Esistono passioni in grado di creare speciali connessioni, anche nei contesti meno probabili. Far parte di una sottocultura, d’altro canto, definisce in maniera molto precisa, almeno alcune delle caratteristiche di una persona. Conoscere un individuo e scoprire di avere davanti un appassionato di moto, ad esempio, permette di aprire un varco, di creare immediatamente un canale privilegiato di comunicazione con chi ci si ritrova davanti. Ed è stata proprio questa scoperta, a farmi comprendere come Eddie Eliakim, non fosse, in realtà, il “solito” manager.
Motociclista, appunto, ma anche ciclista, sportivo in generale, Eddie è anche e soprattutto il nuovo Direttore Generale di Breitling Italia. Eccezionalmente giovane per questo ruolo (34 anni), ha saputo unire fin ora il cursus honorum dei più predestinati capitani d’industria, con una serie di interessi, un’attitude e un modo di intendere la vita capace di renderlo per davvero uno dei nostri. Nato nei dintorni di Parigi, dopo aver studiato negli USA e aver lavorato a Roma, ha fatto ritorno negli Stati Uniti, prima di arrivare a Milano per questa nuova esperienza lavorativa.
Apparentemente schivo, riservato, ma anche molto affabile e alla mano, Eddie parla eccezionalmente bene la nostra lingua, pur tradendo una inflessione francofona. Dopo averlo conosciuto nei pressi del Lido di Camaiore, per la seconda edizione di Wheels and Waves Italy, lo abbiamo raggiunto a Torino, dove Breitling ha da poco aperto una delle sue nuove boutique: un vero e proprio concept store in grado di unire al servizio di vendita e assistenza, anche un bar e degli spazi per immergersi appieno in un mondo, fatto di passioni come il surf, il mare, gli aerei e i motori, come quello del costruttore svizzero.
Eddie, l'idea di intervistarti è stata mia perché, dopo averti conosciuto, ho pensato che la tua storia professionale fosse particolarmente "inspiring". E come se non bastasse, sei un motociclista, uno vero. E allora mettiamo subito la pistola sul tavolo: che moto hai al momento? Ho una BMW GS 1250 Adventure. Quindi un sacco di viaggi, un sacco di chilometri? Non quanti vorrei, a dire il vero. L’ho comprata a giugno, quando sono arrivato in Italia, ma poi mi sono rotto il braccio… Te lo sei rotto in bici, giusto? Sì, una caduta con la bici da corsa. Perché, ricordiamolo, il tuo vero lavoro, non è dirigere Breitling, ma fare il ciclista… [ride] In effetti, vado molto in bici. Quantifichiamo questo molto. Quanti km fai all’anno… pedalando? Quest’anno sarà un po’ diverso, perché appunto mi sono rotto il braccio e ho iniziato questo nuovo challenge con Breitling, che mi sta vedendo molto impegnato, soprattutto in questi mesi, per ridisegnare tutta la mappa della nostra distribuzione. Diciamo che solitamente, negli ultimi 3-4 anni, ho sempre fatto tra i 15 e i 20.000 km all’anno. AH. Più di quanti ne faccia io in macchina. Mai pensato al triathlon? In realtà no, perché non mi piace molto correre. Si va troppo piano, correndo. Sì, non c’è la velocità, non c’è l’adrenalina. Quando viaggi è un’alternativa interessante! Portarsi dietro la bici in quel caso è molto complicato. Con due scarpe e un paio di shorts, invece, puoi andare a correre dove vuoi. Ma non mi dà soddisfazione come la bici.
A proposito di adrenalina e di moto. Noi ci siamo conosciuti durante l’ultima edizione di Wheels and Waves Italy. Breitling è sponsor della manifestazione, sia a livello locale, sia a livello globale, con la storica edizione che si tiene a Biarritz. Qual è il legame tra questo mondo e il vostro marchio? L’avvicinamento al mondo delle moto, in particolare, risale al 2020 e alla nostra partnership con Triumph. A unirci c’è di sicuro una passione per la performance e per il design modern-retrò. Quanto a Wheels & Waves, un ulteriore punto di contatto deriva dal mondo del surf. La nostra storia, alcuni dei nostri modelli più iconici e la gamma dei nostri prodotti, così come pensata da Georges Kern, l’Amministratore Delegato di Breitling, dal 2017, ruota attorno a tre “universi”: air, land and sea. Per un lungo periodo, il nostro rapporto con il mare è stato legato agli orologi subacquei. In tempi recenti, tuttavia, abbiamo trovato una profonda connessione con il mondo del surf e con alcuni dei suoi esponenti più conosciuti, come Kelly Slater, a livello globale, o Roberto D’Amico, per restare in Italia. Quella dei surfisti è una community particolarmente attenta al rispetto della natura, alla sostenibilità: tutti valori che condividiamo e per i quali diamo vita ad azioni concrete, come il supporto a Surfrider Foundation, un’organizzazione non governativa che si impegna per la conservazione delle coste e la pulizia degli oceani. Diciamo, poi, che l’orologeria, per definizione, è una industry che, nel suo DNA, ha una particolare attenzione alla riduzione degli sprechi: gli orologi sono oggetti pressoché eterni, sopravvivono ai loro proprietari e, di sicuro, quando ad essere impiegati sono materiali molto costosi, tutto ciò che può essere fatto per ridurne il consumo, è preso in considerazione. Verissimo, anche se Breitling, a questo, ha voluto aggiungere alcune attenzioni particolari, come il packaging 100% riciclato e riciclabile, o la possibilità di dotare gli orologi di cinturini realizzati, anche in questo caso, con fibre sostenibili e prodotti da Outerknown, l’azienda fondata proprio da Kelly Slater per unire moda e sostenibilità.
Come si arriva ad essere General Manager di Breitling Italia all'età di 34 anni? Con un percorso atipico, almeno nel mio caso. Sono nato e cresciuto in Francia. Ho studiato in Francia e negli Stati Uniti, dove ho finito l’università alla University of Miami, in Florida. Cosa hai studiato? Nel mio Paese mi sono laureato in quella che in Italia chiamereste Economia Aziendale. A Miami ho integrato la mia formazione con una specializzazione in Finance & International Marketing. Cosa hai fatto dopo l’università? Ho avuto l’opportunità di andare in Cina, per una prima esperienza di lavoro. Mi sono trasferito a Wuxi, a circa 60 Km da Shanghai. Niente moto in Cina? Purtroppo no. Quando mi sono spostato dalla Francia non ho più avuto moto per un sacco di tempo. Che moto avevi a casa? In Francia facevo motocross: avevo un KTM 450 e una Honda CRF 450. Mio padre aveva tantissime moto. Aveva una Sportster che usavo anche io. Com’è finita l'avventura in Cina? Me ne sono andato per seguire la mia compagna dell’epoca in Italia, a Roma. È nel corso di questa esperienza che è nato il mio profondo amore per questo Paese. E poi? Ho vissuto per circa 18 mesi a Roma e poi ancora mi sono trasferito a New York. All’epoca, infatti, lavoravo per un’azienda che faceva consulenza. Ci occupavamo di leadership coaching. Abbiamo deciso di aprire un ufficio a New York, una “missione” che sarebbe dovuta durate al massimo un paio d’anni. Alla fine sono rimasto laggiù per quasi 12…
Ed è a New York che hai cominciato ad avere a che fare con il mondo dell’orologeria… Diciamo che molti manager iniziano la loro carriera all’interno delle aziende per poi finire ad essere partner di qualche società di consulenza. Io ho fatto il percorso inverso: insegnavo una serie di cose, ma avevo bisogno di vederle dall’interno. All’epoca non conoscevo il mondo dell’orologeria: arrivo da una famiglia molto modesta, mio padre non aveva orologi, non c’erano gioielli in casa, ma come francese, ho sempre provato una certa fascinazione per ciò che la nostra industria del lusso è sempre stata in grado di esprimere. La mia azienda di consulenza aveva, tra i suoi clienti, il gruppo Richemont (di cui fanno parte, tra i vari, A. Lange & Söhne, Baume & Mercier, Cartier IWC, Jaeger-LeCoultre, Montblanc, Officine Panerai, Piaget e Vacheron Constantin, nda). È stato così che ho avuto l’opportunità di entrare a farne parte e di diventare, dopo anni, Direttore Commerciale di IWC per gli USA e il Canada. Durante il mio percorso in IWC ho incontrato Georges Kern, CEO di Breitling, al quale mi sono unito dopo il suo trasferimento proprio da IWC alla nostra attuale azienda. Che percezione hanno dell’orologeria le quattro realtà - Francia, Cina, Italia e USA - in cui hai vissuto? In Europa, l’orologeria è sempre stata presente. Qui non è necessario lavorare sull’educazione del cliente. In America, in termini generali, non c’è una forte cultura orologiera; la maggior parte della gente non possiede un orologio meccanico: o utilizza l’iPhone o adopera uno smart watch. Chi si interessa di orologeria è davvero una nicchia.
All’interno dell’Europa vedi delle differenze? Poche, a dire il vero. In Italia è sempre stato molto importante il design. È qualcosa che fa parte della vostra cultura, in molti ambiti. Lo vediamo nelle auto, lo vediamo nella moda. Credo che l’Italia abbia tanto da dire, anche nell’orologeria. Non a caso, sono tanti i designer italiani, ad esempio, ad aver fatto parte della storia di Breitling. L’arrivo di Georges Kern ha dato vita a un processo di profondo rinnovamento per il vostro marchio. Come sono cambiati i prodotti Breitling negli ultimi anni? Soprattutto negli ultimi 20-30 anni, i nostri prodotti si sono sempre caratterizzati per un design molto bold, molto robusto e audace, tipico degli orologi-strumento da pilota. Un tipo di prodotto che funzionava bene sul mercato americano e anche in Europa, un po’ meno in Asia e nel Middle East. Con il suo arrivo, Georges ha iniziato a lavorare sul prodotto per creare quella che oggi noi chiamiamo la “nuova” Breitling. Concentrandosi sul nostro heritage è andato a riscoprire tutta una serie di modelli, ad esempio degli anni ’50 e ’60, che si caratterizzano per un design più sottile, più elegante, per una maggiore portabilità. Questi modelli sono stati reinterpretati e attualizzati, e stanno riscuotendo un notevole successo anche in mercati, come la Cina, dove, in precedenza, facevamo più fatica a penetrare. E tutto ciò ha avuto delle conseguenze direi macroscopiche sull’assetto finanziario della vostra azienda… Nel 2017, Georges è entrato come CEO con l’acquisto dell’80% delle quote dell’azienda da un fondo d’investimento che si chiama CVC Capital Partners. Al tempo, la valutazione dell’azienda era più o meno di 800 milioni di franchi svizzeri. L’anno scorso, Equity Partners Group ne ha acquistato il 50% a una valutazione di 4,5 milirardi di franchi. Siamo già tra i top 10 in termini di fatturato, nel mondo dell’orologeria, a livello globale. L’obiettivo è di entrare nei top 5 (un club al momento composto da: Rolex, Cartier, Omega, Audemars Piguet e Patek Philippe, nda).
Il mondo dell’orologeria, con l’aiuto dei social, sta vivendo un’attenzione di cui sembra non abbia mai goduto fino ad ora. A cosa dobbiamo tutta questo interesse, secondo te? Io credo che ci siano un paio di motivazioni almeno. La prima è che grazie ad alcuni brand come Breitling, il lusso, in questo momento, è molto più inclusivo, molto più aperto. In precedenza, si trattava di un qualcosa a cui aveva accesso solo una nicchia, un club inavvicinabile dalla maggior parte della gente, qualcosa di difficile da capire, prima ancora che da raggiungere. Nel nostro caso, oggi, abbiamo un prodotto di lusso ma anche un brand che è molto più inclusivo. Non devi lavorare in finanza e vestire in giacca e cravatta, per entrare da Breitling, tanto per capirsi. Il secondo motivo è legato all’utilizzo sempre maggiore degli smart watch: il fatto di riacquisire l’abitudine a indossare qualcosa al polso, a una gestualità, a una differenza tra i vari modelli e prodotti, anche in questo settore, ha portato a una maggiore attenzione anche per i classici e per la meccanica che li caratterizza. Perché un motociclista dovrebbe indossare un orologio? Perché si tratta di due oggetti molto simili a ben vedere: anche gli orologi hanno una loro meccanica, entrambi hanno un cuore, un motore, che nel caso degli automatici si ricarica col movimento del nostro braccio. Chi è appassionato di orologi li usa e li rispetta proprio come un motociclista fa con la propria moto. Periodicamente è necessario sottoporre il proprio orologio a una revisione, proprio come le moto. Sono “macchine” che funzionano più o meno allo stesso modo, con le stesse regole… Insomma, parliamo davvero della stessa cosa.