«La nostra legislazione tributaria è piena di ossimori, se un imprenditore onesto decidesse di assoldare un esercito di commercialisti per pagare fino all’ultimo centesimo di imposte non ci riuscirebbe perché comunque qualche violazione verrebbe trovata, le norme si contraddicono». Sono parole di Carlo Nordio, Ministro della Giustizia del governo Meloni. È il proiettile in aria che spaventa i polli del fattore Stato. Che a spararlo sia il titolare di un dicastero la dice lunga sull’allarmismo dei più realisti del re e anche su certo giornalismo. Non è il primo dei colpi. La riforma di Nordio scalda gli animi di Repubblica, Il Manifesto e altre compagini del pensiero perbene, che questuano in un modo o nell’altro un po’ di consenso facile puntato sui temi forti e più fraintesi dalla società italiana, proprio come quello dell’evasione fiscale. Che Nordio provi “rancore”, come ha sostenuto Repubblica, verso i pm è un’arma a doppio taglio: Repubblica prova rancore verso gli evasori? E poi. Repubblica prova rancore verso Nordio? Per loro il ministro punta a un tipo di «giustizia “conciliativa”»: «Significa che lo Stato si mette d’accordo con chi non ha pagato le tasse». Non vedere il problema è un conto, ignorarlo è un altro. Perorare una causa sopra la totale indifferenza è persino peggio. Nordio non solo ha ragione, ma ha ragione in modo banale.
Che i cavilli, gli intrecci e le norme nascoste rendano impossibile evitare qualsiasi problema in sede giudiziaria a un qualunque imprenditore onesto è la conclusione logica di quanto detto da Nordio nello stesso intervento: «Più la Repubblica è corrotta, più sforna leggi e più leggi sforna più si corrompe, perché rende più complicate le procedure». Le leggi, invece che oliare un sistema, rischiano di azzopparlo. Una società civile si dovrebbe reggere sul più basso numero di regole possibile. Al contrario, ci siamo abituati all’idea che la giustizia dall’alto funzioni come la matematica e che la legge scritta sia una formula in più per poter far funzionare le cose. Ma immaginate la famosa equazione di Einstein “E = mc2”. Scrivetela su un foglio e iniziate a scrivere altri numeri e altri segni a caso intorno. Ora le cose sono più chiare? Ovviamente no. Il sistema delle leggi scritte, soprattutto in Italia, funziona un po’ così. Dei bambini che giocano con il pennarello sul foglio della norma giuridica. Per capirlo si potrebbe tornare a quanto scritto nel 1972 da Bruno Leoni nel suo La libertà e la legge (LiberiLibri 1994). L’uomo onesto non può che uscire sconfitto dalla trappola per topi della legislazione: «Ove prevalgono le maggioranze e le autorità, come nella legislazione, gli individui devono, a ragione o a torto, arrendersi».
Qual è la soluzione? Quella che Nordio sta tentando di portare avanti. Nel 2022, sempre per la casa editrice LiberiLibri, uscì un notevole libretto firmato dal ministro, intitolato Giustizia. Gli amici di Repubblica dovrebbero andare a rileggerselo. Nordio è un uomo di Stato che ammicca a chi contravviene alle leggi dello Stato? Chiaramente no. Piuttosto Nordio ha provato a spiegare un problema evidente del nostro sistema giudiziario dal quale si dovrebbe partire per tornare a un concetto di giustizia liberale, tipico dei sistemi basati sulla common law. Da questa prospettiva non è difficile capire perché Elly Schlein sia «preoccupata» dalle affermazioni di Nordio. Il liberalismo non è solo fuori moda, ma è un nemico per chiunque oggi voglia avere una carriera politica in Italia. A destra e a sinistra, infatti, sono le leggi scritte che fanno vincere le elezioni. Chi da un lato promette una legge green per le auto, per i limiti di velocità nei centri urbani, per la raccolta differenziata; e chi, dall’altro, garantirà il pugno di ferro con i migranti, contro i rave e contro i vandali. L’importante è legiferare, continuando a scarabocchiare con i poteri conferiti dallo Stato. Nordio ha ragione, la politica sta grattando via quel po’ di giustizia che poteva nascondersi in qualche norma scritta primitiva, semplice, senza svolazzi liberticidi tra gli “art.” e i “comma”. Che non se ne rendano conto dei giornalisti è un problema, che un politico finga di non rendersene conto è un sintomo di una malattia ancora più grave: l’autoritarismo.