Un cognome, un destino. Vestito di rosso, al fianco di Charles Leclerc per tutta la durata delle lunghissime stagioni di Formula 1, Andrea Ferrari è uno degli uomini del Cavallino più importanti per la preparazione fisica e mentale del pilota monegasco.
Racconta il suo lavoro, quello di un preparatore atletico di altissimo livello, con la semplicità di chi è abituato a trasformare concetti complessi in processi da svolgere, ripetere, migliorare. Dall’alimentazione al jet lag “una delle difficoltà più grandi che abbiamo in Formula 1”, passando per le differenze con il passato di questo sport, soprattutto in ambito cognitivo, e la preparazione dei giovanissimi piloti che si approcciano al mondo del motorsport.
Un viaggio, quello di questa intervista ad Andrea Ferrari in esclusiva su MOW, per sfatare il mito dei piloti che ancora secondo molti non sarebbero "veri atleti” ma anche un racconto in prima persona che scava nelle molteplici complessità di un panorama, quello della Formula 1, la cui asticella continua ad alzarsi, anche fisicamente. Dove niente è uguale al passato.
Andrea, partiamo dal principio. Come sei arrivato ad essere un preparatore atletico in Formula 1?
Il mio percorso è iniziato frequentando l'ISEF a Firenze, poi sono passato a Scienze Motorie sempre a Firenze, e infine ho frequentato un master in posturologia a Pisa. Il primo approccio al mondo del motorsport è arrivato perché a Viareggio, la mia città, c'era un centro di preparazione atletica per piloti di automobilismo. Così, mentre ancora frequentavo l'Università, ho iniziato a lavorare lì. E poi dopo alcune esperienze in questo ambito, mi ha chiamato la Ferrari per seguire i ragazzi dell'Academy.
Ricordi qual è stato il primo pilota che hai seguito in pista?
Secondo me, ma non mi vorrei sbagliare, il primo che ho seguito è stato Matteo Bobbi quando correva nel Formula Renault. Una vita fa.
Visto che hai parlato di Academy, partiamo proprio da lì: qual è la differenza tra seguire la preparazione atletica di un pilota bambino rispetto a quella di un adulto?
Quando si ha a che fare con i bambini, in qualunque sport, bisognerebbe lavorare a 360 gradi su tutte la capacità condizionali e coordinative del bimbo: forza, resistenza, equilibrio e via dicendo. Tutto è necessario per cercare di dare al giovane atleta più schemi motori possibili. Più cresce e più ti specializzi, ma questo non va assolutamente fatto quando il bambino è troppo piccolo perché specializzarsi su un singolo punto quando si sta ancora sviluppando fisicamente non giova a lungo andare. Un problema che io ho riscontrato negli anni lavorando con i bambini nel mondo del motorsport è proprio quello di quando vengono messi sui kart troppo piccoli, tipo a quattro anni, e non fanno nessun altra compensazione sportiva.
Perché? Quali problemi comporta?
Perché da una parte prendono un feeling con la velocità molto presto e quindi sviluppano ottime capacità di guida fin da piccolissimi, dall’altra però fisicamente mancano tutti gli altri schemi motori, e questo è dovuto al fatto che non fanno nessun altro tipo di sport. Quindi ti ritrovi a seguire questi “pinocchietti” che non riescono a muoversi, che sono rigidissimi. E tu, da preparatore, devi resettare tutto il lavoro che è stato fatto e lavorare su tutti gli schemi motori, cercando di fargli apprendere il più possibile, e poi da lì andando avanti si va a focalizzare e settorializzare il lavoro in base alle esigenze e alle categorie.
Che cosa serve fisicamente oggi, a un pilota della Formula 1, di più rispetto al passato?
La scienza va avanti e l’allenamento cambia tantissimo e molto velocemente quindi i piloti sono, di base, più preparati ora rispetto a prima. Ma questo vale per tutti gli sport. Ora è richiesto un lavoro cognitivo maggiore: in passato il lavoro del pilota era tutto quasi esclusivamente legato alla guida, mentre oggi le operazioni da fare in macchina mentre si è al volante sono notevoli: a livello di manettini, di concentrazione, di input, di informazioni da comunicare e da ricevere. Quindi quello del pilota è diventato un lavoro non solo prettamente fisico ma comprende una grande sfera cognitiva che sicuramente oggi è più importante rispetto al passato, questa per me è la differenza maggiore.
E c'è invece, al contrario, qualcosa che in passato contava più di oggi?
Potrei dire di sì, ma visto che i piloti del passato erano in generale meno allenati di quelli di oggi è difficile rispondere a questa domanda. Ad esempio mi viene in mente la parte superiore a livello di braccia, che sicuramente quando non c'erano i servosterzi richiedeva un lavoro molto più duro rispetto ad oggi, ma i piloti attuali sono così preparati che potrebbero senza problemi abituarsi anche a quel tipo di vetture, infatti se mettiamo un atleta della griglia attuale di Formula 1 alla guida di una monoposto di anni fa può farcela senza problemi, mentre il contrario è molto più complesso.
Sempre più spesso vediamo online video di piloti che allenano il collo molto duramente: come spiegheresti a un profano questo tipo di allenamento? E perché è così importante?
Quando un pilota è alla guida tutto il corpo risente della forza G, sia frontale che laterale. Queste forze gravitazionali che impattano sul corpo si sentono in maniera maggiore su testa e collo perché non sono fissate da cinture di sicurezza e quindi sono più libere rispetto al resto del corpo del pilota. Gli esercizi al collo che vengono fatti, e che sono una particolarità del mondo della Formula 1, sono pensati proprio per riprodurre queste forze e abituare il pilota. C’è una cosa però da sfatare: che io lo faccia questi esercizi con simulatori, con pesi, con elastici o con caschi piombati… non c’è nessuna di queste cose che riesce a riprodurre le G laterali che ci sono in macchina.
E allora perché sono fondamentali per la preparazione del pilota?
Questi esercizi vengono fatti per migliorare la muscolatura del collo. Servono, ma servono per accorciare i tempi di recupero tra una sessione e l’altra, per preparare il pilota al meglio. Però non ci sarà mai un pilota che sceso dalla macchina dopo i test, quando è da un po’ che non scende in pista, ad esempio dopo la pausa invernale, che non avrà il collo stanco. Questi allenamenti ti aiutano a recuperare prima, ma non sentirai mai un pilota dirti dopo i test: "Ok il collo sta bene". Perché l’unico allenamento che davvero funziona con la forza G è quello in auto.
Come si affronta il recupero dopo un grande incidente in pista?
Dopo un brutto incidente il pilota viene di regola portato al centro medico per accertamenti. Quello è il primo step per decretare le condizioni: se i medici non danno l’ok tu non torni in macchina, se danno l’ok vuol dire che non ci sono stati danni. Qualche postumo però in generale, anche se i medici danno il via libera, il pilota se lo porta dietro: indolenzimenti, dolore localizzato... E quindi quello che viene fatto è un lavoro per velocizzare il recupero e ritrovare l'equilibrio, ovviamente dipende dal tipo di incidente e dal tipo di problematica che si riscontra quindi cambia da caso a caso. Però quello che è evidente è che un atleta ben allenato recupererà in generale prima degli altri, perché è fisicamente più pronto a riprendersi da traumi fisici.
Esistono delle caratteristiche, intrinseche nella fisicità personale di un pilota rispetto ad un altro, che non si possono allenare e che possono rappresentare un problema? Come ad esempio l'altezza?
Il pilota è un po’ come il fantino. Il peso gioca un ruolo importante, quindi ovviamente una percentuale più alta di massa grassa può rappresentare un problema, su quella si può lavorare però spesso è legata anche all'altezza del pilota, che invece è purtroppo un parametro su cui non si può intervenire. In passato quello dell'altezza era un problema più complesso, oggi sempre di più in Formula 1 ci sono piloti alti, questo perché se la macchina viene cucita addosso all'atleta, ossia se hanno già preso le misure e hanno pensato la vettura in riferimento all'altezza, si tratta di un "problema" risolvibile. Quando sono seduti dentro la macchina, con il casco in testa, i piloti devono comunque rientrare in alcune misure dettate dalla Federazione, quindi questo è un limite volendo se si ha a che fare con un ragazzo fuori dallo "standard" come misure.
Visto che hai parlato di peso, arriviamo al tema alimentazione: come deve mangiare oggi un pilota?
Chiaramente una corretta alimentazione è un lavoro che si fa su tutto l’anno, non è che in tre giorni - durante il weekend di gara - si possa fare chissà che cosa. Una prima problematica in questo caso è data dal fatto che bisogna mantenere il peso lineare per tutto l’anno, e questo è difficile perché proprio fisiologicamente ci sono periodi in cui una persona è portata a ingrassare o dimagrire di più. Ci sono delle fasi naturali che però in questo caso vanno livellate cercando, attraverso un regime alimentare, di mantenere lo stesso peso nel corso di tutti i dodici mesi. Anche nelle pause dalla Formula 1, quella di agosto che è breve ma anche quella di dicembre, che è più lunga.
E nei weekend di gara come cambia?
Le problematiche ci sono anche nel weekend di gara, in cui ci sono solo due o tre ore tra una sessione e l’altra e viene richiesto che i piloti abbiano lo stesso peso, in particolare questo succede tra la terza sessione di prove libere e la qualifica. Bisogna considerare che in quelle due o tre ore il pilota deve mangiare, digerire e avere lo stesso peso, quindi è essenzialmente una questione di timing, e di capire nello specifico come avere abbastanza energie da una parte e come non essere nel mezzo della digestione dall’altra. La coperta è molto corta in questi casi. Ovviamente è tutto legato a quello che uno si porta dietro dai mesi precedenti e da come il fisico si è abituato a un certo tipo di ritmo, non è mai qualcosa che si costruisce in pochi giorni.
Anche l'idratazione è un tema molto importante, come si gestisce in gara?
In alcuni circuiti, come Singapore, o in alcune fasi dell'anno, come quest'anno in Spagna o a Monaco dove faceva veramente veramente caldo, il tema dell'idratazione dei piloti diventa un problema. Loro indossano materiale ignifugo che non permette la traspirazione e inoltre, in gara, non possono reidratarsi più di tanto: l'acqua è dietro ai motori e quindi diventa calda, e poi c'è il problema che con le G laterali bevendo si crea aria nello stomaco e quindi poi fa male lo stomaco, quindi in sostanza non bevono praticamente nulla. Però perdendo sudore si perdono minerali come il calcio e si perde performance psicofisica, e in gara si perdono tranquillamente circa 2 chili, quindi è normale vedere i piloti spossati alla fine di alcuni Gran Premi molto duri fisicamente, perché sono completamente disidratati. Purtroppo in gara non ci puoi fare molto, recuperi nel corso della giornata misurando l'idratazione e dando l'apporto corretto per la ripresa.
Sempre più spesso si sente parlare di atleti ad altissimi livelli che seguono diete vegetariane o vegane, questo può rappresentare un problema in termini di prestazioni fisiche?
No, non cambia niente. Se l’alimentazione è equilibrata, se la distribuzione dei macronutrienti è corretta, allora non cambia niente. Ci sono tantissimi sportivi vegani o vegetariani e non cambia davvero nulla a livello chimico. L’importante è che tutto sia equilibrato quindi chi se ne occupa deve tenere ben presente questa cosa ma è principalmente un problema di distribuzione dei macro e di gestione della digestione, il resto è tutto uguale.
So che uno dei vostri principali problemi è rappresentato dal jet lag, come gestite i cambi di fuso orario e l'assenza di sonno durante la stagione?
È una delle difficoltà più grandi che ritrovo nel mio lavoro, ma parlo anche proprio a livello personale. Perché specialmente in alcuni periodi del calendario, o all’inizio o alla fine, i cambi di fuso orario a cui tutto il circus è sottoposto sono davvero forti. L’assenza di sonno ha un impatto forte su quella che poi è la performance dell'atleta: le ore di sonno che mancano si risentono sia a livello cognitivo che a livello fisico, è normale. Con i fusi orari la parte di recupero, che è fondamentale, è molto stressata. A questo si aggiunge il fatto che i piloti non si possono aiutare praticamente con nessun tipo di medicinale, perché sono soggetti a controlli molto serrati sull'antidoping. Però abbiamo delle metodiche precise per aiutarli: vengono studiate le ore di volo per capire quando dormire in aereo, in base agli orari e al fuso di arrivo, quando mangiare, come mangiare - perché ci sono cibi che aiutano - quando smettere di utilizzare il cellulare perché le luci intervengono sul sonno e così via. Anche la temperatura della camera in cui si dorme è importante, così come il materasso. Insomma, ci sono varie tecniche, però quello del jet lag rimane un grosso problema, considerando soprattutto i grandi spostamenti di questi ultimi anni.
E la meditazione? Aiuta i piloti in questo senso?
Non solo nel sonno ma in generale. Meditazione ma anche esercizi di visualizzazione: basti pensare all'esercizio più famoso del mondo, quello di contare le pecorelle. Sono tecniche di distrazione che possono essere usate anche per i momenti di ansia. Lo usi come esercizio per togliere l’attenzione da ciò che crea ansia e spostarlo su altro. È qualcosa di molto personale, se al pilota piace e ne trae beneficio allora ben venga.
Nell'ultimo periodo si è parlato moltissimo della mancanza di donne in Formula 1: secondo alcuni si parte anche da uno svantaggio fisico delle donne rispetto agli uomini, mentre per altri la fisicità non c'entra. Tu da che parte stai?
Io non farei una distinzione uomo-donna, sinceramente. Dipende tutto in generale dal tipo di persona che tu hai davanti. Noi abbiamo un contenitore di energia, che possiamo spendere fisicamente o mentalmente, ma comunque la spendiamo. Ci saranno persone più mentali e persone più fisiche, come inclinazione personale, e in base a questa differenza ci sarà da lavorare più da una parte o dall’altra. Questo vale sia per uomini e per donne, e per qualsiasi tipo di atleta. Quindi quando hai a che fare con una persona che deve raggiungere un determinato risultato sai che devi capire quali sono le lacune su cui lavorare, e a quel punto puoi cucire addosso all’atleta il miglior tipo di allenamento. Sicuramente le ragazze potrebbero riscontrare difficoltà fisiche inizialmente su una monoposto, ma questo ad esempio capita in generale anche a quasi tutti i ragazzi quando passano da una categoria ad un’altra e devono adattarsi a un nuovo tipo di vettura, quindi non ne farei tanto una distinzione uomo-donna ma una distinzione di tipo di allenamento e focalizzazione su un determinato obiettivo.