Parliamo di turismo. Siamo ormai giunti – con una velocità che, ogni volta, sembra concorrere con quella della luce – al mese di agosto. Il clou dell’estate, quando gli studenti sono liberi da ogni impegno, gli universitari in pausa e i lavoratori finalmente in ferie. Il comune denominatore è uno: il desiderio di evadere dalla propria quotidianità e concedersi qualche giorno di vacanza. Ma i desideri hanno un costo, e si sa, le possibilità non sono le stesse per tutti. Quest’anno, poi, questo costo sembra essere diventato particolarmente alto. La realtà, spesso, si scontra con quello che social e media vogliono mostrarci: spiagge affollate, selfie al tramonto, “tutto esaurito” urlato dai titoli dei giornali. Ma a ben vedere, sotto la sabbia dorata della narrazione mainstream, si nasconde qualcosa di più complesso. Il turismo in Italia sta cambiando pelle, e non è detto che sia una buona notizia per tutti. O meglio: dipende da che lato della barricata (o della sdraio) ci si trova. Partiamo da Rimini, regina indiscussa della Riviera romagnola, che sfodera orgogliosamente i numeri: +4,4% negli arrivi, +2,9% nei pernottamenti nei primi sei mesi del 2025. “Il miglior primo semestre degli ultimi 10 anni”, gongola il sindaco Jamil Sadegholvaad. Sembra tutto perfetto, no? Sì, ma anche no. Sandro Giorgetti, presidente regionale di Federalberghi, getta acqua sul fuoco: “Caro sindaco di Rimini, non è tutto oro quello che luccica... In particolare per quanto riguarda i pernottamenti negli hotel”. I dati Istat lo confermano: le presenze negli alberghi crescono appena dello 0,3%. Il vero boom è altrove – case vacanza, appartamenti Airbnb, affitti brevi. Giugno +27,6%, da inizio anno +22,9%. Numeri che raccontano una storia diversa da quella del “pieno ovunque”. Leggendo questi dati, vengono in mente le proteste che ci sono state negli ultimi mesi in giro per l'Italia riguardo il sovraffollamento di b&b nelle città turistiche. Perché la situazione è proprio questa: agli affittuari conviene, perché in una settimana riescono a intascare ciò che, normalmente, guadagnerebbero in un mese. E così, tantissime case diventano rifugi momentanei per turisti che, saturi di un anno di fatica, porgono le loro banconote all'offerente più conveniente. E così, il mercato dell’extra-alberghiero rosicchia quote, attirando chi cerca libertà, cucina in casa e prezzi meno da “listino Riviera”. Gli alberghi, soprattutto 1, 2 e 3 stelle, navigano in acque difficili. Resistono solo i 4 e 5 stelle, dove l’esperienza è di lusso e i clienti sono più agiati economicamente. Gli altri? Stretti tra norme antiquate, costi di gestione in crescita e camere che non reggono la concorrenza.

La Regione prova a reagire: nuova legge urbanistica, riqualificazione edilizia, revisione della classificazione alberghiera. Ma Federalberghi avverte: bene riqualificare, ma occhio a criteri troppo alti. In altre parole, il rischio è trasformare una parte del patrimonio ricettivo in relitti del passato. E mentre la battaglia si combatte in riva al mare, l’entroterra sorride. Gli agriturismi vanno a gonfie vele: borghi, cantine, colline con vista… qui non si parla di movida, ma di esperienze. È il turismo slow, quello che non brucia tappe ma le assapora. Meno mare, più terra. Meno Rimini, più Val d’Orcia, Casentino o Lunigiana. La Toscana balneare? Strano a dirsi, ma quest’anno delude. Prezzi alle stelle, spiagge sovraffollate, poca novità. La cartolina del “grand tour” non basta più a convincere, mentre l’Emilia-Romagna macina numeri migliori. Una rivincita della “Romagna che lavora” contro la vacanza patinata? Forse sì. Nel frattempo, giù al Sud, accade qualcosa di inaspettato: il Mezzogiorno cresce più della media nazionale. PIL +0,9% contro +0,7% italiano. Investimenti, occupazione, segnali di fermento. Il turismo c’entra, ma non quello dei villaggi-clone o delle spiagge cementificate. È quello che valorizza, che integra, che fa crescere senza distruggere. L’Italia è da sempre una meta turistica da sogno: scenari da cartolina che vanno dalle Cinque Terre alla Costiera Amalfitana, dal Salento alle Dolomiti del Trentino, fino alle vette dell’Abruzzo. E per chi ama i borghi, le città d’arte, i musei e i siti culturali, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Eppure, succede qualcosa di paradossale: tanti stranieri – europei e d’oltreoceano – arrivano qui pronti a spendere cifre importanti, mentre noi italiani, spesso, preferiamo andare altrove. Magari all’estero, perché un volo low-cost costa quanto una settimana di sdraio e ombrellone relegati in fondo alla spiaggia. Non è un caso se Assobalneari-Confcommercio parla di un vero e proprio tracollo delle presenze negli stabilimenti: -30% rispetto allo stesso mese del 2024, con picchi del -40% in Calabria ed Emilia-Romagna. Un crollo che si somma a una polemica che già lo scorso anno aveva fatto rumore: quella dell’eccessiva privatizzazione delle spiagge italiane. Sempre più famiglie, stanche di pagare decine e decine di euro per una giornata di mare, scelgono la spiaggia libera, si portano l’ombrellone da casa. E allora, alla fine, la domanda è: che turismo vogliamo? Impazzito, dettato dagli algoritmi delle prenotazioni e dai voli a 9 euro, o consapevole, capace di rispettare e lasciarsi contaminare?
