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Miguel Gobbo Diaz:
«Se uno ti fa notare il colore della pelle è un suo problema, non il tuo»

  • di Damiano Panattoni Damiano Panattoni

  • Foto di Cosimo Buccolieri

20 maggio 2021

  1. Culture

Miguel Gobbo Diaz:
«Se uno ti fa notare il colore della pelle è un suo problema, non il tuo»

20 maggio 2021

Il ruolo di primo poliziotto nero, l'idolo Denzel Washington, il sogno chiamato Sollima, il calcio di Carlo Ancelotti e la serie su Netflix Zero, in cui è uno dei protagonisti («Finalmente ci ha fatto dimenticare il colore della pelle degli attori»). Ma anche e soprattutto la figura dell'artista, che deve lottare per le giuste cause in un'Italia che, forse, sta cambiando rotta su cosa raccontare nei film e nelle serie. Ecco la nostra intervista a uno degli attori che rappresentano al meglio il presente e il futuro del cinema nostrano

Foto di Cosimo Buccolieri

di Damiano Panattoni Damiano Panattoni

Lo chiamiamo mentre è in pausa dal set di Nero a Metà 3, dove riprende il ruolo – amatissimo dal pubblico – del vice ispettore Malik Soprani. Al terzo squillo, puntualissimo, risponde. La chiacchierata è lunga, sincera e profonda. Potremmo dire che Miguel Gobbo Diaz, classe 89, è il presente e il futuro di un nuovo cinema italiano, finalmente allargato e proiettato verso storie reali e contemporanee. Come quella vista in Zero, serie Netflix in otto episodi ideata da Antonio Dikele Distefano. Nello show, Miguel, diventa Rico, cubano che con la paura tiene nella morsa il quartiere Barrio, a Sud di Milano. Ma, con lui, parliamo anche di cinema, parliamo del ruolo dell'artista e ci concediamo un momento amarcord, ricordando il Milan di Rui Costa e di Seedorf (lui milanista, chi scrive però tifa Juve e simpatizza Roma...), ancora impresso nella sua memoria di ragazzo, che prima di diventare attore voleva fare il calciatore.

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Zero, in cui interpreti il villain Rico, è un successo. E finalmente anche l'Italia si è messa al passo.

«Diciamo che finalmente in Italia c'è una serie diversa, dove troviamo un cast quasi tutto nero, composto da seconde generazioni. Ecco, ora loro non sono più invisibili, si presentano e raccontano esperienze e sogni, trovandosi comunque nelle stesse difficoltà che può avere il pubblico. Le persone empatizzano con i loro problemi, ed è bello – e giusto – dimenticarsi che sono neri, bensì vivere con loro la normalità e la vita. Zero è un grande passo, e crea molte possibilità future».

Come mai la serialità italiana ci è arrivata così tardi?

«Perché abbiamo una cultura che viaggia in ritardo rispetto agli altri paesi. Continuiamo sempre raccontato la famiglia classica, quella italiana, che non parla della vera immigrazione e non si racconta la naturalezza delle cose. Credo sia un fattore di cultura, di mancanza di coraggio, per paura che il pubblico non si abitui ai cambiamenti. Ma sono felice abbiano apprezzato Zero e Nero a Metà, una serie nuova in cui abbiamo rischiato, ma poi accolta bene e molto amata. Poi Zero, la scommessa con più rischio, ma che porta ad un cambiamento del presente e del futuro. Ora mi aspetto nuove storie e nuovi personaggi multietnici. Ci sono così tante diverse culture».

L'Italia, per gli ideali di un gruppo di idioti, passa spesso per un Paese totalmente razzista. Che percezione hai?

«In parte è vero, come quando ti fanno i complimenti e poi arriva una critica. Cosa ricordi, la critica o i complimenti? Ecco, ti ricordi sempre la cosa negativa, quella che fa più male. In Italia abbiamo ancora tanto da imparare, non ho mai avuto momenti spiacevoli, ma diversi miei amici sì. Mi sono sempre fatto rispettare, facendo ragionare anche gli idioti, come dici tu. La verità è che dobbiamo raccontare cosa c'è nella realtà, e quando si parla di invisibilità è fare finta di nulla. Vedi qualcosa, ma non lo racconti. Torno al discorso di prima: ecco perché non ci sono molti ruoli per noi, le persone vogliono sentirsi raccontare le solite storie».

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Che poi anche al cinema e in tv certe storie non fanno nemmeno più successo, ma nonostante questo continuano a propinarcele.

«Credo che le mentalità stiano cambiando, prima ridevi perché c'era quello del sud, adesso fanno ridere altre cose, altre situazioni. Voglio vedere una commedia con un protagonista bianco e uno nero, facendoli vivere nelle totale normalità, come io. Ho smesso di pensare al colore della pelle. Se uno te lo vuole ricordare è un suo problema».

E qui ci leghiamo a un altro discorso, il ruolo dell'artista. Fedez, qualche giorno fa, ha dimostrato che su un palco si può e si deve prendere posizione, difendendo una giusta causa.

«Penso che chi sale su un palco e dice le cose giuste merita rispetto. L'artista ha il compito e l'obbligo di rappresentare ciò che è, ha una responsabilità, in quanto eroe ed esempio positivo. Sono da lodare gli artisti che salgono sul palco e aiutano chi deve essere tutelato».

Cambio tono: Miguel, il tuo percorso d'attore?

«C'è stata e c'è tanta strada da fare, e la spinta è arrivata dal fatto che non ci sono attori neri o latini in Italia. Sono stato il primo a fare serie come Zero e Nero a Metà. Però sai, volevo fare il calciatore da bambino, poi studiando a scuola ho capito che volevo prendere un percorso diverso, trasferendomi a Roma. Ho preso consapevolezza, poi sono andato in Inghilterra, ed è arrivata la prima stagione di Nero a Metà. Anche qui un piccolo primato: il primo nero a fare un poliziotto. Questo mi ha spinto a fare meglio. Ora c'è Zero, più vicino alle mie origini. È stata una bella ricerca».

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E non posso che chiederti: che squadra tifi?

«Sono di Vicenza, e la sogno in Serie A. Ma sono comunque tifoso del Milan. Abbiamo una giovane squadra, ma possiamo fare meglio. Ricordo ancora l'emozione di vedere in campo l'albero di Natale di Ancelotti».

E i tuoi riferimenti cinematografici?

«Denzel Washington in primis, idealmente ho iniziato con lui. L'ho studiato, e sono cresciuto ammirandolo. Credo mi abbia dato e regalato tante cose belle. Per me è un punto di riferimento, quando lo vedi ti dimentichi le sue origini, c'è solo l'attore, c'è la sua precisione, la sua eleganza. Ha una presenza fisica impressionate. Come regista, dico Stefano Sollima. Fa delle cose incredibili, e anche lui è un punto di riferimento. Se mi chiedi con chi vorresti lavorare, dico lui».

Domanda finale di rito: cosa stai preparando?

«Diverse cose, non posso ancora dire molto. Ma... sono ottimista».

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Credits

Produzione e Styling: Romina Piperno

Grooming: Kim Elija Gutierrez

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di Damiano Panattoni Damiano Panattoni

Foto di

Cosimo Buccolieri

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