Grow my hair / Grow my hair I’m Jim Morrison / Grow my hair / I wannabe wannabe Jim Morrison
Conoscete questo vecchissimo pezzo dei Radiohead? La strofa in bocca a Thom Yorke assume tutto un significato pazzesco. Jim Morrison, il re della figaggine, Thom Yorke, il re degli sfigati. Voglio essere lui! Voglio essere come lui! Uno stupendo e l’altro brutto. Prima c’erano i brutti. Venivano emarginati, presi in giro, riuscivano a socializzare solo con altri brutti e avevano una serie di problemi. Oggi i brutti non è che non ci siano, si sono mimetizzati. Perché la nostra vita è ibrida tra reale e digitale. Il ritorno in voga di FaceApp ci dice questo.
La frase "mi pareva più carino/a su Instagram" l’avete mai sentita al tavolo di un aperitivo? È il nuovo “te l’avevo detto”. I social ci hanno insegnato a metterci in posa, a costruirci come vorremmo essere più che come siamo.
L’anno scorso FaceApp era scoppiata nei cellulari di tutti per invecchiarsi o ringiovanirsi. Tutti si scoprivano geneticamente identici al padre o alla madre o tornavano lisci e levigati come in quinta liceo. Un giochino carino ma che non poteva avere lunga durata. Infatti la app è andata nel dimenticatoio come un qualsiasi tormentone estivo.
Quest’anno FaceApp torna e ci fa essere uomo o donna e questo ha mandato fuori di testa la gente. Il genere sessuale è ormai un concetto liquido, ibrido. Se parlate con qualche femminista scoprirete che ne esistono decine e noi stessi, femminizzandoci o mascolinizzandoci, scopriamo quanto siamo ormai ibridi. Gliela daresti una botta al tuo amico maschio in versione femmina, no? Eddai. Una.
Ma non filosofeggiamo troppo. I soliti tech informati (i nuovi stregoni), ci dicono che la nostra privacy è in pericolo. Probabilissimo. Una volta caricate sulla app le nostre foto, mettiamo in mano i nostri dati biometrici a chissà chi e diamo l’autorizzazione a chissà cosa. Non capiremmo a cosa nemmeno se ce lo spiegasse un’avvocato, quindi stiamo tranquilli. Siamo già soppesati, analizzati, spiati, indagati da decine di social e di contratti che sottoscriviamo e di cui non sappiamo niente. Però nessuno scarica Immuni, perché la privacy è importante e il governo ti spia. I giganti della Silicon Valley lavorano giorno e notte per leggere le nostre emozioni con dati biometrici e poi venderci prodotti ad hoc. Pure se stai zitto ti sgamano, basta che hai le occhiaie e ti consiglieranno un letto per riposare meglio, se invece sei felicie e ridi ti convinceranno a comprarti una macchina nuova. Jeeeez.
La parte ludica di questa app è associata all’immaginario mitologico, ovvero: cantanti, attori, star. Prendi la faccia del tuo amico e la metti al posto di Ryan Gosling in Drive. Prendi la faccia di tua mamma e la metti al posto della regina Elisabetta. Funziona, fa ridere. A volte prendi la tua di faccia e la metti a un attore e gli amici non capiscono se sei tu è lui.
L’identità digitale è questa roba qui. Nessuno è realmente visibile. Siamo tutti mascherati e mascherabili. Ha il pacco o no? Chissà!
Le app non sono la causa, ma l’effetto.
L’uomo poteva essere disinteressato al digitale, al social. Invece l’ha sfruttato per ricostruirsi un’immagine, per mettersi in vetrina. Per un sacco di tempo erano in pochi a poter essere ricchi e famosi e si sono create generazioni di frustrati, adesso tutti possono essere chi vogliono. È un vedo non vedo, non sono figo ma lo sembro, mettimi like che poi ti scrivo, ti faccio ridere e intanto ti attiro nella mia tela.
Io qui ad esempio sono esattamente come voglio essere a cinquant’anni e questa immagine, mi rende felice. Quindi ok FaceApp, prendimi tutto, va bene così.