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Ok ma cosa minch*a sono
i test sierologici
(e come funzionano)?

  • di Emanuele Pieroni Emanuele Pieroni

26 maggio 2020

Ok ma cosa minch*a sono i test sierologici (e come funzionano)?
Ne esistono di due tipi. Per i primi basta una piccolissima quantità di sangue, ma rilevano solo se si è entrati in contatto con il virus. Gli altri sono più completi, ma non ancora pienamente affidabili

di Emanuele Pieroni Emanuele Pieroni

La corsa ai test sierologici è partita. Ok ma di che diamine si tratta? Come si fanno? È sicuro che servano a qualcosa?

Innanzitutto, esistono due tipi di test sierologici. Il primo ricerca gli anticorpi IgM, mentre il secondo ricerca sia gli Igm che gli IgG. Ma così siamo da capo, perchè viene da chiedersi, ora, che diamine sono gli IgM e gli IgG. Semplifichiamo: i primi ci dicono se siamo entrati in contatto con il virus, i secondi potrebbero essere quelli che ci rendono immuni dalla possibilità di infettarci nuovamente.

Potrebbero appunto. Perché non sta scritto da nessuna parte, al momento, che sia effettivamente così. La scienza ne sta ancora dibattendo, così come sta discutendo se abbia senso rendere la loro presenza una sorta di presupposto per una pseudo-patente di immunità. Il Covid19, infatti, è un virus nuovo e quindi anche gli anticorpi lo sono: per questo non è possibile sapere con certezza quanto siano affidabili.

Eppure la corsa ai test sierologici è partita da un pezzo e, quindi, tanto vale provare a districarsi nella nebbia. Per i primi, quelli che rilevano gli IgM, è sufficiente una piccolissima quantità di sangue. Funzionano, per intenderci, come gli stick utilizzati per la misurazione della glicemia. Se si è negativi non si è mai entrati in contatto con il virus. Se, invece, si è positivi, è necessario effettuare un tampone per capire se e quanto si sia ancora contagiosi.

Serve, invece, un vero e proprio esame di laboratorio, e per questo costa di più, per il test sierologico che rileva sia la presenza sia di IgM che di IgG. In base ai parametri di ognuno è possibile capire non solo se si sia entrati in contatto con il virus, ma anche se siano stati sviluppati i così detti anticorpi definitivi. Quando il valore dei primi è nettamente più basso rispetto al valore dei secondi, significa che si è guariti dal virus e che ci sono possibilità relativamente alte di esserne diventati immuni.

Nei giorni antecedenti all'avvio di questa Fase 2 si era parlato molto dell'esigenza di operare secondo un protocollo identificato da tre T: testare, tracciare, trattare. Il trattamento sembra essere, ad oggi, l'unica delle attività effettivamente supportate a dovere dalla sanità pubblica. Quanto al tracciamento, poche e confuse sono ancora le notizie sulla famosa app Immuni. Sulla possibilità di effettuare i test, in molti si stanno attrezzando privatamente, soprattutto a livello aziendale, per supplire alla mancanza di verifiche a tappeto delle autorità pubbliche. Insomma, come al solito, tocca arrangiarsi. Di buono c'è che, almeno in questo, nostro malgrado, siamo decisamente allenati.

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