L’ho visto sui social, perché guardo pochissimo la televisione generalista e come tutti gli adulti quando ci sono gli spot faccio altro. Come spesso capita alle cose di cui parlano tutti, lo spot ha diviso tutti in due squadre, alcuni si sono schierati a favore dell’azienda, lì a riscaldare un senso di famiglia antico, forse giusto, vagamente tradizionale. Altri contro la medesima, rea di aver veicolato un familismo che, come tutti gli "ismi", va osteggiato a prescindere. Poco conto che si tratti di uno spot, il cui scopo è quello di far circolare il nome dell’azienda in questione (obiettivo portato a casa in grande scioltezza proprio andando a pizzicare un nervo scoperto, le fazioni divise, il trend topic), come quasi tutte le pubblicità dell’Esselunga e più in generale delle catene di supermercato, il contenuto è estremamente melenso. Come se per fare la spesa in certi posti toccasse giocoforza essersi spalmati addosso uno strato consistente di glassa, fatto che ci farebbe sicuramente diventare piuttosto popolari su Tik Tok, mi vien da pensare, magari qualcuno lo farà proprio dopo aver letto queste mie parole, ricordatevi degli amici. C’è questa idea, credo che la prima a veicolarla sia stata la Barilla con tutti quei video che ci parlavano di gattini abbandonati sotto la pioggia con la musica di Vangelis a dare la mazzata finale, che la spesa equivalga a una idea di casa rassicurante, il focolare domestico di antica memoria. Poco importa che la realtà sia un'altra, che noi quando andiamo a fare la spesa siamo sempre di fretta, maledetti supermercati che organizzano i cibi secondo una logica solo loro, per dire, biscotti e altri dolciumi con cui si fa colazione lontani dal latte e lontani dal caffè, lo zucchero addirittura dalla parte opposta del locale, e che si finisca spesso per lasciare indietro qualcosa che invece era fondamentale, fatto che ci farà poi litigare una volta tornati a casa, “Mi ero raccomandata/o di prenderlo”, spesso anche litigare in loco, “Ma dove cazzo mettete le cose”. La spesa, questo credo il sottotesto, è un gesto d’amore nei confronti delle persone che vivono con noi, se siamo single e viviamo da soli un gesto d’amore per noi stessi, una masturbazione fatta però con passione. E siccome è un gesto d’amore va raccontata con le parole dell’amore, con le immagini dell’amore, i colori caldi, nessuno spigolo in vista.
Un divorzio poco si addice a un quadro del genere, anzi, creerebbe una crepa che ci farebbe andare a male il tutto, la muffa è questione di poche ore, quindi via, va cancellato con tutta la amorevolezza del caso, e non importa se il messaggio è che si debba fare di tutto per non lasciarsi, altrimenti poi i nostri figli soffrono e si devono inventare storielle lacrimevoli al banco della frutta. Poco conta, che so?, che certi matrimoni tirati avanti con lo spunto abbiano reso infelici certi genitori, e di conseguenza certi figli, cresciuti con una immagine dell’amore distorta. Poco conta che magari certe famiglie sono la tana di problemi anche più seri, è un po’ come la questione di Genitore 1 e Genitore 2, una faccenda di principio che va combattuta col coltello tra i denti, manco fosse questione di vita o di morte. Quel che però nessuno sembra aver notato (o se l’ha notato nessuno l’ha sottolineato quanto avrebbe dovuto), dopo aver visto mamma e figlia al Supermercato le si vede giocare in casa, finché non arriva il papà a prenderla, un saluto timido da parte di lui, risentito da parte di lei, lui in strada lei dietro le tende, con poi la scena che passa a casa di lui, il dono della pesca, sì una pesca stavolta veicola l’amore, la figlia che dice che è da parte della mamma, il papà che dice che dovrà chiamarla per ringraziarla, ecco quello che però nessuno sembra aver notato, o se l’ha notato nessuno l’ha sottolineato quanto avrebbe dovuto è che la mamma chiama la pesca, con la e aperta, il frutto si chiama pesca con la e aperta, pesca, con la e chiusa, come se stesse parlando del gesto di pescare. Certo, la mamma esce all’Esselunga di via Solari, a Milano, normale che parli con accento milanese, dirà qualcuno, e l’Esselunga è anche il supermercato identificato da tutti i milanesi come Il Supermercato, unico e solo, “Vado all’Esselunga” usato per dire “vado a fare la spesa”, anche se poi magari uno va all’Unes, alla Giesse o dove gli pare, l’Esselunga di Capriotti da contrapporre sempre e con veemenza alla Coop delle coperative rosse emiliane, e grazie a Dio che la mamma non chiami anche Emma con la e chiusa, e grazie a Dio che il papà, probabilmente milanese d’adozione, chissà se era arrivato in città proprio perché innamorato della mamma finta regalatrice di pesche, dica pesca con la e aperta, come si dovrebbe dire in italiano. Pèsca, non pésca, per riportare la grafia corretta del vocabolario.
Anzi, ci sono ottime probabilità che il papà e la mamma di Emma si siano lasciati proprio perché al papà di Emma stava sul culo che lei sbagliasse tutti gli accenti, dicendo pésca per dire pèsca, un fatto su cui, in effetti, mi sento di dargli completamente ragione, fanculo la stucchevolezza dello spot in questione. Ecco, io che sono nato in una terra dove l’Esselunga non è ancora arrivata, forse proprio per un argine costruito negli anni passati dalle cooperative rosse, oggi le Marche hanno un governatore di Fratelli d’Italia e Ancona un sindaco di destra, figuriamoci, a sentire una mamma chiamare una pèsca pésca provo un senso di rigetto impulsivo e fortissimo, se mai dovessi sentire mia moglie chiamare una pèsca pésca piuttosto andrei da McDonald’s a farmi cinque doppi BigMac di fila, contando in una sua reazione avversa, o piuttosto chiederei il divorzio, alle soglie del venticinquesimo anniversario di nozze. Tanto, nonostante abbiamo quattro figlio, la spesa la vado a fare sempre da solo e se mai dovessi ritrovarmi a parlare con qualcuno sarebbe con me stesso, stésso, per la cronaca, non stèsso, maledetti milanesi.