Ilaria ha 23 anni e non vuole pagare 700 euro al mese di affitto per una stanza a Milano. Non avrebbe voluto, ma la necessità ha avuto la meglio. Per protesta, Ilaria ha scelto di accamparsi in tenda fuori dal Politecnico, dove studia Ingegneria Ambientale, per denunciare il caro affitti e la situazione abitativa del capoluogo meneghino.
Purtroppo per lei quest’azione dimostrativa non fa che provare il contrario di quanto sperasse: o il tugurio o niente. Proprio così. I critici dell’aumento dei prezzi degli affitti, anche per case o stanze considerate incommentabili, non solo non comprendono il problema, ma finiscono per caldeggiare una soluzione dall’alto che inevitabilmente danneggerà proprio i più poveri e, in generale, tutti.
Una situazione simile si è presentata tempo fa con la volontà a sinistra e da parte di Daniela Santanché (in una comunità di intenti del tutto prevedibile) di porre un freno ai cosiddetti affitti brevi, come Airbnb, e alla speculazione sui prezzi.
In fondo siamo sempre pronti a indignarci per gli affitti esorbitanti o per le case fatiscenti messe a prezzi che ci sembrano incredibili. Criticare è il mestiere più facile del mondo, dopo quelllo dei politici con i soldi degli altri, si intende.
Voler bloccare l’aumento degli affitti in modo arbitrario, così come vietare la messa sul mercato di case fatiscenti, non farà altro che costringere le tante Ilarie a montare una tenda, ma non per protesta – come in questo caso – bensì per necessità.
Infatti, un affittuario potrebbe scegliere di non mettere più a disposizione la propria casa, non trovando conveniente mantenerla in cambio di un pagamento mensile per lui insoddisfacente. Lo Stato, di certo, non inizierà a costruire case in giro per Milano e per l’Italia. A quel punto dove andrà a vivere Ilaria?
Tuttavia, non solo lo Stato non inizierebbe a costruire case, ma a questo punto neanche i privati troverebbero più attraente l’idea di buttarsi nel mondo degli affitti. Alcuni studi fatti in America (per esempio sui casi di St. Paul e San Francisco) hanno dimostrato che il controllo degli affitti non fa che disincentivare gli investimenti, portando inevitabilmente a una carenza abitativa.
Già alla fine degli anni Settanta, in un libro che diventò un classico del pensiero libertario, Difendere l’indifendibile (pubblicato in Italia da Liberilibri), Walter Block era arrivato a simili conclusioni: “È la proibizione degli affitti alti, attraverso il blocco dei fitti e simili leggi, a causare il deterioramento degli alloggi. È la proibizione degli alloggi di bassa qualità, attraverso norme sugli alloggi e cose del genere, a causare l’abbandono di questo settore da parte di molti padroni di casa”.
C’è chi dirà, piuttosto, che lo Stato sceglierà semplicemente fino a che punto sarà possibile aumentare i prezzi, così da impedire lo sciacallaggio di molti avidi padroni di casa. Ma come verrà scelto questo limite? Lo Stato può decidere il prezzo di un affitto? Ovviamente no!
Il prezzo, infatti, non può essere deciso a tavolino in base a dei calcoli. Il prezzo dipende dal valore soggettivo che gli individui danno a un certo bene. Il prezzo, quindi, può essere scelto esclusivamente da chi partecipa al gioco del mercato e non da un’autorità superiore.
Insomma, o i tuguri (e i prezzi alti) o le tende davanti al Politecnico. Con buona pace per chi vorrebbe scendesse dal cielo una legislazione stringente e castrante contro l’avidità, l’unico modo reale per migliorare la situazione abitativa di Milano (ma vale in generale) è di ridurre l’impatto dello Stato sul mercato degli affitti e non aumentarlo.
Ilaria e il resto della tribù, invece di continuare con i segnali di fumo, possono tornare nelle loro case o scegliere di accamparsi sotto al comune, nella speranza che la politica tolga le mani da dinamiche che non può e non saprebbe regolare.
Credere che il problema degli affitti si risolva semplicemente decidendo di tenere artificialmente bassi i prezzi, non è diverso da credere che dare una martellata alla gamba la farà tornare a posto. Al contrario, finirete zoppi a vita.