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Uber lascia tutti a piedi.
3.500 i licenziati via Zoom

  • di Emanuele Pieroni Emanuele Pieroni

20 maggio 2020

Uber lascia tutti a piedi. 3.500 i licenziati via Zoom
L’azienda american ha licenziato 3500 lavoratori con una videocall su Zoom. Colpa della pandemia, ma la storia di Uber è piena di ombre e caratterizzata da un modo di fare business basato solo sugli investimenti

di Emanuele Pieroni Emanuele Pieroni

Smart-no-working. Se non fosse che ci sono di mezzo migliaia di persone che hanno perso il lavoro si potrebbe sintetizzare così, con una parola e una battutaccia, quello che è accaduto a 3.500 persone che fino all’inizio del mese sono state al soldo di Uber. Perché il loro licenziamento è avvenuto su Zoom, nella classica videocall che tutti abbiamo fatto in questi giorni di restrizioni dovute al Coronavirus. Dara Khosrowshahi, amministratore delegato della società che ha sede a San Francisco, è apparsa in video e senza troppi giri di parole ha spiegato ai convenuti virtuali che quello sarebbe stato per loro l’ultimo giorno di lavoro. Le perdite di Uber sono enormi, miliardi e miliardi volati via nel corso degli anni. E adesso ci si è messa di mezzo anche la pandemia. Che però, almeno secondo i ben informati, potrebbe essere una scusa per giustificare scelte drastiche che, invece, erano già nei piani aziendali. 

Di certo c’è che nel primo trimestre dell'anno, Uber ha perso 2,9 miliardi di dollari e solo nel mese di aprile, ha registrato una riduzione dell'80% della domanda rispetto allo stesso range temporale dell’anno precedente. A questo si aggiungono una cinquantina di uffici chiusi o accorpati in tutto il mondo, con lavoratori ridotti ad un quarto rispetto al passato.

Uber Londra

Insomma, per Uber, che tra l’altro non è mai entrata nelle grazie degli italiani, andando a scontrarsi con società di trasporto pubblico, ma anche con interessi privati e categorie di lavoratori, non è un gran periodo. Ammesso che di periodi buoni ce ne siano mai stati, almeno dentro i confini nazionali. 

Perché l’idea di fondo di Uber, in verità, è stata sempre quella di lavorare senza utili, raccogliendo un enorme quantitativo di capitali e rigenerandosi sempre attraverso i flussi di liquidità garantiti dagli investitori. L’azienda è esplosa nel giro di pochi anni, dovendo però rinnovarsi continuamente nelle sessantasei nazioni dove ha operato per poter essere in linea con le leggi. Sin dal 2009, quando Travis Kalanick e Garrett Camp l’avevano fondata dopo essersi ritrovati a Parigi a piedi, senza essere riusciti a trovare un taxi disponibile. Da qui la nascita della startup, che inizialmente proponeva una app in grado di reperire auto di lusso con conducente in un click e pochi minuti. Poi le varie declinazioni e i tanti servizi offerti, alcuni dei quali dichiarati illegali e fuori dalle normative di molti paesi. Fino a quello che è sembrato a tutti gli effetti l’inizio di una fine: le accuse di molestie sessuali avanzate da una ex dipendente (che ha scoperchiato un pentolone colmo di vicende simili) ai vertici dell’azienda e che costarono l’uscita di scena del fondatore Kalanick.

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