Non è un Paese per giornalisti, l’Italia, e non ci sarebbe bisogno di scomodare, parafrasandolo, il già rimpianto Cormac McCarthy dal momento che lo sapevamo già. L’ulteriore giro di vite sulla pubblicabilità delle intercettazioni, contenuto nel pacchetto di riforme che oggi porta alla riunione di governo il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, va in una direzione che avrebbe messo il sorriso, il suo famoso sorriso a ventiquattro denti, l’altro defunto eccellente di questi giorni, Silvio Berlusconi: restringere ancora le maglie dell’informazione in questo ambito era infatti una sua battaglia storica, condotta in nome della privacy e in realtà coerente con la madre di tutte le battaglie di Forza Italia, la limitazione del terzo potere, il giudiziario, e anche del quarto, quello mediatico, reo di dar fondo alla propria lubrica sete di scandali (trasversale: si ricordino certe campagne stampa anche a destra). Nordio, ex magistrato che sul Mose non lesinò l’uso delle spiate investigative, da sempre è su questa linea. Forse addirittura troppo, per alcune componenti della maggioranza, visto che a gennaio scorso, all’indomani dell’arresto del boss mafioso Matteo Messina Denaro (intercettato a josa, com’è ovvio), si beccò una sostanziale reprimenda del suo stesso sottosegretario, il leghista Andrea Ostellari: “La qualità di una democrazia – disse il 22 di quel mese l’esponente del Carroccio - si misura anche dalla libertà della stampa di pubblicare notizie e opinioni scomode. Servono delle regole, perché non può esistere il diritto alla gogna. La soluzione tuttavia va individuata senza mettere il bavaglio ai tanti professionisti dell’informazione che contribuiscono a rendere la nostra società più informata e vigile”.
Se non vogliamo chiamarla bavaglio, l’ultima stretta, di sicuro però ci si avvicina. Attualmente la normativa in vigore, risalente al 2017, premier Paolo Gentiloni (Pd) e ministro guardasigilli Andrea Orlando (Pd), è già decentemente restrittiva. Le Procure sono obbligate, a monte, a una selezione rigorosa, che impone di escludere tutte le intercettazioni non rilevanti per l’inchiesta, che vengono secretate in un archivio inaccessibile. Nelle richieste di custodia cautelare per gli indagati e nei successivi atti del processo sono ammesse soltanto quelle necessarie a dimostrare la tesi della pubblica accusa e a sostenere l’iter processuale. A valle, intervengono il Garante della Privacy e la deontologia dei giornalisti, i quali, con tutto il male che si possa dire sulla categoria, bisogna prendere atto che negli ultimi anni non hanno commesso abusi degni di nota (a meno di voler considerare tale, ad esempio, il caso dei commenti del presidente del Veneto, Luca Zaia, su Andrea Crisanti, resi pubblici a gennaio da Report dalle carte dell’inchiesta sui tamponi rapidi in Regione: era o no diritto all’informazione sapere cosa diceva al telefono l’amministratore Zaia, non indagato, ad altri non indagati, a proposito del suo ex consulente?). A Nordio, tuttavia, non basta. E quindi, via a un’altra girata di chiave.
Le nuove misure hanno lo scopo di “rafforzare la tutela del terzo estraneo al procedimento rispetto alla circolazione delle comunicazioni intercettate”. Tale soggetto terzo non è ben specificato: secondo logica, potrebbe essere chiunque non sia considerato sotto indagine. Perciò, posto che la conversazione sia giudicata di rilievo (in caso contrario, già oggi viene messa sotto chiave), si dovrebbero poter leggere solo le parti del botta e risposta in capo all’indagato di turno, lasciando vuote quelle dell’interlocutore “estraneo”, rendendo il tutto incomprensibile. La novità, nel concreto, sta nel permesso di pubblicare solo i contenuti intercettati letteralmente inseriti “nella motivazione di un provvedimento” del giudice, o utilizzati “nel corso del dibattimento”, cioè del processo. Traduzione: mentre adesso non si possono pubblicare i nastri non acquisiti al procedimento, se passa il pacchetto Nordio non sarà più possibile per nessun dialogo, eccezion fatta per quelli che emergeranno esplicitamente dai faldoni ufficiali. Quindi nemmeno più quelle che si trovano nelle ordinanze di custodia cautelare, e in generale non più quelle depositate (e quindi non più segrete) ma non citate, motivando o dibattendo, dal magistrato. I brogliacci che “riguardano soggetti diversi dalle parti“ non potranno più arrivare all’udienza stralcio, “sempre che non ne sia dimostrata la rilevanza”.
E ancora: “Non può essere rilasciata copia delle intercettazioni di cui è vietata la pubblicazione quando la richiesta è presentata da un soggetto diverso dalle parti o dai loro difensori”. Se il famoso “terzo” volesse sapere se per caso compare nei nastri, spiacente, ma non gli sarà consentito farlo. Né a lui, né alle difese delle parti coinvolte (il che fa pensare che il ministro ritenga, con realismo, che le cosiddette “fughe di notizie” siano ascrivibili anche agli avvocati). Infine, il giudice avrà il “dovere” di “stralciare” non solo i già previsti “dati sensibili” di queste ultime, ma anche dei “soggetti diversi”, le succitate parti estranee. Dulcis in fundo, sarà vietato pubblicare l’avviso di garanzia inviato agli indagati, lasciando ai giornalisti la possibilità di una “descrizione sommaria del fatto”, oggi non prevista. In sintesi, rispetto a quanto accade oggi, da una parte si vuole responsabilizzare di più le toghe, agendo cioè, come si diceva sopra, a monte; dall’altra, a cascata, si produce un effetto a valle perché si circoscrive ancor di più il raggio d’azione del giornali riguardo tutte quelle persone che, seppur non investite direttamente dall’inchiesta giudiziaria, nel caso siano personalità pubbliche potrebbero comunque fare affermazioni di interesse, appunto, pubblico. Se l’intento è in linea di principio impossibile da non condividere, ovvero non dare in pasto al voyeurismo dei media le chiacchiere private di privati cittadini non toccati da un’indagine, de facto il rischio è proteggere eventuali personaggi di pubblica importanza beccati, magari, anche solo a dire frasi sconvenienti, su cui potrebbe – e dovrebbe – formarsi il giudizio della pubblica opinione. Un giudizio che non è penale, ma morale e politico. Ma è un rischio calcolato, calcolatissimo, da parte di Nordio. A pensar male, diceva uno che di furbizie se ne intendeva, ci si azzecca.