A un certo punto dice una cosa che ha capito lui ma può servire a te, a tutti, ed è questa: «È come se camminassimo su un filo, sotto di noi il vuoto, e se hai davvero un obiettivo devi guardare avanti e non giù, è questo il segreto». Gianluca Gazzoli fa quello che vuole. Non è spocchia o presunzione, è letterale: Gianluca Gazzoli, scelto anche come conduttore di Antefactor (preludio di X Factor dal dietro le quinte dello show) fa la vita che voleva fare, facendo ciò che avrebbe voluto fare, per cui ha lottato, sognato, per cui si è sacrificato. Ed è per questo che il suo podcast BSMT ha il successo che ha: perché la verità arriva, sempre. Il suo Basement è proprio un sottoscala. Zona Stazione Centrale, Milano. E dentro c'è il suo mondo, ci sono i suoi feticci, la sua collezione di Lego giganti, i magazine comprati negli Stati Uniti, le Nike, le Jordan, la foto con Antetokounmpo, i premi. Il podcast che ha creato è tra i più ascoltati in Italia e anche quello che da ogni intervista tira fuori la quantità più alta di notizie e rivelazioni. Segno che chi va da lui si apre, si confessa, si sente a proprio agio come da poche altre parti. Ci mettiamo a sedere davanti al tavolo dove conduce, da cui sono passati anche Valentino Rossi, Levante, Ben Affleck, Bob Sinclair.
"Credo all’armonia delle cose che ti accadono. Credo nella coerenza delle scelte, anche se folli. La legge d’attrazione è vera"
La prima puntata di quand'è?
«Un anno e mezzo fa. In realtà l’idea è nata nel momento della pandemia, volevo creare un posto dove incontrarsi, condividere pensieri, progetti e creare contenuti. Perché ok la radio, ok la tv che ti danno la visibilità su altri target, ma noi sempre di più siamo i media di noi stessi. E poi volevo un posto senza sovrastrutture. Viene un ospite che mi chiama a mezzanotte perché è a Milano e ha un’ora libera? Io scendo qua, accendo le telecamere e facciamo la puntata».
Adesso qui c'è un set up completo, camere, luci...
«L’idea è nata insieme ad Albi, il mio manager. Volevamo farci aiutare da dei designer ma nessuno capiva quello che avevamo in testa. Alla fine ho fatto io da solo, e non credevo di essere in grado di arredarlo, di decidere gli spazi. Poi ti accorgi che quando hai lo stimolo giusto ci riesci».
Chi c’è dietro? Vedo dipendenti, gente che lavora. Come tenete in piedi la baracca?
«Abbiamo fatto una scelta molto ponderata, rischiosa ma la migliore in assoluto: quella di investire nel BSMT tutto ciò che faccio in altri progetti e di rifiutare tutte le collaborazioni che avrebbero reso meno autentico il contenuto, sia per me sia per l’ospite che viene. Autenticità è la mia parola chiave, perché poi è ciò che la gente riconosce. Qui sono venute delle personalità così importanti che anche se le avessimo volute pagare non avremmo potuto».
Questa sincerità si sente.
«Fortunatamente sembra che tutto quello che ho fatto nella vita servisse a farmi arrivare qui a fare questo, perché è proprio il frutto di tutte le cose che ho imparato in tutti i settori e le relazioni che ho sostenuto. Dietro a questo progetto non ci sono editori, la gente viene qui per me o comunque per il valore del contenuto».
"Tutte le cose che avevo fatto prima erano servite per formarmi, anche le peggiori. Come potevo aver paura di parlare davanti a 25 mila persone? Era peggio quando ne avevo 4 davanti alla sagra, no?"
Ecco, come sei arrivato fin qui?
«Da piccolo dicevo che volevo fare Pippo Baudo, però dai 15 ai 20 anni mi sono perso: giocavo a basket, per me era la cosa più importante del mondo, durante un test a scuola svengo. Dopo un anno e dei test particolari, mi confermano che il mio cuore arrivava a smettere di battere e poi riprendeva, era un misto tra lo stress emotivo e quello fisico. Mi hanno messo un holter e per i primi anni ho avuto un rifiuto verso questa cosa perché ero un ragazzino, perché non puoi più giocare a basket, perché non puoi più fare agonismo. Soffrivo di attacchi di panico, avevo il terrore anche di correre per andare a prendere il treno. Dopo un po’ ho iniziato a ragionare, ma è stata lunga, e poi è arrivata un’altra sfiga, che come tutte le sfighe, spesso in realtà è una fortuna»
Ovvero?
«Non sono stato ammesso all’esame di quinta superiore, liceo informatico. Non ci stavo dentro, era tutta una roba di algoritmi e numeri, ed è stato lo stimolo per fare quello che avevo sempre desiderato: l’animatore nei villaggi. Parto e capisco che quella cosa mi piace tantissimo: stare sul palco, in mezzo alla gente, e quando torno inizio a lavorare in un’agenzia di viaggi che mi permette di viaggiare, di guadagnare dei soldi e riuscire a portare avanti tutto il resto, mandando le mie demo alle varie radio. Perché il mio sogno era tornato a essere quello di presentare, solo che il mio riferimento non era più Pippo Baudo ma il deejay di MTV. Nessuno mi cagava però».
E dov’eri quando nessuno ti cagava?
«A Cologno Monzese, ma nel 2011-2012 ho scoperto YouTube e ho pensato che dovessi fare in modo che si accorgessero di me. Così, siccome avevo un’esigenza di raccontare delle cose, ho iniziato a fare dei video che registravo durante i viaggi. E dopo un po’ una radio è arrivata».
"Sembra che tutto quello che ho fatto nella vita servisse a farmi arrivare qui a fare BSMT"
Quale?
«Era una web radio, mi impegnavo come se all’ascolto ci fossero un migliaio di persone, invece c’erano solo mia mamma e Sara, che avevo appena conosciuto e che adesso è mia moglie e la madre dei miei due figli. Questa roba vale tutt’ora: vivo tutto come se fosse l’occasione della vita».
Atteggiamento giusto.
«Infatti anche su YouTube comincia a formarsi un pubblico che mi segue e uno dei miei demo colpisce il direttore di Radio Number One, che però mi dice che non c’era posto. Nessun problema, ma chiedo: posso comunque venire in radio e assistere?».
Fantastico.
«Faccio due mesi lì a braccia conserte, senza alcuna promessa, a vedere quello che succedeva in una radio vera. All’inizio ho avuto anche un po’ di delusione, sembravano tutti degli impiegati. Poi però cominciano a farmi seguire gli eventi sul territorio, dalla sagra della salsiccia a dei festival un po’ più importanti. È stata tosta, perché io continuavo a fare anche gli altri lavori: smontavo di notte, riportavo il furgone e la mattina ero in agenzia. Finché la radio non mi ha dato un programma vero, alle 6 del mattino. Ho fatto due anni senza praticamente dormire: eventi di notte, radio, agenzia e poi la sera giravo i video e li montavo. A darmi la benzina era la gente che continuava a seguirmi. Il mio obiettivo era arrivare dove volevo arrivare e infatti faccio due scelte importanti».
Vai.
«Lascio l’agenzia il giorno in cui mi propongono il contratto a tempo indeterminato e dopo un po’ di tempo lascio anche Radio Number One perché era diventata una radio di flusso dove mettevi il disco, dicevi una notizia e poi un altro disco. Io invece volevo esprimermi. Per fortuna, grazie ai miei video, mi avevano chiamato da un programma di Rai 2, The Voice, a fare il reporter. Radio 2 mi nota e mi invita a fare delle ospitate nel programma a Roma, senza promessa e senza essere pagato, dormivo sui divani degli amici. La direttrice si prende bene e mi propone subito di fare un programma d’estate. Poi inizio a fare delle cose che vanno sempre meglio, tipo la diretta del Festival di Sanremo, l’anno di Carlo Conti e della De Filippi, e finalmente mi danno un programma tutto mio nel palinsesto. L’estate successiva si avvera il mio sogno: mi chiamano per fare Deejay tv».
Perché stai ridendo?
«Perché la prima mail che avevo mandato anni prima era stata proprio per loro, che avevano appena aperto il canale».
Bello questo.
«Quando lavoravo in agenzia ascoltavo sempre Deejay time e Deejay chiama Italia, erano i miei riferimenti. A questa roba qua io ci faccio sempre super caso. E non è un caso poi. Anche se nel primo colloquio Linus mi dice subito: scordati la radio».
Ahia.
«Però anche in questo caso decido di entrare dalla porta di servizio e di crescere col tempo. Solo che a sto giro succede tutto velocemente e dopo tre mesi ho già un mio programma radiofonico. Da lì poi i pianeti si sono allineati, e più andavo avanti più capivo che tutte le cose che avevo fatto prima erano servite per formarmi, anche le peggiori. Come potevo aver paura di parlare davanti a 25 mila persone da sopra un palco? Era peggio quando ne avevo 4 davanti alla sagra, no?»
"Vivo tutto come se fosse l’occasione della vita. Ispirazione, autenticità e umiltà: sono le mie parole d’ordine"
Tutto questo percorso in cosa ti ha portato a credere?
«Tutte le cose che mi frenavano quando avevo 15 anni e che mi hanno fatto esplodere il cuore, mi hanno permesso dopo di realizzare i miei sogni. La sensibilità che mi fotteva mi ha permesso di empatizzare con la gente che mi segue, di creare anche un certo tipo di contenuto, di fare delle chiacchierate con le persone in un certo modo. La determinazione, la foga mi hanno permesso di non mollare e di credere continuamente che ce l’avrei fatta. Quindi strada facendo ogni cosa negativa che mi è successa in realtà mi è servita incredibilmente per fare delle cose dopo. Credo quindi all’armonia delle cose che ti accadono. Credo nella coerenza delle scelte, per quanto possano essere folli. La legge d’attrazione secondo me è vera. Molte cose che mi sono successe io me le immaginate tantissimo».
E tutto quello che verrà dopo invece?
«So che qualsiasi cosa possa succedere sono pronto. Positiva o negativa che sia. Quando faccio una cosa che mi sembra difficile mi dico: ho fatto di peggio. Il BSMT insomma è la somma di tutto quello che mi è successo. Sono partito pensando alla regia dei mie video e adesso ho un regista, me li montavo da solo e adesso ho chi me li monta ed è bello saper parlare il loro linguaggio, avevo il sogno di intervistare personaggi interessanti e oggi ho un posto tutto mio dove faccio una cosa vista sui miei canali, dal mio pubblico, in cui viene Valentino Rossi. È una roba oggettivamente fuori di testa. Quand’è andato via lui dallo studio, mi sono detto: porca puttana, ma che cazzo è successo?».
Chi ha rifiutato il tuo invito?
«Oltre a Deejay io passavo le ore a guardare Le invasioni barbariche di Daria Bignardi: ecco lei mi ha detto di no, però in modo molto carino ed educato, perché non le piace farsi intervistare. E ancora non sono riuscito a intervistare Pif, altro mio riferimento e fonte di ispirazione».
E dentro Radio Deejay come vedi il tuo futuro?
«È un tema molto attuale. Per me la radio e BSMT sono tutte cose che possono convivere. Poi Deejay è una delle uniche radio che negli anni ha sempre saputo rinnovarsi trovando altre strade ma restando sempre sul pezzo. È l’NBA per me. Ma devi stare attento a come ti muovi sennò ti arriva una gomitata dai veterani, perché io mi sento sempre l’ultimo degli arrivati, anche se sono molto contento di essermi integrato bene e di giocare questa partita con i più grandi».
La tv è una tua aspirazione?
«Lo è stata per tanti anni, ho sempre avuto questo pallino. Ho visto puntare su tanti cavalli sbagliati lungo la strada, e tanta gente che mi diceva che ero un grande poi alla fine si è tirata indietro. Però in questo momento la tv generalista normale non è in linea con quello che faccio io. E poi, anche se fa sorridere, nel mondo della televisione io sono ancora un bambino nonostante abbia 35 anni».
Altri podcast che ascolti?
«Ne ho ascoltati tanti e tutti ora dicono di fare i podcast. Io ho iniziato proprio perché tanti non mi piacevano e sapevo che potevo farli meglio di altri. Adesso ascolto Cashmire e quelli di Paolo Trincia».
Facciamo un gioco: apriamo il tuo Instagram e vediamo chi sono le prime storie che ti suggerisce l’algoritmo.
«Vai.. Allora: Luis Sal, una ragazza con cui lavoro, Matteo Curti della radio e Marcello Sacchetta, un ragazzo con cui ho fatto un programma su Rai 2».
Mi aspettavo Michael Jordan.
«Calma, si vede che LeBron James non ha postato niente, se no è sempre il primo che mi appare. Sto imparando anche dalle chiacchierate che faccio con loro che gli sportivi restano un livello sopra a tutti. Sono la cosa più vicina alla divinità che abbiamo».
Dimmi 3 parole d'ordine, le tue.
«Ispirazione, autenticità e umiltà. Me le devo tatuare».
E in tutto il percorso che hai fatto non hai mai avuto dei momenti in cui ti sei messo in dubbio?
«Nel momento in cui facevo mille lavori e non dormivo mai sì. Una volta ero in macchina e sentendo Immortali di Jovanotti ho iniziato a piangere da solo. Continuavo a chiedermi: ma questa roba che sto facendo alla fine mi porterà davvero da qualche parte? Servirà davvero a qualcosa? Dormivo in macchina perché ero il primo ad aprire Radio Number One ed avevo il terrore di non arrivare, quindi mi svegliavo alle tre convinto di essere in ritardo e quando arrivavo mancavano ancora due ore. Allora aspettavo nel parcheggio. Uso sempre il paragone come del funambolo che cammina su un cavo in mezzo a due palazzi altissimi. Sono su questo filo e devo guardare sempre avanti, dove devo andare io. Perché se guardo sotto vedo tutte le possibilità che ho di fallire e cado per forza. Quella mattina, quando ho pianto, avevo guardato giù. Invece, guardando sempre dritto, alla fine ci arrivi».