«Avevo 14 anni quando mia madre, che era la voce dei “battenti”, mi venne a chiamare perché in quegli anni dopo la guerra i penitenti aumentarono di numero e la sua voce da sola non bastava per recitare le litanie, quindi andai anche io», Giovannina Plenzich, classe 1939, contadina e voce madre dei riti settennali di penitenza di Guardia Sanframondi. Dopo di lei e insieme a lei, la sorella minore e le altre donne che di madre in figlia e di nonna in nipote si incaricano di tramandare questo patrimonio genetico nei secoli: «Io ho seguito mia madre perché volevo farlo, e lo farò fino a quando avrò la forza. Quando canto mi concentro sul cammino di penitenza che facciamo tutti insieme, le litanie ci uniscono nel dolore che i “battenti” offrono alla Vergine». È dal 1600, come attesta uno dei documenti storici più antichi ritrovati nel comune, che si svolgono i riti penitenziali a Guardia Sanframondi. È una grave carestia che colpisce il popolo guardiese - e non solo, se consideriamo il secolo di peste, guerre e carestie che investe tutta Europa -, che lo scuote fino a portare in processione la statua lignea della Vergine dell’Assunta.
«Il nostro anonimato è legato al senso profondo che ha per noi l’atto di battersi per la nostra Vergine. Non sentiamo la necessità di far sapere la nostra identità, anzi facciamo di tutto per non farlo sapere perché si tratta, appunto, di qualcosa di molto intimo, personale, e relazionato al dolore che ognuno si porta dentro: un problema risolto o ancora da risolvere, o che mai si risolverà. Una malattia, o semplicemente l’amore che proviamo per la Vergine. E molto spesso accade che anche nella stessa famiglia si evita di dirlo, nonostante poi alla fine si intuisca. Ma - voglio dire -, per noi è un atto tanto profondo di amore che si evita, ad esempio, anche tra fratelli o tra padre e figlio di dire o chiedere chi seguirà la strada di un nonno, o di un genitore che si è battuto. Un altro elemento importante è che negli anni è aumentato anche il numero di donne che si battono». Il settantenne penitente, la cui identità resta ovviamente anonima, con gli occhi colmi di lacrime e la voce rotta dall’emozione descrive l’arrivo al giorno della processione generale, la notte prima, il momento dell’incontro con la statua della Vergine e quello della costruzione delle “spugne” che servono ai penitenti per percuotersi il petto a sangue. Sì, perché ogni sette anni vengono costruiti gli strumenti penitenziali. E anche in questo caso è un’attività che si tramanda in famiglia.
La “spugna” è fatta di sughero con 33 spilli che fuoriescono dal lato interno, quello adibito al colpo, di 2 millimetri. Su questa superficie va applicato uno strato di cera che serve ad ammortizzare l’urto con il muscolo pettorale. Al lato esterno vi è una maniglia morbida che serve ad ancorare la mano. «Se si parla di “spettacolo dei battenti” o di “fanatismo religioso” vuol dire che non si è compreso il senso dei riti», conclude il battente. La verità è che le realtà complesse non si possono definire con una parola o frase, o uno slogan. Soprattutto quando tra i penitenti c’è un mutilato non vedente che decide di battersi. E allora forse il silenzio e l’ascolto di quel colpo sul petto diventano più assordanti. E ancor di più quando scopri che la sua pena è cominciata quando aveva 11 anni a causa dello scoppio di una bomba della seconda guerra mondiale inesplosa che gli ha tolto il fratello che giocava con lui nei campi, le braccia e la vista. Ma non finisce qui, una penitenza resa ancora più dura dalla perdita di un figlio per un neuroblastoma. Quindi, meglio optare per il silenzio.
La pietas virgiliana è lo spirito guida dei riti penitenziali di Guardia Sanframondi. Un vero e proprio cammino che ogni sette anni si adatta al passare del tempo, custodendo la sua identità. Le celebrazioni durano una settimana e ogni rione va in processione per conto proprio accompagnando i misteri, cioè rappresentazioni sceniche dell’antico e del nuovo testamento delle Sacre scritture, e i flagellanti, uomini incappucciati che si percuotono con una disciplina in metallo fino al santuario dell’Assunta. Il giorno della processione i rioni arrivano al santuario e ripartono tutti assieme, con i “battenti” e i flagellanti, per le strade del paese. Poi, rientrano al santuario per la messa finale. Sono i sette anni di attesa tra un rito e un altro a rappresentare il cammino, che si lega al concetto di scansione del tempo ebraico, dell’anno sabbatico che è un anno di riposo per la terra. E quindi è il culto contadino della Madre Terra a dare l’identità ai riti che riconducono alla Vergine dell’Assunta e alla leggenda del ritrovamento della statua lignea.
«Ho vissuto i riti per la prima volta nel ‘96, ma come semplice visitatore, e sono rimasto molto colpito per il modo in cui i misteri dei rioni riuscissero a trasmettere degli eventi, delle verità, dei messaggi cristiani. Fui però colpito negativamente dalla processione dei “battenti”…», Sebastiano Paglione è attualmente docente di religione a Guardia Sanframondi e figurante dei riti 2024: «Nel 2017 poi, quando ho avuto l’opportunità di insegnare a Guardia decisi di partecipare interpretando il ruolo di un monaco francescano nel mistero di San Biagio vescovo. Fu un’esperienza vera, autentica di fede, devozione, interiorità, condivisione che cancellò quel senso di macabro e ripugnante dell’esperienza precedente. Per questo, la fede, sia quella personale che quella popolare, non si racconta, ma si vive e si condivide. Ciò che si sperimenta non è facile da raccontare. Si può solo assaporare, gustare e portare con sé, non avendo le parole per poterla riferire agli altri». Resta il fatto che i riti e le celebrazioni di Guardia Sanframondi riportano a qualcosa di ancestrale. Una invocazione che parte dal ventre della terra e attraverso il cammino, il sangue, i lamenti delle donne che guidano i “battenti” arriva all’autodeterminazione, non per forza religiosa o solo religiosa, perché i riti uniscono credenti, non credenti, agnostici, laici e chierici.