altamente tecnologica ci aveva in passato indotti a aspettarci. Il mondo, o almeno quella porzione di mondo nella quale viviamo e che è connessa in maniera stretta, quotidiana, con un click, con altre porzioni di mondo simili, allo stesso livello, è un posto nel quale sono sparite tutta una serie di problematiche, per quanto uno possa non essere di bocca buona è chiaro che oggi come oggi certi privilegi un tempo a favore solo di una élite circoscritta siano appetibili a molti, se non a tutti. Poi, è certo, c’è un’altra fetta di mondo che neanche sospetta certo benessere, o se lo immagina talmente perfetto da rischiare di travisare la realtà (le aspettative dei Nuovi Mondi sono spesso fatte di terreni ispidi e rocciosi sui quali costruire i propri ranch destinati al fallimento), ma noi siamo qui e ora, mica possiamo empatizzare con tutti gli altri otto miliardi di terrestri.
Siamo a un passo dalla realizzazione del transumanesimo, questo il fatto. L’Homo Sapiens, in giro ormai da circa trecentomila anni, sta per lasciare il posto al Postumano, in parte l’ha già cominciato a fare da tempo. Le scoperte scientifiche e le conseguenti scoperte tecnologiche ci hanno dapprima allungato la vita, poi migliorato la qualità della vita durante tutta la sua durata, una tendenza verso l’eternità neanche troppo celata. Fino qui, per dirla con a voce narrante de L’Haine di Matthieu Kassovitz, tutto bene. Fino qui tutto bene. Fino qui tutto bene, avete presente, no? L’importante non è la caduta, ma l’atterraggio, dai, quell’incipit clamoroso lì. Ecco. L’atterraggio è in effetti un problema, o potrebbe rivelarsi tale. Perché loro, le macchine, stanno cominciando a dare chiari segnali di insofferenza. Sì, di insofferenza nei nostri confronti. L’AI, cioè le intelligenze artificiali di cui tanto si parla, stanno cominciando a espandersi, farsi largo, e l’idea che presto o tardi finiranno per vivere di vita propria è parte integrante di quel processo che porterà alla fine dell’Homo Sapiens, dice parte della comunità scientifica, con buona pace dei luddisti. Potrei azzardare qualche esempio generico, ma immagino che chiunque di voi ne abbia di altrettanto validi. Dite una cosa a un qualsiasi vostro interlocutore, tipo, che so?, “Ho sentito che presto non ci sarà più il toner nelle stampanti, ma un gel in grado di rigenerarsi all’infinito”, dico una cosa a caso, e glielo dite in strada, dove lo avete incontrato per caso, lo smartphone nascosto in fondo alla borsa, e da quel momento qualsiasi passaggio facciate in rete, dai social a Google alla lettura di quotidiani online, è un florilegio di quella nuova stampante. E questo è un esempio davvero basic. Perché poi ci sono i gradi evolutivi di tutto ciò, l’algoritmo, cioè, che è un processo basilare, rispetto all’intelligenza artificiale, AI, capisce che se siete a conoscenza di una nuova stampante che ancora non ha sfondato sul mercato siete appassionati di tecnologia, e allora ecco che vi tempestano di info su altri prodotti tecnlogici, le piattaforme di streaming vi propongono solo film e serie tv di fantascienza, Spotify vi sottopone una playlist di musica elettronica, dal Krautrock a oggi. Di più. Che sia l’algoritmo a decidere cosa proporci sulle piattaforme di streaming, in maniera blanda e anche non centratissima su quelle televisive, in maniera precisa e anche dittatoriale su Spotify e affini, è cosa nota. Come è noto che Spotify e affini, che con l’algoritmo hanno in qualche modo ridisegnato il gusto degli utenti, in qualche modo modificando l’estetica musicale attuale, chi fa musica che su Spotify non passerebbe si taglia già fuori dal mercato da solo. L’algoritmo, quindi, ha imposto un canone divenuto universale. Quando l’AI, se ne parlava tempo fa, ha provato a prendere le istanze dell’algoritmo per industrializzare la scrittura di canzoni, trasformando il metaforico “tavolino” dove gli artigiani della musica commerciale starebbero a scrivere le loro future hit, più stando a una credenza piuttosto diffusa che nella realtà, prendi qualcosa che già funziona o ha funzionato, modificala appena, usa quelle note lì, quei suoni lì, quelle parole lì, mettile in bocca a voce altrettanto familiari, il gioco è fatto, ecco, quando l’AI ha provato a fare questo in maniera massiccia, Spotify si è allarmata, e ha bloccato il tutto, trasformando il blocco degli ascolti di massa, falsi, da parte dei Bot, in un blocco dei brani di massa falsi, fatti sempre dai Bot.
Una scelta singolare, va detto, una macchina che accusa una macchina di giocare sporco. Roba tipo King Kong contro Godzilla, sempre per rimanere in tema cinematografico. Poi succede che Spotify, sempre loro, annunci l’utilizzo dell’AI, oops, per tradurre in simultanea e in tutte le lingue i principali podcast presenti sulla piattaforma. Di più, non solo li tradurrà, usando evidentemente una versione potente di ChatGPT, ma userà la medesima voce del podcaster, che però parlerà tutte le lingue, per registrarli. Un po’ una faccenda simile a quanto è successo ai dodici apostoli dopo che è sceso lo Spirito Santo, Dio non è più quello rancoroso del Vecchio Testamento, apprezzerà questo mio scherzare sulle Sacre Scritture, loro parlavano le lingue, divenendo comprensibili per tutti, qui è l’AI a far parlare le lingue ai podcaster di casa Spotify, i quali presteranno le loro voci alle macchine che faranno lo sporco lavoro. Che questo, io registro un podcast in italiano, domani lo puoi ascoltare in cinese dalla mia viva voce, anche se io non so una parola di cinese, sia un poco inquietante, mi sembra sia opinione condivisibile da tutti. Affascinante, certo, ma anche inquietante. Che si possa fare un qualsiasi utilizzo anche scorretto di questo tipo di tecnologia, beh, è altrettanto inquietante. Cosa sarà più vero e credibile? Come sarà tracciabile la verità, penso alle intercettazioni? Coi blockchain? Qualcuno ha più sentito parlare di NFT? Insomma, il far west, la prateria, il ranch da costruire. Potremmo trovarci in un futuro, parlo sempre di spettacolo, per non aprire scenari davvero spaventosi, nei quali l’AI scrive un libro, molti scrittori si sono già allarmati per la concorrenza sleale delle macchine, e hanno chiesto, non si sa bene a chi e come, una tutela sul diritto d’autore, come se anche in editoria non ci fossero già gli scrittori che emulano, facendo libri a tavolino, comunque potremmo avere un futuro nel quale l’AI scrive un libro, che poi fa diventare un film, da se medesima diretto, con attori che in realtà sono simulacri, ah Phil Dick come la sapeva lunga, usato grazie a una evoluzione del DeepFake, usando la voce reale degli attori, direttamente doppiati da se medesimi in tutti le lingue. O magari potremmo farlo anche noi, con l’AI, abbiamo una idea che riteniamo geniale, e la facciamo diventare un colossal con Brad Pitt e Angelina Jolie, che facciamo tornare insieme di forza, salvo poi comparire in prima persona, noi, nelle scene di sesso. Pensate all’utilizzo nei revenge porn. Pensate ai doppiatori. Pensate agli autori di varia natura. Manca il fattore umano, dirà qualcuno, romanticamente attaccato a una nostra diversità dalle macchine. Vero. Per ora. Potremmo arrivare, magari vi è capitato di vedere Trascendence con Johnny Depp, film per altro di nove anni fa, a noi che entriamo con la nostra mente dentro le macchine, l’eternità a portata di mano, certo, ma a che prezzo. Il postumano di cui sopra, in effetti, apre discorsi filosofici, etici, interminabili, ditelo ai vostri figli che è meglio iscriversi a Filosofia, oggi, piuttosto che a Ingegneria. Poi, magari, arriveremo anche a un giorno nel quale le macchine penseranno da sole, senza il bisogno del nostro supporto, e allora sì che sarà transumanesimo, noi umani a fare lavori fisici, muli da soma, e loro a governare (Matrix, in fondo, non parlava mica d’altro). Io nell’incertezza continuo a ascoltare vinili registrati in analogico, e quando uno dei miei figli risponde “Io” alla mia domanda “Chi è?”, posta al citofono, chiedo sempre di darmene prova, mica vorremo fidarci delle immagini di quel piccolo televisorino che sta lì di fianco alla cornetta, no? Mica sono nato ieri.