«La sinistra dice che gettiamo la spugna. Mai. Ma la lotta all’evasione si fa sulle big company, sulle banche. Non sul piccolo commerciante a cui chiedi il pizzo di Stato». Queste sono le parole di Giorgia Meloni durante il Festival dell’economia di Trento. Tra i vari commenti: «attacco alla legalità», «si favoriscono gli evasori», «una frase da analfabeti funzionali». Reazioni tanto prevedibili quanto sbagliate. La prima perché, chiaramente, la destra al governo non è una destra che favorisce l’illegalità, avendo mostrato, semmai, in più di un’occasione smanie securitarie e proibizioniste. Al massimo, favorisce l’illegalità costringendo la gente ad agire liberamente ma fuori dai recinti della legge positiva. La seconda perché chiaramente Giorgia Meloni non intende favorire tutti gli evasori, né probabilmente voleva lasciare intendere che l’evasione fosse una cosa buona. Nonostante qualche timida azione a favore del taglio del cuneo fiscale, questo governo, come i precedenti, non brilla per aver reagito in modo anticonvenzionale all’enorme pressione fiscale che grava sugli italiani. La terza, infine, perché sostenere che le tasse siano “un pizzo di Stato” non è da analfabeti funzionali.
Chiunque sostenga logiche da mandria, a destra o a sinistra, colto o incolto che sia, cade inevitabilmente nell’errore di considerare la sua opinione su questioni morali come logiche e totalmente razionali, nonostante spesso non lo siano. È il caso di chi a sinistra vorrebbe più tasse e di chi, non si capisce bene da dove, non esige più tasse ma da anni combatte contro le micro e medie imprese, considerate una zavorra per la crescita del Paese. Ne ha scritto Michele Boldrin sul suo Twitter, prima di aver contato fino a dieci. Le piccole e medie imprese sono «la palla al piede, politicamente protetta, che impedisce al Paese di crescere». Le cose non stanno proprio così. A impedire davvero al Paese di crescere sono, semmai, le tasse alte. Come spiega Lipton Matthews, «il coinvolgimento politico rallenta lo sviluppo perché di solito manca al governo l'esperienza per capitalizzare le scoperte». In altre parole, lo Stato vorrebbe fare calcoli difficili senza calcolatrice, tanto i soldi sono sempre degli altri.
Il problema della Meloni, semmai, è stato di non aver allargato il discorso a tutta la tassazione, non solo a quelle imposte che riguardano i piccoli imprenditori. Ogni tassa è un furto. L’argomento è morale e di buon senso. Chiunque di noi definisce estorsore e ladro il vicino di casa che ti minaccia per costringerti a dare una quota per cambiare le lampadine di casa. Non è chiaro perché lo Stato non dovrebbe rispettare gli standard morali che noi applichiamo a qualunque individuo. L’onere della prova spetta a chi vuole spiegare perché se le azioni immorali le compie lo Stato allora diventano miracolosamente giuste. Ne hanno parlato in molti ed è quasi inutile dover ripercorrere qui tutti gli argomenti iscalfibili dai più teorici, come quelli di Murray Rothbard, a quelli più tecnici, come nel caso dell’analisi raccolta da Pascal Salin nel suo La tirrania fiscale (Liberilibri, 1996). Chi accetta il sistema fiscale, per esempio, dovrebbe accettare volente o nolente che si tratterà sempre di un «prelievo tramite la forza, anche se il ricorso alla forza può essere più o meno voluto, accettato o subìto dai cittadini o, almeno, da qualcuno di essi». Cosa fa lo Stato se non chiedere il pizzo?
L’evasione fiscale è un concetto ambiguo e frutto dell’immaginazione di pochi (i politici) a sfavore di molti (i contribuenti). Non è come parlare di “ladri” per esempio. Un ladro è colui che si appropria di qualcosa che non è suo contro la volontà del legittimo proprietario. La violazione del diritto di proprietà è un furto, chi ruba è un ladro. Se un uomo entra in casa mia e ruba il computer su cui sto scrivendo, avrà rubato qualcosa di mio. Se il vicino di casa viene e mi estorce dei soldi per le lampadine della cantina, avrà rubato qualcosa di mio. Se lo Stato, tramite minaccia, mi impone di pagare contro la mia volontà, non entra in casa mia (all'inizio), non cambierà le lampadine della cantina, ma ugualmente avrà rubato. Al contrario l’evasione fiscale è un’espressione astratta senza nessuna concretezza. L’evasore, nell’ottica della politica e di una certa cultura liberticida diffusa tanto a destra quanto a sinistra (potremmo chiamarla socialismo), sarebbe colui che si è rifiutato di dare al ladro tutto ciò che ha preteso. Difendersi da un furto può essere un reato? Sul piano pratico, l’evasore non fa altra che tenersi i soldi che ha guadagnato. Si rifiuta, cioè, di pagare il pizzo, come il barista che si rifiuta di pagare una quota periodica alla mafia. Il barista diventa il criminale?
L’obiezione più comune è: non tutte le tasse sono sbagliate, molte di esse servono a pagare dei servizi necessari che altrimenti non potremmo sostenere economicamente. Uno su tutti, ovviamente, la sanità. Tuttavia ci sono almeno due risposte da considerare. I cosiddetti beni di prima necessità non sono tutti in mano allo Stato. Basti pensare al cibo. In realtà la stessa definizione di servizi necessari è insoddisfacente e non spiega nulla. L’Economist ha stimato 68mila morti in Europa dovuti alla mancata possibilità di riscaldare le proprie abitazioni. Il riscaldamento, dunque, diventa necessario. Anche i vestiti, va da sé. Lavorate da remoto dalla Puglia. Probabilmente la wifi sarà più necessaria di un buon impianto di riscaldamento. Il problema di pensare che tutti i servizi abbiamo la stessa utilità e lo stesso valore per tutti è un errore che tutti noi commettiamo spesso, ma che lo Stato commette sempre.
La seconda risposta, invece, è una semplice constatazione. Senza dover scomodare le recenti tragedie per via delle alluvioni, possiamo continuare a considerare il sistema sanitario pubblico. Pur ammettendo che il servizio funzioni, il merito non può essere dato tutto alle tasse. C’è un elemento molto più importante che gioca a favore della presunta efficienza del sistema sanitario nazionale: lo sfruttamento. Le sole tasse, infatti, non bastano (nonostante se ne paghino tantissime) a far funzionare la baracca. Sono i burattini che, invece di lavorare secondo contratto, lavorano il doppio, se non il triplo, senza essere pagati, senza potersi permettere le vacanze, con un carico di lavoro doppio, per via di un organico monco. Non lo dicono i cattivi liberisti, ma gli specializzandi stessi, i burattini della nostra storia. Secondo l’associazione Chi si prende cura di te? gli specializzandi lavorano in media da un minimo di 45 a un massimo di 60 ore a settimana, ben oltre il limite delle 48 ore stabilito dalla Normativa Europea. Non solo, spesso non esistono giorni di riposo e solo la metà dei medici riesce a sfruttare i 30 giorni di ferie previsti dal contratto.
Qualche titolo di giornali di sinistra: “Poche borse di studio, stipendi bassi e sfruttamento. Così l’Italia fa scappare i giovani medici” (Open, 3 aprile 2019), “La sanità italiana si regge sui medici specializzandi: giovani e sfruttati, ora molti stanno abbandonando” (L’Espresso, 23 maggio 2022), “Specializzandi, 38 ore pagate. Il resto è sfruttamento” (Collettiva, 16 maggio 2022). Al netto delle soluzioni proposte (spesso tribali, corporativiste, da sindacalisti fantozziani), il problema è innegabile. Il sistema sanitario, se funziona, funziona non per come vengono investite le tasse o per come lo Stato organizza legalmente il servizio, ma per una incrollabile etica del lavoro legata a una sorta di sottomissione silente dei professionisti del settore che sul lungo periodo produrrà più danni che altro. In altre parole, nel bene e nel male sono gli individui a tenere in vita un sistema altrimenti mal gestito. Il motivo è semplice: lo Stato non può gestire una cosa tanto complessa distribuendo risorse in base a considerazioni dall’alto. Finirà sempre per fare i calcoli senza calcolatrice.
Chiunque difenda il sistema di estorsione fiscale condannando l’evasore, non farà altro che stare dalla parte di chi non sa fare i calcoli ma pretende, contando con le dita, di sapere cosa sia meglio per milioni di persone. Il tutto, ovviamente, usando la forza. A un festival dell’economia come quello di Trento ci saremmo aspettati parole del genere. E avremmo potuto sperare che la Meloni non si limitasse a parlare di pizzo di Stato per l’imposizione fiscale nei confronti dei piccoli imprenditori. Ma la Meloni è troppo scaltra per cadere nel classico tranello del “mordere la mano che ti nutre”. Chiunque l’abbia criticata immaginando la premier come un’eversiva capitalista non solo si è sbagliato, ma non si accorgere di essere nella stessa squadra di chiunque sia stato o sia attualmente al governo. Quella che in un modo o nell’altro legittima un meccanismo basato sull’estorsione. In altre parole, un furto.